È entrato finalmente nel vivo il processo ai titolari di una società spagnola ed un “fixer” napoletano accusati dalla Procura di Milano – PM Cerreti- di aver orchestrato una truffa ai danni di Disney Channel con la serie “Clandestino” andata in onda sul canale Real Time, per circa 500000,00 euro. Dopo una serie di rinvii determinati da eccezioni proposte dal difensore del cd.”fixer”, avv Giuseppe Tuccillo del Foro di Napoli, l’udienza di ieri innanzi il Giudice Guadagnino della Sezione Penale di Milano è stata dedicata alla escussione dei tredici testimoni della Procura. In sintesi, l’accusa per Romero Trejo Rosaura, Belyeu Nahmias Franck Lalaiyette, titolari della società spagnola 93 Metros e per il “fixer” napoletano – nel collegio difensivo anche l’avv. Alessandro Viglione del Foro di Milano – è quella di aver utilizzato, per la realizzazione della puntata della serie Clandestino che si occupava delle ramificazioni della ‘ndrangheta calabrese in Lombardia, degli attori e non veri criminali come previsto dal contratto. L’indagine nasce su impulso di un carabiniere abitante nel medesimo condominio di Milano ove si trova un appartamento che, nella puntata andata in onda, viene indicato come il luogo in cui i criminali/attori che avevano effettuato l’importazione di 5 kg di droga dall’Albania passando per la Svizzera, avevano utilizzato per procedere alla verifica della qualità dello stupefacente. La puntata proseguiva con l’intervista ad un capo-cosca calabrese latitante nei boschi tra Milano e Varese.
Con l’individuazione dell’appartamento e del proprietario, i Carabinieri ricostruivano i fatti ed individuavano tutti i partecipati al documentario, ivi compreso il Fixer, colui che avrebbe fatto da tramite tra la 93 Metros ed i protagonisti del servizio, anche se, a dire il vero, le operazioni di “pixellatura” non avevano consentito di offuscarne completamente i volti, i luoghi e le targhe dei veicoli utilizzati nella puntata, per cui il tutto era facilmente riconoscibile. Proprio tale ultima mal riuscita operazione aveva fatto sì che i partecipanti alla puntata erano stati immediatamente riconosciuti dai loro compaesani e, a loro dire, spaventati per tale clamore si erano rivolti ad un legale sostenendo di essere stati ingaggiati per un docu-film in cui avrebbero solo recitato, prendendo le distanze da quanto invece risultante dalla puntata.
Diversa invece la versione degli imputati, secondo cui sarebbero loro le vittime della truffa, poiché i soggetti che hanno partecipato alla puntata, peraltro tutti gravati da precedenti penali o di Polizia, erano a loro stati presentati come effettivamente appartenenti alla criminalità organizzata e che, in cambio di denaro, avevano acconsentito ad essere ripresi. Una volta riconosciuti e preoccupati per le conseguenze della loro apparizione in pubblico, i protagonisti avrebbe sostenuto di essere solo attori, ignari della veste di “veridicità” del contenuto della puntata. Proprio questo aspetto sarà oggetto della prossima udienza che vedrà protagonisti i numerosi testimoni della difesa.