Alina Purcea è rumena e ha 25 anni. Nel suo paese si è laureata in giornalismo, in Italia è diventata mamma. A dispetto di una sorte che sembrava accanirsi contro di lei. Nel letto della clinica «Pineta Grande» a Castelvolturno, assistita dal ginecologo Stefano Palmieri, stringe il suo bambino. È il suo miracolo e anche una parabola, semplice ed edificante, che mostra più di qualsiasi inchiesta l’altra faccia dell’immigrazione. Perché dietro c’è una storia alla Frank Capra con l’inevitabile lieto fine. Nel settembre scorso Alina fu coinvolta in un incidente stradale. Era in moto con il suo ragazzo, Valerio.
Lui morì. Per lei un trauma cranico e fratture multiple scomposte. Da allora un personale calvario e una notizia bellissima: era incinta e non lo sapeva. I medici, per i potenti farmaci che le venivano somministrati e per l’esposizione alle radiazioni, la informarono che era una gravidanza a rischio. Ma lei testarda: questo figlio lo voglio, lo voglio per Valerio. E ha vinto la sua battaglia, anche se in questi mesi gli interventi per guarirla sembravano non finire mai. Ma Alina ha vinto e il frutto della sua sfida ha voluto chiamarlo Giuseppe (come il nonno paterno) Alfredo (come il neurochirurgo, Bucciero, che l’ha operata quando il piccolo era stato appena concepito) Antonio (come un amico). E indossa un bavaglino con una scrita inquivocabile per la sua futura integrazione: «Forza Napoli. ’O tengo dinto ’o sanghe». Ora dal letto della clinica ringrazia Dio. Ma a inquietarla arrivano le immagini della caccia allo zingaro, dei criminali pogrom che vanno in scena a Ponticelli. Lei non è rom, ma soffre per quella gente che conosce bene. «Fa male vedere quelle scene in televisione, di gente cacciata in quel modo» commenta stringendo a sé il bambino. «Secondo me, dovrebbero essere più severi alle dogane, sia in Romania che in Italia. Servono controlli maggiori per impedire che arrivi chi ha già commesso reati nel proprio paese». La sua solidarietà, di donna riappacificata, madre contro tutte le speranze, viene dal cuore e dalla ragione: «Delinquenti e fannulloni vanno mandati via. Non parlo solo dei rom, ma anche degli immigrati in generale. Ma chi lavora onestamente o è venuto in Italia per studiare o, semplicemente, vuole assicurare un futuro migliore ai propri figli, non può essere perseguitato con atti di intolleranza». Parole che valgono più di qualsiasi accordo diplomatico, perché testimoniano la vita e vogliono proteggerla.
Pietro Treccagnoli
Il Mattino – 16/05/08