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mercoledì, Febbraio 19, 2025
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Omicidio Giaccio, i killer del clan Polverino condannati a 30 anni

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I killer Salvatore Simioli, Raffaele D’Alterio e Lugi De Cristofaro sono stati condannati a 30 anni di reclusione per l’omicidio di Giulio Giaccio. La sentenza è stata emessa dal gup del Tribunale di Napoli, Fabio Provvisier, nei confronti dei 3 importanti esponenti del clan Polverino.

In aula erano costituiti parte civile i parenti della vittima innocente, rappresentati dal penalista Alessandro Motta: “Giustizia è fatta – ha commentato il legale  – i parenti sono soddisfatti della sentenza condanna e continueranno a battersi per fare sì che Giulio venga riconosciuto vittima innocente della criminalità organizzata. Attendiamo ora che la sentenza passi in giudicato per fare le nostre dovute considerazioni“.

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Il gup Provvisier ha riconosciuto una provvisionale da 200mila euro ai familiari di Giaccio ed escluso l’aggravante mafiosa contestata dai pm antimafia Mariella Di Mauro (attualmente procuratore aggiunto a Napoli Nord) e Giuseppe Visone, per i quali il delitto sarebbe stato commesso per agevolare il clan Polverino.

I NUOVI ARRESTI PER L’OMICIDIO GIACCIO

Il 27 marzo del 2024 il giudice per le indagini preliminari, su richiesta dei magistrati della Dda di Napoli (pm Giuseppe Visone) applicò la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di De Cristofaro, alias Mellone, Simioli e D’Alterio, alias ‘a Signurina, gli ultimi due sono già detenuti per altri reati.

L’omicidio Giaccio risale a quasi 24 anni fa. Il giovane venne ucciso e sciolto nell’acido nel luglio del 2000. “Era la persona sbagliata”, spiegò il generale Enrico Scandone, comandante provinciale dei carabinieri di Napoli e il comandante del Nucleo Investigativo Andrea Leo.

I FINTI POLIZIOTTI

Gli arresti riguardano i presunti killer: spacciandosi per poliziotti prelevarono la vittima con la scusa di un controllo per portarlo in una zona isolata dove venne ucciso con un colpo alla testa e poi sciolto nell’acido. “I resti – sottolineò il procuratore Nicola Gratteri – vennero buttati nella fessura di un terreno che si trova vicino alla casa di uno degli indagati”.

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