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CASALESI: UN PATTO TRA CASERTANI E AFRICANI

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La telecamera ha funzionato a vuoto, un’altra volta. Un occhio cieco, come quello che inquadrò i volti degli assassini di Domenico Noviello e dei due albanesi uccisi ai tavoli del bar Kubana, due settimane fa. È un inutile orpello, comprato con i soldi del «Progetto sicurezza» e in gestione alla Forestale, issato sul palo dell’illuminazione proprio all’angolo tra la Domiziana e via Cesare Battisti, un giocattolo senza videocassetta. I quattro uomini del commando lo sapevano, e sono sfilati silenziosi, brandendo il kalashnikov e le pistole, fino al cancello bianco che delimita la proprietà di Teddy il nigeriano: un container che affaccia su un cortile, il ballatoio che fa da ingresso e da anticamera alla cucina e alle camere da letto della famiglia Egonnmwan. Teddy, la moglie Alice e altri cinque amici dell’associazione dei nigeriani campani erano seduti proprio là, quando gli uomini del commando sono arrivati, sfidando polizia e carabinieri che hanno gli uffici ad appena un centinaio di metri e che a quell’ora – poco dopo le 19 di lunedì – erano in strada per il cambio turno. Preannunciati da una frenata brusca e da voci concitate, hanno sparato dall’esterno, infilando il mitra e la canna della pistola tra le sbarre del cancello. La sventagliata di proiettili – ventotto i bossoli recuperati – ha attraversato la parete ad altezza d’uomo, ed è solo un miracolo che non sia morto nessuno. Il giorno dopo, la scena della rappresaglia di camorra è la stessa dell’assalto dei banditi in un villaggio del far west: stessa strada sterrata, stesse pareti sottili, stesso abbandono. Scene già viste, a Castelvolturno, quando i Casalesi e i mondragonesi di La Torre marcavano il territorio e contrastavano – era quasi vent’anni fa – le mafie straniere che si stavano impadronendo, con la droga e la prostituzione, del litorale domiziano. Ma questa volta il contesto è diverso perché Teddy il nigeriano non è un mafioso, non traffica droga e ha dichiarato guerra alle prostitute, soprattutto a quelle del suo paese. Teddy Egonwman è un amico della polizia, fa l’interprete per gli investigatori, quando può li aiuta. Trafficanti e madames dicono che faccia il confidente, tradendo gli affari del suo popolo e mettendo in crisi il patto tra le associazioni mafiose africane e la camorra casalese. Un accordo commerciale, siglato all’indomani della strage di Pescopagano, che vede camorristi e mafiosi nigeriani vivere due vite parallele, con un patto di mutuo soccorso – scambi di armi e di killer, vigilanza delle case dei latitanti – e il dazio pagato dagli africani sul giro di affari annuale. Gli scissionisti del gruppo Bidognetti, sospettano gli investigatori del commissariato di polizia di Castelvolturno, starebbero però ricontrattando l’alleanza e, soprattutto, rivendicando il primato di camorra sulle mafie straniere. Teddy Egonwman e la sua associazione starebbero disturbando la trattativa e creando non pochi problemi agli alleati africani del clan. Ma non basta. Nello scenario disegnato dalla polizia e messo nero su bianco dai cinque feriti – Teddy, la moglie Alice e i tre amici – entra anche un pezzo di Africa nera, con i suoi riti e le sue superstizioni. A volere morta la famiglia Egonwman ci sarebbe anche una donna nigeriana, fidanzata con un uomo del clan dei Casalesi che avrebbe a sua disposizione una banda di giovani fedelissimi e spietati. Esecuzione che era stata affidata alla magia nera, a un esorcismo voodoo commissionato dalla donna alla madre, che vive a Benin City, attraverso una videocassetta. Il filmato era in possesso di Teddy e Alice, che lo avevano intercettato e che l’altra notte lo hanno consegnato agli investigatori. La loro colpa? Aver boicottato la prostituzione, gli affari delle madames, gli interessi del clan. E avere troppi amici tra poliziotti e carabinieri.


ROSARIA CAPACCHIONE

Il Mattino il 20/08/08

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«Ma io voglio aiutare le nostre donne»

Rispetta la consegna del silenzio, non accenna alla denuncia fatta alla polizia, non dice nulla dei suoi sospetti. Si stringe nelle spalle: «Le ronde anti-prostituzione? Non credo che abbiano a che fare con l’agguato. Almeno lo spero. Anche se è l’ultima cosa di cui mi sono occupato, lo faccio per le nostre donne…..». Teddy Egonwmwan e la moglie Alice Imaswen sono appena tornati dal commissariato. Non riescono a dare una matrice alternativa al raid. Scartano la rappresaglia razzista, perché vivono a Castelvolturno da quasi vent’anni e per metà sono ormai italiani. E non resta, quindi, che l’impegno per la legalità, la collaborazione con lo Stato: come dicono i connazionali, come accusano le madames della prostituzione. I coniugi Egowmwan arrivarono in Italia da clandestini. Durò poco. Teddy trovò lavoro in un’azienda edile, il permesso di soggiorno per lui e per la moglie arrivò qualche mese dopo. Alice si diede al commercio di oggetti africani, per molti anni ha avuto un negozio a Baia Verde prima di dedicarsi a tempo pieno all’impresa di famiglia: l’import-export di prodotti alimentari africani. Teddy, invece, si è occupato da sempre di politica. Sette anni fa fondò, a Castelvolturno, la Edo Community, un’associazione che conta circa duemila immigrati provenienti tutti dalla regione nigeriana di Benin City. Due anni fa, poi, ma con meno fortuna, aveva cercato di allargare la base degli iscritti, fondando l’associazione dei nigeriani in Campania. Cinque anni fa era stato eletto anche nel consiglio provinciale degli immigrati.

VINCENZO AMMALIATO
Il Mattino il 20/08/08

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