Individuate le regioni interne più attive dei Campi Flegrei mediante l’integrazione di diverse metodologie: indagini geofisiche, della sismicità e delle deformazioni del suolo dell’area telerilevata. A mettere in luce le parti più attive del supervulcano flegreo uno studio condotto dall’Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irea), dall’Osservatorio vesuviano dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv-Ov) e dal Dipartimento di scienze della terra dell’ambiente e risorse dell’Università degli studi di Napoli Federico II, in collaborazione con Involcan (Instituto Volcanolgico de Canarias, Tenerife, Spagna) e Institute for Geosciences JGU (Johannes Gutenberg-Universit„t Mainz).
In particolare, i risultati sono ottenuti dai dati radar satellitari in banda X della costellazione Cosmo-SkyMed dell’Agenzia spaziale italiana (Asi), elaborati presso i laboratori del Cnr-Irea di Napoli insieme ai dati sismici acquisiti dalla rete di monitoraggio permanente dell’Ingv-Ov. Inoltre, spiega Francesca Bianco, direttrice Ingv-Ov, le analisi integrate hanno evidenziato «come l’area a est della Solfatara, in prossimità della regione fumarolica di Pisciarelli, rappresenti la porzione di caldera caratterizzata dai più alti tassi relativi di deformazioni del suolo, tra il 2011 ed il 2014, a cui corrisponderebbe, a una profondità tra gli 0.8 ed 1.2 km, una regione caratterizzata dalla massima concentrazione di sismicità registrata: tendenza che prosegue anche dopo il 2014»