Accuse inutilizzabili, assolto per l’omicidio di Paolino Avella. Cinque anni dopo il tragico tentativo di rapina culminato nella morte dello studente a San Sebastiano al Vesuvio, arriva l’assoluzione in Corte d’Assise per l’imputato Luigi Minichini. Assolto con formula dubitativa, di fronte all’impossibilità di utilizzare nel corso del dibattimento le accuse rese dall’altro imputato Pasquale V, all’epoca dei fatti minorenne. Quest’ultimo aveva confessato il tentativo di rapina e aveva chiamato in causa il complice del colpo finito nel sangue. Una vicenda che il titolare delle indagini, il pm della Procura di Nola Giuseppe Cimmarotta, non esita a definire «paradossale», proprio perché in linea con i principi del cosiddetto «giusto processo», che impone di ascoltare in aula tutti i potenziali testi d’accusa. Ma andiamo con ordine, per spiegare la lettura dei giudici su quel drammatico 5 aprile 2003, in via Matteotti a San Sebastiano al Vesuvio. Ieri pomeriggio è arrivato il verdetto della terza Corte d’Assise, presidente Del Balzo. Subito dopo la morte dello studente, i carabinieri arrestarono un minorenne, Pasquale V., che confessò: «Sono il responsabile della tentata rapina del ciclomotore di Paolo Avella. Assieme a me, c’era anche Luigi Minichini. Abbiamo inseguito quello sullo scooter (un’Honda Chiocciola), che si è schiantato contro un palo ed è morto». Accuse che secondo il codice possono essere usate solo a senso unico: per garantire cioé benefici al minorenne, nel corso del procedimento che lo vede imputato dinanzi al Tribunale dei Colli Aminei, ma che non possono servire nel processo parallelo in Corte d’assise dove è imputato il complice maggiorenne. Le accuse di Pasquale V. potevano valere solo se confermate in aula nel corso di un normale contraddittorio tra le parti. Convocato due volte in Assise, Pasquale V. si è però guardato bene dal confermare le proprie dichiarazioni. Difeso dal penalista Salvatore Operetto, Pasquale V. si è avvalso così della facoltà di non rispondere, dopo aver strappato il beneficio della messa alla prova e una condanna in primo grado a sei anni (in appello a 4 anni e 4 mesi) per «morte come conseguenza non voluta della rapina». Il pm Cimmarotta spiega: «Per Minichini ho chiesto 20 anni per omicidio volontario. Eppure mi sono trovato di fronte ad un imputato che parla e collabora per ottenere benefici individuali e che si trincera dietro la facoltà di non rispondere quando si tratta di venire in aula ad accusare il socio». Difeso dai penalisti Lucio Caccavale e Antonio Del Vecchio, dunque, Minichini torna libero. Inutile anche la condanna a tre anni per un’altra rapina di motorino, che viene cancellata dall’indulto. Rabbia per famiglia dello studente ucciso, rappresentata dal penalista Enzo Maiello.
leandro del gaudio – il mattino 13 maggio 2008
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