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venerdì, Marzo 29, 2024
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Lingotti d’oro falsi e truffe telefoniche, sgominata banda napoletana: 12 arresti

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I carabinieri di Siena, nell’ambito di un’indagine avviata nell’agosto dello scorso anno, sono riusciti a disarticolare un sodalizio criminale con base a Napoli, dedito principalmente a truffe ad anziani residenti nell’area Nord e Centro Italia. La banda napoletana era dedita anche truffe ad attività commerciali, alle quali offrivano la vendita di pepite e lingotti d’oro, sostanzialmente falsi: la prima piccola pepita esibita al compro oro o al commerciante di preziosi risultava essere buona ma, una volta concordato il prezzo per la fornitura, venivano fornite partite di oggetti solo rivestiti d’oro, con una consistente quota interna in ferro o acciaio. Una parte delle truffe sono anche avvenute all’estero, in Marocco e Tunisia.

Nel corso dell’operazione, portata a termine oggi, che ha visto l’impiego di oltre 100 militari dei comandi provinciali di Siena, Napoli, Milano, Brescia, Rimini e Pistoia, sono stati eseguiti tra Napoli e Milano 11 dei 12 provvedimenti cautelari, emessi dal Gip del Tribunale del capoluogo senese. Perquisizioni sono state effettuate anche a Brescia, Rimini e Pistoia nei confronti di altri indagati.

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Sette i provvedimenti cautelari in carcere (uno è ancora ricercato, forse è fuggito all’estero); tre napoletani sono finiti agli arresti domiciliari, mentre per due è stato disposto l’obbligo di dimora a San Sebastiano al Vesuvio . Nel corso delle indagini, inoltre, sono stati eseguiti sei arresti in flagranza. I reati contestati dalla Procura della Repubblica di Siena che, nella persona del pm Siro De Flammineis, ha coordinato l’intera attività investigativa, vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla truffa o all’estorsione, alla truffa aggravata, al favoreggiamento personale o reale e alla ricettazione con riferimento ai singoli episodi.

Le indagini, condotte dal nucleo investigativo di Siena, scaturiscono da alcuni episodi di raggiro avvenuti nel capoluogo senese nell’estate dello scorso anno. I militari, sulla base dei pochi elementi raccolti nell’immediatezza dei fatti, hanno focalizzato la loro attenzione su numerose schede telefoniche risultate utilizzate nei singoli episodi di truffa e intestate a cittadini pakistani.

Le schede costituivano parte del modus operandi della banda e venivano utilizzate per la sola specifica esigenza di compiere le truffe. Sono stati compiutamente ricostruiti oltre 50 episodi di truffa avvenuti a Siena, Perugia, Milano, Treviso, Gallarate, Domodossola, Bologna, Perugia, Torino, Treviso, Padova, Milano, Napoli, Tivoli, Lugo di Romagna.
La refurtiva parzialmente recuperata, costituita da gioielli e denaro, ammonta a circa 200.000 euro. In 8 casi, i carabinieri di Siena hanno fornito indicazioni preventiva ai colleghi per fermare gli autori del reato, tratti in arresto in flagranza o semi flagranza di reato, ricavando riscontri materiali sulle identità degli appartenenti al sodalizio e recuperando la refurtiva.

È stato individuato anche un importante canale di ricettazione in un appartamento di Milano, situato nella zona Crescenzago. Sono state ricostruite le procedure e i metodi utilizzati per organizzare i colpi. Dalla centrale chiamante di Napoli operavano i promotori ed organizzatori del gruppo criminale che si avvaleva di adepti destinati a recarsi nell’area scelta per i colpi programmati, dove muoversi per il corso di una mattinata o di un pomeriggio alla ricerca di anziani da ingannare.

Quando gli abili telefonisti operanti da Napoli con schede telefoniche dalla vita brevissima, riuscivano a ingaggiare una vittima con la solita storia del falso incidente stradale, la truffa cominciava a prendere forma. Gli imbonitori, spacciandosi per carabinieri o avvocati, raccontavano che un prossimo congiunto dell’anziana donna era incorso in un grave sinistro, che magari aveva ucciso una persona, rischiando di andare in carcere e che occorreva provvedere a pagare un primo risarcimento dei danni per evitare il carcere. Ottenuta la disponibilità delle vittime, i malfattori inviavano il trasfertista, spacciato per avvocato, presso i domicili degli anziani dove recuperava denaro, gioielli e qualunque valore la poveretta tenesse in casa. Le vittime erano prevalentemente donne.

Il raggiro si arricchiva talvolta di un ulteriore elemento. Il telefonista suggeriva alla vittima di chiamare il 112 per avere contezza dei fatti e fingeva di interrompere la conversazione. Alla chiamata successiva dell’anziana donna al numero di emergenza indicato, rispondeva lo stesso interlocutore iniziale o un suo complice, confermando le false storie precedentemente narrate e confermando così nella persona ingannata la convinzione di dover pagare quell’avvocato, che sarebbe passato a ritirare il denaro o i valori destinati al presunto risarcimento, pur parziale, dei gravi danni cagionati dal congiunto della vittima. I telefonisti erano così abili da riuscire a farsi dire il nome del figlio dall’anziana madre ed utilizzarlo per impressionarla maggiormente, ripetendolo con frequenza.

Al trasfertista veniva pagato il viaggio di andata e ritorno da Napoli con treno e, raggiunta la meta, anche il taxi solo per l’andata. Questi in genere, una volta raccolto un consistente bottino, rientrava a Napoli o raggiungeva Milano per piazzare il maltolto a dei ricettatori, oppure rendere agli stessi organizzatori del traffico quanto rimediato. Ai trasfertisti veniva riconosciuta una quota minore del bottino, in relazione all’opera svolta e al rischio corso. L’atteggiamento dei capi era particolarmente severo, gli ordini non ammettevano deroghe o contestazioni, pena l’immediato licenziamento. I corrieri si dimostravano particolarmente remissivi e sottomessi nei confronti di chi procurava loro un lavoro, sia pur illecito. Un’ultima annotazione: la banda osservava il criterio della settimana corta, sabato e domenica non si lavora.

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