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LITORALE CONTESO: DELITTI E VENDETTE
I BOSS EMERGENTI ALZANO LA TESTA

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Litorale domizio, come due mesi fa. Una Honda enduro, come quella degli assassini di Domenico Noviello. E la stessa mano omicida, dicono gli investigatori. Così come lo stesso movente. Raffaele Granata era un uomo tutto d’un pezzo, che aveva detto no alla camorra e aveva denunciato i suoi emissari. Non pagava tangenti, non riconosceva l’autorità delle armi, e come Noviello aveva accusato – era il 1992, tanti anni fa – chi era andato a battere cassa: i bidognettiani di quel tempo, Pasquale Morrone e Andrea Conte. Anche tre giorni fa aveva scacciato gli esattori: in malo modo, anche se si erano presentati a nome dei Casalesi, anche se sulla Domiziana e nell’agro c’è la guerra. Non li aveva denunciati, aveva preferito vedersela da solo. E solo si è trovato ieri mattina, quando i due uomini sono tornati. Il suo rifiuto, quell’ostinazione a non voler né pagare né trattare, agli uomini nuovi della camorra casalese è apparsa come una irritante e insopportabile insubordinazione. Che in regime di terrore andava punita, e subito. Il regime del terrore, appunto. Dura da quasi tre mesi, inaugurato dall’omicidio di Umberto Bidognetti, zio di capocamorra e padre di pentito, e marcato da quello di Domenico Noviello e poi di Michele Orsi. In mezzo, un attentato incendiario e un tentato omicidio, quello della nipote di Anna Carrino, ex compagna di Bidognetti e collaboratrice di giustizia. Una stagione di sangue inaugurata alla vigilia della sentenza di appello del processo Spartacus e affidata a un manipolo di killer, quello che era stato il gruppo di fuoco del clan Bidognetti, funzionale però agli interessi dell’intera organizzazione: Giuseppe Setola, Alessandro Cirillo, Pasquale Vargas, Emilio di Caterino. Con loro, anche i maranesi che appartenevano alla famiglia Polverino e che da qualche tempo vivono sul litorale domiziano, in accordo stretto con i bidognettiani. E non è un caso che qualcuno, tre giorni fa, abbia riconosciuto negli esattori che avevano bussato al lido di Granata «uno dei Portafoglio», il soprannome dei Polverino. Persone, ipotizzano alla Dda, che potrebbero aver fornito appoggio logistico al commando che aveva cercato di uccidere Francesca Carrino, a Villaricca. Ma Setola e i suoi compagni starebbero perseguendo anche un obiettivo personale: regolando i conti con chi, anche in tempi remoti, li aveva denunciati – ed è il caso di Noviello e dello stesso Granata – e imponendosi come i rappresentanti dell’«ordine nuovo». Forti delle armi e della nomea conquistata negli ultimi due mesi, starebbero raccogliendo tangenti anche da commercianti e imprenditori che, appena a marzo, li avevano mandati via in malo modo. C’è qualcuno che, terrorizzato, ha cercato preventivamente un contatto e che ha pagato anche gli arretrati, la quota negata alla vigilia di Pasqua. E non basta. Il gruppo di Setola starebbe cercando di imporsi anche in casa della famiglia Schiavone, a Casal di Principe: la notte scorsa sono stati esplosi quattro colpi di pistola contro la saracinesca di un negozio di abiti da sposa. E poche ore prima, con mitra e pistole tre persone avevano aperto il fuoco contro la rivendita di auto e moto di Luigi Tamburrino, cugino di Aniello e Raffaele Bidognetti, a Parete. L’obiettivo? Rivendicare il rango di capiclan, mettendo sul piatto la capacità di rappresaglia mancata ai capi storici, indeboliti – dicono – dal carcere e dai sequestri e incapaci di vendicare delazioni e denunce. E il potere di camorra, dicono i falchi, si conquista solo con il sangue.


ROSARIA CAPACCHIONE – IL MATTINO 12 LUGLIO 2008

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