PUBBLICITÀ
HomeRassegna StampaSi teme un’altra faida dopo l’omicidio del boss Verde

Si teme un’altra faida dopo l’omicidio del boss Verde

PUBBLICITÀ

Agli investigatori è bastato dare un’occhiata al corpo di Francesco Verde per capire che i killer non volevano eliminare semplicemente il padrino ma volevano che il massacro fosse un ammonimento: gli assassini si sono accaniti sparando con un fucile a pompa in modo da cancellare completamente il volto. Tanto che per il riconoscimento ufficiale si è dovuto ricorrere alle impronte digitali. E ai killer non interessava nessun altro: Mario Verde, il nipote che guidava la Micra, non sarebbe stato ferito in modo diretto. Le quattro pallottole che lo hanno raggiunto sono praticamente quelle uscite dal corpo dello zio che gli sedeva accanto e sul quale si è concentrata tutta la potenza delle armi. Le sue condizioni, che al momento del ricovero nell’ospedale civile di Aversa erano apparse gravissime, dopo l’intervento chirurgico a cui è stato sottoposto, sono migliorate. E anche se i sanitari del San Giuseppe Moscati non hanno sciolto la prognosi, Mario Verde non è più considerato in pericolo di vita. Qualche ora dopo l’agguato in via Borsellino, i carabinieri del gruppo di Caserta, avvertiti da una telefonata anonima, hanno rinvenuto in uno fondo agricolo di Lusciano l’auto usata dai killer: una Lancia Thesis data alle fiamme. Sullo scheletro carbonizzato del sedile posteriore della potente vettura, risultata rubata circa un mese nei pressi di Salerno, i militari hanno trovato quello che restava delle armi della mattanza, una Beretta calibro 9 e una lupara, deformate dal calore, che ha anche cancellato tutte le impronte. Per tutta la notte i carabinieri della compagnia di Casoria, diretta dal capitano Paolo Cambieri e i militari del nucleo operativo di Castello di Cisterna, coordinati dal maggiore Fabio Cagnazzo, hanno controllato gli alibi di una decina di pregiudicati di Sant’Antimo e Casandrino. Due di questi sono stati fermati per alcune ore e sottoposti all’esame dello stube che però avrebbe dato esito negativo. I militari hanno anche eseguito decine di perquisizioni nelle abitazioni di alcuni elementi, ritenuti affiliati alla cosca di Pasquale Puca, detto «’o minorenne», capo dell’omonimo clan di Sant’Antimo, con il pallino degli affari immobiliari. E i controlli sono stati eseguiti anche nelle abitazioni degli appartenenti al piccolo clan capeggiato da Vincenzo Marrazzo, che controlla gli affari illeciti a Casandrino, da sempre in forte contrasto con il clan Verde. Un anno fa, il 30 dicembre, nei pressi di una pescheria a Casandrino, due fratelli di Vincenzo Marrazzo, furono feriti a colpi di pistola mentre compravano frutti di mare per il cenone di San Silvestre. Un anno dopo, sempre a Casandrino è caduto sotto una gragnuola di colpi il padrino di Sant’Antimo. Ma per capire chi ha mirato così in alto, basterà attendere qualche giorno per conoscere il nome della prossima vittima, che qui, tra Sant’Antimo e Casandrino, giurano sarà la prima di una lunghissima scia di morti ammazzati.

MARCO DI CATERINO





LA MORTE DEL RAS NON CANCELLA IL PIZZO


Potrebbe esserci uno scenario di assetti criminali in evoluzione a far da terreno di coltura alla decisione di eliminare il ras di Sant’Antimo. Anche se, nell’immediato futuro, secondo fonti investigative, nulla dovrebbe cambiare nelle gerarchie locali e nei «terminali del pizzo». «Hanno ucciso il Negus» si diceva l’altra sera a Sant’Antimo e a Grumo, in quei luoghi di solito punti d’incontro di personaggi orbitanti nel malaffare. Ma nessuno sembrava essere sorpreso più di tanto. Anzi, quasi come in molti se l’aspettassero. D’altra parte non poteva essere diversamente se la pax regnante in zona viene improvvisamente interrotta e, per giunta, nelle giornate natalizie dove, tradizionalmente, le armi hanno quasi sempre taciuto. Per le «voci di dentro» delle cosche la responsabilità dell’uccisione dell’imprenditore di Cesa è tutta attribuibile ai Verde. Come dire: la risposta era nell’aria anche perché padre e fratello della vittima sono considerati vicini al boss di Cesa, Nicola Caterino. E se dopo appena due giorni viene ammazzato il Negus, per giunta con un apparato di tipo militare e con un volume di fuoco impressionante, allora qualcosa deve pur significare. «Attraverso risultanze investigative era abbastanza chiara una trasformazione degli assetti criminali nella zona di Sant’Antimo – spiega il procuratore aggiunto Franco Roberti, coordinatore della Dda – Il quadro che ne sta venendo fuori, grazie a una serie di attività di indagine e processuali, inizia ad apparirci abbastanza chiaro. Ed in questo scenario è più che naturale che qualcuno tenterà di occupare il posto del boss ammazzato l’altra sera. Ma il problema nodale – conclude Roberti – è quello di possibili alleanze che possono adesso sorgere non tanto con chi già opera sul territorio, ma con figure nuove e i clan dei casalesi: vecchi antagonisti dei Verde e nomi nuovi e noti ma non ancora di spicco». I recenti sviluppi investigativi sul delitto – il ritrovamento della Thesis carbonizzata, usata dal commando con all’interno le armi, fornisce ulteriore forza alla tesi del procuratore Roberti. Ma sul piano pratico nulla dovrebbe cambiare: i terminali della camorra nell’area tra Sant’Antimo, Frattamaggiore, Grumo Nevano, Casandrino resteranno sempre gli stessi. Fonti di polizia giudiziaria sono orientate a definire l’uccisione di Francesco Verde estranea a logiche di assestamento in dinamiche criminali più ampie, ma qualcosa di più circoscritto: il boss non temeva per la sua vita, altrimenti non andava in giro senza una scorta e disarmato.
MAURIZIO CERINO





La pista casertana

La cosca esclusa dal racket ma forte negli appalti




Se non ci fosse stato l’omicidio di Natale, se Cesario Ferriero non fosse stato ammazzato tre giorni prima del Negus, ciascuno dei due delitti sarebbe stato collocato senza problemi in scenari locali, in faide di paese. Possibili, senza dubbio. Ma il filo stretto tra i due agguati si rafforza ora dopo ora. L’auto degli assassini di Francesco Verde, ritrovata nelle campagne di Lusciano – molto distante, quindi, da Casandrino – sposta l’attenzione degli investigatori sull’Agro aversano e sul clan dei Casalesi. Le frequentazioni della famiglia Ferriero, del padre e del fratello di Cesario, portano invece a Sant’Antimo. In mezzo, le comuni frequentazioni con elementi di spicco casalesi: quelle storiche di Verde, risalenti a oltre un quarto di secolo fa, certificata dall’amicizia del Negus con Bardellino e del nipote, successiva, con Francesco Schiavone-Sandokan; quelle dei Ferriero con Nicola Caterino, capozona di Cesa in eterno contrasto con Amedeo Mazzara (legato al santantimese Pasquale Puca e ai Ranucci), e quindi con Francesco Bidognetti, antagonista di Schiavone ma ancora suo alleato. Frequentazioni documentate dalle indagini e dagli accertamenti che hanno portato, l’anno scorso, all’arresto del figlio di Bidognetti, nel bel mezzo della faida a Cesa che costò la vita al fratello di Caterino. Certezze che portano una data, il 2006, quando le indagini portavano a ipotizzare l’esistenza di un asse tra Casal di Principe e Sant’Antimo, e cioè tra il gruppo Schiavone (e per lui Mazzara) e i Ranucci, per la gestione delle estorsioni nell’area di confine tra la zona atellana, Cesa e Gricignano e l’hinterland napoletano. Alleanza che escludeva Francesco Verde, Nicola Caterino e Bidognetti senza che questo creasse motivo di particolari tensioni perché l’accordo prevedeva che questi si occupassero di altro, per esempio degli appalti. Nel frattempo lo scenario è mutato. A settembre di quest’anno Domenico Bidognetti, nipote e luogotenente di Francesco ”Cicciotto ’mezzanotte”, si è pentito. Due mesi dopo lo ha seguito Anna Carrino, per oltre vent’anni compagna dello stesso Cicciotto. Bidognetti, dal carcere, manda segnali agli Schiavone perché si sappia che lui, pur provato dai tradimenti familiari, non abbandona il clan. Ma è diventato debolissimo, e con lui gli uomini che erano stati i suoi rappresentanti di zona. «Attraverso risultanze investigative ci era abbastanza chiara una trasformazione degli assetti criminali nella zona di Sant’Antimo – spiega il procuratore aggiunto Franco Roberti, coordinatore della Dda di Napoli – Il quadro che ne sta venedo fuori, grazie a una serie di attività di indagine e processuali, inizia ad apparirci abbastanza chiaro. Ed è in questo scenario è più che naturale che qualcuno tenterà di occupare il posto del boss ammazzato l’altra sera. Ma il problema nodale è quello di possibili alleanze che possono adesso sorgere non tanto con chi già opera sul territorio, ma con figure nuove e il clan dei Casalesi: vecchi antagonisti dei Verde e nomi nuovi e noti ma non ancora di spicco». È in questo contesto che viene deciso l’omicidio di Cesario Ferriero, giovanissimo imprenditore, incensurato, faccia pulita di un’impresa edile che ha curato per anni gli interessi di Caterino, nella zona di Cesa e Gricignano ma anche nel capoluogo. Ed è in questo stesso contesto che Verde muore.

ROSARIA CAPACCHIONE



IL MATTINO 30-12-2007

PUBBLICITÀ
PUBBLICITÀ
PUBBLICITÀ