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venerdì, Maggio 3, 2024
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Oggi sono 15 anni senza Marco Pantani: l’ombra della camorra napoletana dietro la morte del Pirata

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Con il tempo, pur diventando leggenda, il mito non è riuscito a spazzare via le ombre, né a dissipare i dubbi. Sulla morte di Marco Pantani, arrivata il 14 febbraio di 15 anni fa a privare lo sport italiano di un eroe seppure della categoria “maledetti”, si è fatta luce solo fino a un certo punto e ci sono volute almeno due inchieste per arrivare al verdetto della Cassazione: il Pirata non è stato ucciso.

La Corte suprema ha sentenziato una volta per tutte, per sempre, ma la famiglia del corridore non ha mai accettato il verdetto, mentre i suoi tifosi di sempre continuano a discutere. In questi 15 anni senza Pantani si è sempre dibattuto sulla fine ingloriosa di un campione che rilanciò il ciclismo. La verità è sempre appartenuta a qualcuno, però.

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I TROFEI

Vincitore nello stesso anno (1998) del Giro d’Italia e del Tour de France, Pantani venne ritrovato senza vita nel residence ‘Le Rose’ a Rimini, pochi anni dopo le sue ultime pedalate in alta quota. Una fine con tante domande senza risposta che, solo pochi anni prima, nessuno avrebbe potuto prevedere e neppure immaginare.

La parabola del Pirata, che – sempre secondo quanto ha stabilito la Cassazione nel 2017 – morì per ingestione involontaria di cocaina, aveva cominciato ad assumere la traiettoria sbagliata il 5 giugno 1999. Dopo la grande impresa ai piedi del santuario di Oropa, Pantani continuò a dare spettacolo.

Arrivò solo sull’Alpe di Pampeago e a Madonna di Campiglio. Poi, sabato 5 giugno 1999, alle 7,25 del mattino, dopo un controllo “a tutela della sua salute”, il suo ematocrito risultò del 52%, contro il 50% del limite massimo concesso. Fu quello l’inizio della fine del Pantani atleta. Una caduta senza appigli.
La vita di Marco, in pochi minuti, venne sconvolta: il Pirata affogò nel fango e nella disperazione, trovando riparo nelle amicizie sbagliate e in altre sedicenti vie d’uscita. Da eroe sportivo si trasformò in una specie di sinistro paladino della solitudine, facendosi travolgere dalla tragedia. Ha provato a ritrovare un sentiero di salvezza e a imboccarlo, non c’è riuscito, cadendo nel baratro.

LA CARRIERA

Su Marco se ne sono dette e scritte tante: è stato definito il carnefice di se stesso, è stato accostato a Coppi e Bartali, è stato stato trasformato in un simbolo di riscatto, dopo i tanti infortuni che ne hanno segnato la carriera. Ha dato e avuto tanto dal ciclismo, ha regalato emozioni forti, palpitazioni, dispensato entusiasmo, ha acceso i sogni, andando oltre il limite. Forse troppo.

Discese ardite ne ha regalate tante, sono però mancate le risalite. In 15 anni il suo silenzio definitivo e imperfetto è stato assordante. Pirata e uomo, campione e colosso di argilla a uso e consumo di gente senza scrupoli o senza pudore. La sua fine era già scritta, nessuno forse ha cercato di spiegare i perché.

Puntata del caso Pantani su Italia 1 a “Le Iene”

Ben 25’ con immagini molto forti, anche troppo. Una contro-inchiesta che ha toccato le persone-chiave dell’indagine, alcune finite nell’oblio dopo le sentenze del 2005. Nuovi testimoni, nuove dichiarazioni. Una ragazza, Elena, che lo conosceva e ha paura della riapertura dell’indagine. Il proprietario di un bar nel quale Pantani andò il giorno prima, mai ascoltato. La penultima notte passata dal Pirata in un altro albergo di Rimini, mentre finora sembrava non aver mai lasciato il Residence Le Rose dove fu trovato morto. Uno studente universitario che lavorava in quell’albergo Ipotesi che cozzano contro l’assoluto isolamento di Pantani che emerge dalle indagini ufficiali.
 La testimonianza di una poliziotta della Scientifica, in attesa fuori dalla stanza della tragedia mentre entravano parecchie persone che avrebbero inquinato la scena. Soprattutto, le dichiarazioni di Fabio Carlino, assolto in Cassazione: “Bisogna scavare, scavare. Pantani non aveva manie suicide. E so che quando Miradossa andò in carcere a Napoli, fu avvicinato da soggetti della malavita che gli dissero: “Tu patteggi e non parlare”. L’avvocato De Rensis dice: “La realtà ufficiale si discosta completamente dal racconto di molti testimoni, che nemmeno si conoscono tra loro. Porteremo il filmato alla Procura di Rimini e chiederemo nuovamente la riapertura dell’indagine”. A Rimini, intanto, è cambiato il procuratore capo: Elisabetta Melotti al posto di Giovagnoli.
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