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Imprenditore massacrato nel raid

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Decine di colpi di kalashnikov e pistola calibro 45 sparati da almeno due sicari per uccidere Domenico Belardo, conosciuto come «Mimì o cafone», e ridurlo in condizioni che nemmeno la sua futura sposa avrebbe potuto riconoscerlo. L’omicidio consumato ieri pomeriggio in via Bugnano ad Orta Di Atella è di chiara matrice camorrista. Per i carabinieri del reparto territoriale di Aversa è ancora difficile inquadrare l’agguato nella lotta intestina tra fazioni che si gioca nella zona-cerniera atellana, ma gli indizi portano alla soluzione più logica: la risposta all’uccisione di Francesco Verde, alias «il Negus», il capo dei capi a Sant’Antimo assassinato il 28 dicembre scorso. Domenico Belardo, 41 anni, imprenditore edile con precedenti penali, considerato dagli inquirenti vicino al clan Moccia e titolare della ditta «Italiana pietre» con sede in via Bugnano, doveva sposarsi quest’anno con Lina Bortone. La donna è accorsa sul posto appena appresa la notizia: «Non ho niente da dire, lasciatemi in pace», ha dichiarato ai giornalisti. Stando ad una prima ricostruzione dei fatti, erano da poco trascorse le ore 14 quando sul cellulare dell’imprenditore è giunta una telefonata. Belardo si è precipitato in azienda dove ha incontrato delle persone che lo aspettavano in cortile: ha parlato con loro per cinque minuti; poi, quando si è voltato per raggiungere l’ufficio, è stato freddato dai colpi di kalashnikov. È morto sul colpo, inchiodato a terra sui sampietrini del cortile, gli stessi che la sua azienda lavorava ed esportava anche in Umbria ed in Emilia Romagna. Una sorta di omicidio per analogia che getta luce anche sul possibile movente legato, forse, all’attività nel campo edilizio, apparentemente molto remunerativa, della vittima. Via Ceccarini a Riccione, ad esempio, pare sia stata rimessa a nuovo con i sampietrini della ditta atellana. Un business di migliaia di euro. Sulle pietre laviche che l’azienda del Belardo intaglia ed esporta, si gioca, probabilmente, tutta la partita degli appalti e delle forniture che il clan dei Casalesi con i Moccia gestisce ad Orta Di Atella. Nessuno ha fornito agli inquirenti elementi concreti per avviare le indagini coordinate dal Pm Carmine Eposito della Dda di Napoli. Gli operai che lavoravano a soli cinquanta metri di distanza dal luogo dell’agguato, hanno dichiarato di aver sentito i colpi e di essere fuggiti. I sicari pare si siano allontanati con un auto. Sono stati ascoltati tutti gli utenti registrati sul telefono cellulare della vittima per risalire all’appuntamento al quale si era presentato Belardo. Poche ore prima in azienda erano giunti anche i carabinieri della locale stazione per rintracciare un cittadino albanese che aveva l’obbligo di firma in caserma. Divorziato con due figli, Belardo era stato indagato in stato di libertà nel 2004 per associazione di stampo mafioso. Il suo nome risulta inserito in un’ordinanza assieme a quello di Marcello Di Domenico, capo del sodalizio camorristico operante nell’Agro Nolano arrestato a settembre dai carabinieri di Castello Di Cisterna. Per gli inquirenti Belardo è da considerarsi vicino al clan Moccia che, con i casalesi, nel 2004, fu accusato di imporre ai distributori un regime di monopolio dei marchi di latte «Berna» e «Matese», appartenenti prima alla Cirio e poi, tramite le società Eurolat e Newlat, riconducibili alla Parmalat.


MARILÙ MUSTO – IL MATTINO 8 GENNAIO 08

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