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venerdì, Aprile 19, 2024
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Ucciso per aver parlato di un delitto, i boss Mele evitano l’ergastolo

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Ucciso per aver rivelato dettagli di un omicidio a cui aveva partecipato. Cala il sipario sul processo d’appello per l’omicidio di Vincenzo Birra, ras della mala pianurese, ucciso nella notte tra il 13 e il 14 luglio 2013. Punito, secondo la Procura, dal clan Mele, per aver rivelato ad altre persone dettagli su un altro omicidio eccellente, quello di Fosco Di Fusco. Nel processo i tre imputati, i boss Salvatore e Giuseppe Mele e Antonio Bellofiore avevano rimediato in primo grado l’ergastolo. Quadro parzialmente cambiato questa mattina presso la II sezione d’Appello (procuratore generale Cilenti). Salvatore Mele (difeso dagli avvocati Claudio Davino e Gandolfo Geraci) ha ottenuto una completa assoluzione. Suo fratello Giuseppe (difeso dal solo Davino) è passato dall’ergastolo alla pena di trent’anni. Stessa sorte per il ras Bellofiore (difeso dall’avvocato Mario Fortunato).

Le dichiarazioni della madre di Birra: la condanna a morte dei Mele per il figlio

A decretare la morte di Birra quelle sue dichiarazioni considerate dai vertici dei Mele ‘fuori luogo’. Dichiarazioni che contraddicevano la legge di omertà che vige in questi casi. A raccontare quei momenti fu anche la madre di Birra che rivelò ai magistrati che suo figlio le aveva confidato di aver partecipato all’omicidio di Di Fusco. «Qualche giorno fa mio figlio mi ha confidato di aver partecipato, quale esecutore materiale, all’omicidio di Di Fusco Fosco, detto Foschetto, ucciso a Pianura il 28 giugno scorso, senza aggiungere altri particolari».  La donna fu interrogata dagli uomini della squadra mobile all’indomani della sparizione del figlio. «So che mio figlio ultimamente frequentava Catone Antonio, Arillo Vincenzo, i fratelli Giuseppe e Salvatore Mele, Bellofiore Antonio Aversano Luigi ed altri di cui non ricordo il nome; era solito frequentare spesso il civico 93 di via Napoli, ovvero la zona del cosiddetto quadrilatero». Questo il particolare contenuto nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Tommaso Parrella che portò in carcere 28 tra boss e gregari dei clan Pesce-Marfella e gli scissionisti dei Mele a Pianura. Una dichiarazione che puntò dritta ai fratelli Mele e alle loro ‘regole di malavita’ violate.

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