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sabato, Maggio 11, 2024
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Che fine hanno fatto i bimbi di ‘Io speriamo che me la cavo’? Un docufilm racconta tutto

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“Che fine hanno fatto i bambini di Io speriamo che me la cavo?” Ce lo raccontano Giuseppe Marco Albano Adriano Pantaleo (proprio lui, il Vincenzino del film) con Noi ce la siamo cavata, un docufilm concepito per raccontare, tra ricordi, filmati inediti e interviste, le vite di quei giovanissimi attori che trent’anni fa furono i protagonisti del cult cinematografico di Lina Wertmüller con protagonista Paolo Villaggio. 

A trent’anni di distanza dall’uscita di “Io speriamo che me la cavo” – cult cinematografico della Maestra del cinema Lina Wertmüller, tratto dall’omonimo best seller di Marcello D’Orta – l’attore oggi trentottenne Adriano Pantaleo, che nel film interpretò Vincenzino, uno dei piccoli protagonisti, ha intrapreso un viaggio on the road alla ricerca dei suoi ex compagni della terza B della scuola elementare di Corzano, e allora piccoli attori. Il racconto delle loro vite e i ricordi legati al film sono diventati l’occasione per scoprire se “anche loro se la sono cavata” e per raccontare i cambiamenti di Napoli e del Sud.

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Correva l’anno 1992 quando Lina Wertmuller presentò sugli schermi un film tratto dal libro omonimo di un maestro elementare: Io speriamo che me la cavo. Al centro c’erano i bambini di una classe nel napoletano e un maestro interpretato da Paolo Villaggio. Trent’anni dopo uno di loro, Adriano Pantaleo che è poi rimasto come attore nel mondo del cinema, ha deciso di andarli a cercare per vedere se ‘se la sono cavata’.

Un documentario che, con grande leggerezza che comporta anche una profondità di sguardo, sa andare oltre il ritrovarsi.

Chi trent’anni fa ebbe la possibilità di vedere un film ispirato a un libro apparentemente impossibile da far diventare cinema ricorda come ciò che colpiva era la capacità di una regista come la Wertmuller di far ‘vivere’ ai piccoli protagonisti i reciproci personaggi amalgamandoli con quello di un attore più che noto desideroso di staccarsi, almeno momentaneamente, dai ruoli che gli avevano dato il successo.

Pubblico e critica riconobbero la riuscita dell’impresa. Il fatto che quello di loro che ha continuato a recitare abbia avuto l’idea, con la benedizione di Lina, di andarli a trovare poteva tradursi in un ‘come eravamo’ sicuramente simpatico ma privo di ulteriori significazioni. Il ricordo di un tempo c’è ovviamente ma consente anche di rivisitarlo con lo sguardo della memoria non solo di chi allora era un bambino ma anche di chi quel film lo fece essere.

A partire dal produttore, dallo sceneggiatore e da molti altri che in quella realizzazione ebbero un ruolo. La regia di Giuseppe Marco Albano alterna, con il giusto dosaggio, gli incontri di Pantaleo con i compagni di set di allora e la riunione collettiva avvenuta, Covid impedendo, a distanza di tempo. Abbiamo così la possibilità di assistere a narrazioni che potremmo definire ‘private’ e all’amarcord collettivo.

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