I medici assediati in sala operatoria per trenta, quaranta lunghi minuti. Fuori decine di ragazzi a urlare e minacciare. Insulti, spintoni ai medici e agli infermieri, calci alle suppellettili, pugni alle porte e alle finestre, barelle lanciate contro le mura. Il terrore nel pronto soccorso, nel piazzale antistante l’ospedale San Giuliano, nei reparti ai piani bassi. Impauriti anche i pazienti ricoverati al secondo e al terzo piano. I ragazzi erano arrivati per vedere l’amico coinvolto in un incidente stradale a Melito, 70, forse 80 compresi parenti e familiari. Il 17enne, Gennaro Varriale, di Mugnano, muore dopo qualche ora nonostante il disperato intervento dei medici e una complessa operazione chirurgica appena avviata. La notizia arriva ai familiari mentre il corpo senza vita sta per essere portato fuori dalla sala operatoria. Ed è a questo punto che si scatena la rabbia dei ragazzi e dei parenti. I medici tentano di spiegare e confortare i familiari: «Abbiamo fatto di tutto, ma le ferite erano troppo gravi», dicono. Non c’è modo però di far comprendere le ragioni, di sopire la rabbia. I ragazzi vorrebbero prendersela con il mondo intero mentre piangono l’amico. C’è chi si intrufola e raggiunge la sala operatoria. Nel panico il personale della vigilanza, gli infermieri. I medici sono bloccati in sala operatoria. C’è chi vorrebbe entrare per vedere il ragazzo, ignorando che il corpo è stato ormai trasferito in sala mortuaria. Anche la salma è bloccata, non si riesce a trasferire il cadavere al Policlinico di Napoli per l’autopsia. Scatta l’allarme. È chiuso il presidio di polizia (funziona fino alle 14.30), che da qualche anno riesce in parte a contenere le frequenti intemperanze di familiari, ragazzi e tossicodipendenti che approdano nella terra di frontiera del pronto soccorso. Arrivano le prime pattuglie dei carabinieri, una viene trasferita addirittura dal luogo dell’incidente dove sono in corso i rilievi. La situazione in ospedale precipita, si teme il peggio. È una emergenza di ordine pubblico. Arriva anche la polizia. Ma intanto i medici e gli infermieri non sono nelle condizioni di andare avanti con le altre attività. La salma del ragazzo continua a essere bloccata, il carro funebre non può uscire. La tensione si legge nel volto dei medici per l’ennesima, durissima prova nell’ospedale che di notte diventa terra di nessuno, regno della paura. «Non è la prima volta, ma sicuramente è stata la più dura», sbotta un infermiere. «Così non riusciamo più ad andare avanti», aggiunge un medico. Medici picchiati, infermieri strappati dalle barelle mentre assistono un paziente o perfino rapinati dai tossicodipendenti arrivati in preda a una crisi di astinenza. «Fui minacciato da un tossicodipendente che stava rischiando di morire – racconta un medico – perché gli avevo somministrato un farmaco che lo liberava dallo sballo. Lui aveva da recriminare perché così gli avevo fatto perdere i soldi della dose». Ma nella terra di frontiera dove medici e infermieri sono a rischio, capita anche che talvolta ad accendere la miccia sia il poco garbo di alcuni addetti. Così, quando il poco garbo di qualcuno e prepotenza di tanti si scontrano capita di tutto. f.v.
Il Mattino il 24/07/08
«Senza controlli, ostaggio dei balordi»
Il pronto soccorso è un presidio di frontiera: 300mila possibili utenti e un solo poliziotto a disposizione del drappello, aperto solo di mattina e quasi mai nel fine settimana. Qui risse, aggressioni ai medici e danni alla struttura sono diventati routine, specie di notte. «Abbiamo richiesto più volte la presenza fissa di un maggior numero di agenti da affiancare alle due guardie giurate – dice Anna Punzo, direttore sanitario del San Giuliano – ma ci hanno sempre risposto che non era possibile. Quando si scatena l’inferno, siamo costretti a sollecitare il loro intervento e i tempi, per quanto brevi, non garantiscono l’incolumità di medici e pazienti». Ma cosa scatena l’ira dei familiari? «Si tratta spesso di un rifiuto del rispetto delle regole: pretendono interventi immediati e attenzioni che spesso non possono essere riservate al loro congiunto perché ci sono pazienti più gravi a cui si deve dare la precedenza. Diventano arroganti e non capiscono che si può attendere». Le attese diventano lunghe se c’è anche carenza di personale. «Il nostro pronto soccorso non ne soffre, almeno non più delle altre strutture dove, pur essendoci più forze dell’ordine, si verificano comunque episodi di violenza. È una questione di civiltà e qua non c’è. I medici fanno del loro meglio per dare risposte alle esigenze di assistenza, ma basta un nulla per far scatenare la protesta e, spesso, anche la rissa». Ma cosa fate per tutelarvi? «Abbiamo installato tre videocamere e portato a 24 ore su 24 l’orario di servizio della vigilanza privata, ma questo sforzo non è servito a scongiurare aggressioni e danni alla struttura. Ogni volta che viene danneggiata un’apparecchiatura siamo costretti a chiederne una in sostituzione ed è sempre un ulteriore disagio».
TONIA LIMATOLA
Il Mattino il 24/07/08