Gli ha preso il braccio e gliel’ha teso. Poi, dopo avergli sferrato calci e schiaffi, gli ha urlato: «Così, lo devi tenere così: il braccio deve essere dritto e la mano deve essere tesa, altrimenti la gente non capisce e non ti danno soldi». Una scena fin troppo eloquente agli occhi di due carabinieri del nucleo antirapine – militari in borghese – entrati in azione a interrompere lo strazio che si stava consumando proprio lì, sotto gli occhi di decine di passanti. Finisce così in cella un romeno senza fissa dimora, Ion Elvis Nità, 21 anni, arrestato in flagranza di reato, con le accuse di riduzione in schiavitù, violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Stava picchiando un bimbo di soli due anni – il figlio della propria compagna – per inculcargli a suon di ceffoni e calci le regole di un «mestiere», quello dell’elemosina, che fa leva soprattutto sulla sofferenza di donne e bambini. L’uomo ha tentato di reagire, ha opposto resistenza e ha creato confusione ad arte. Una mossa che ha consentito alla donna che gli stava accanto di dileguarsi assieme al figlio. Ora la caccia è aperta. L’obiettivo è rintracciare il bimbo e valutare l’opportunità di affidarlo ad assistenti sociali, di sottrarlo comunque alla mamma. Una scena irritante, accaduta la scorsa mattinata – intorno alle 10,30 – lungo corso Garibaldi. Strada trafficata, solito via vai di persone in giro per il centro, quando i due carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale (del generale Gaetano Maruccia e del colonnello Gerardo Iorio) hanno deciso di entrare in azione. Hanno notato il piccolo in lacrime incassare i colpi in pieno volto. L’uomo lo teneva stretto all’altezza dell’avambraccio, evidentemente preoccupato per lo scarso incasso delle prime ore della mattina. «Devi fare come ti dico», sbraitava. Poi, subito dopo l’intervento dei carabinieri, il romeno si è mostrato addirittura infastidito: «È mio, che volete? Fatevi gli affari vostri, che cosa volete? Non stiamo facendo nulla di male». C’è stato un parapiglia, nel corso del quale il 21enne ha lasciato la presa del piccolo, che non ha perso tempo a schizzare tra le braccia della mamma. La donna, quasi rispondendo ad un comando esterno, si è volatilizzata, mentre il compagno teneva comunque impegnate le forze dell’ordine. Immediate le ricerche nel campo rom di Giugliano. In casi del genere le donne godono di una protezione collettiva. L’intera comunità si ricompatta per impedire che il piccolo venga riconosciuto e sottratto alla mamma, vista anche l’importanza che una giovane vita riveste per l’economia delle baraccopoli. Sono i più piccoli infatti a rappresentare una fonte di guadagno immediata per le famiglie che vivono in aree suburbane, che si accampano in roulotte e aree dismesse. La gestione viene in genere affidata a un uomo, che detta il ritmo di una vita da trascorrere in strada, tra chalet, paninoteche, bar e tavolini all’aperto. Il clou del business coincide proprio con la bella stagione. In primavera e in estate, lo sfruttamento dei piccoli rom raggiunge il massimo degli incassi. Da Giugliano, Casoria, Ponticelli, Quarto sbarcano sul Lungomare. Spesso l’ingresso in città avviene anche a bordo di furgoncini, pieni di donne e dei loro piccoli, buoni sempre e comunque a sensibilizzare il passante di turno, con tanto di occhi sgranati e il palmo della mano tesa, con tanto di braccio ben in vista, che è poi il modo più rapido per spillare quattrini che vanno ad ingrossare un vero e proprio sistema criminale.
LEANDRO DEL GAUDIO
Il Mattino il 28/04/08
In piedi per dodici ore al giorno sudore e lacrime davanti ai semafori
I primi comparvero ai semafori del centro in braccio alle loro mamme nell’estate di quattro anni fa. All’inizio erano una dozzina. Ma nel giro di qualche mese diventarono un centinaio. E il numero crebbe a dismisura, settimana dopo settimana. I piccoli romeni, sfruttati dai loro genitori, costretti a mendicare agli angoli delle nostre strade da allora sono diventati migliaia. Il «Mattino» li fotografò ai semafori, agli angoli delle strade, davanti alle chiese, ai supermercati. E raccontò che bambini piccoli, anche neonati, venivano tenuti in strada anche dodici ore al giorno, ad elemosinare in braccio alle loro presunte mamme. Insorse l’Opera Nomadi. Disse che quella era la loro cultura, che non bisognava ostacolarli, censurarli. Ma, come detto, il fenomeno crebbe. A dismisura. I romeni, tutti provenienti dalla città di Calarasi, crearono insediamenti in varie aree della città: a Fuorigrotta, Ponticelli, Poggioreale. Migliaia di uomini, donne e soprattutto bambini che vivevano in condizioni di degrado disumano. Ne scaturirono due imponenti blitz: uno nella struttura sportiva dell’ex Nato – sgomberato di 1500 anime che vivevano nel più totale degrado – un altro in prossimità del cimitero di Fuorigrotta in una baraccopoli fatta di cartoni e lamiere dove vivevano altri mille disperati e dove per le malsane condizioni igieniche era morta una neonata. I due blitz non misero però fine al fenomeno. Qualcuno spiegò al Mattino che i bambini che arrivavano in città non erano i figli di chi li portava in braccio. Quei bambini venivano «comprati» per farli elemosinare. E potevano essere facile preda di malintenzionati. Alcuni pedofili approfittarono dei piccoli disperati in cambio di una manciata di euro. Furono arrestati. Ma il fenomeno dei piccoli mendicanti non è stato mai debellato. di.di.
Il Mattino il 28/04/08