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AGGREDISSIONE ALLE FORZE DELL’ORDINE

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Sono già tornati a casa. Liberi. Ma soprattutto scagionati da un’accusa molto pesante: quella rappresentata dall’aggravante di avere agito per agevolare un’associazione mafiosa. È durata meno di 24 ore la detenzione di Raffaele Amato e Francesco Ferro, ritenuti dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli affiliati al clan degli scissionisti. I militari che avevano invece tentato di fermarli hanno ancora sul corpo, nonostante le cure in ospedale, le conseguenze dell’aggressione subita nel rione 219 di Melito da parte della folla che voleva coprire la fuga degli esponenti del clan. Ieri mattina i due sono comparsi davanti al giudice per le indagini preliminari Enrico Campoli per l’udienza di convalida. Per la Direzione distrettuale antimafia era presente il pm Luigi Cannavale, in aula c’era anche il difensore dei due indagati, l’avvocato Luigi Senese. Al termine della discussione, il gip – pur convalidando l’arresto – ha disposto la scarcerazione di Amato e di Ferro, accogliendo le richieste del penalista. Ma soprattutto il giudice Campoli non ha ritenuto di convalidare a carico degli indagati – che giovedì mattina avevano forzato un posto di blocco dei carabinieri, dando vita ad un lungo inseguimento culminato poi nell’arresto – l’aggravante dell’articolo 7 delle legge che prevede l’aggravante di aver agevolato un’associazione mafiosa. Aggravante che – se invece fosse stata convalidata – avrebbe con ogni probabilità mantenuto in carcere i due. Un successo per la difesa dei due indagati, insomma. Ben diversamente può invece essere considerato l’esito della vicenda, se lo si guarda dal punto di vista degli investigatori: due giorni fa i carabinieri subirono infatti un assurdo assalto da parte di centinaia di persone, a Melito, scese in strada per contrastare la cattura dei fuggitivi. Ricapitolando, a questo punto le cose stanno in questo modo: Raffaele Amato – detto «’Lelluccio ’o piccirillo», nipote del più noto Raffaele Amato, ritenuto dalla Dda il capo della cosca degli scissionisti – e Francesco Ferro sono liberi, anche se restano indagati dei reati di lesioni e resistenza a pubblico ufficiale (ma senza la contestazione dell’aggravante). La Procura antimafia, coordinata da Franco Roberti, valuterà nelle prossime ore se ricorrere in appello contro la decisione del gip. Quella di mercoledì fu una giornata drammatica per i fatti che videro protagonisti i residenti di un intero quartiere, la «219» di Melito, scesi in campo contro i militari dell’Arma. Oltre cento tra uomini e donne assalirono la pattuglia di carabinieri entrata in azione per arrestare i due giovani che erano fuggiti all’alt imposto ad un posto di blocco. L’ennesimo, grave e brutto segnale di un clima caratterizzato dal condizionamento ambientale della criminalità organizzato nei Comuni dell’hinterland a nord di Napoli, saldamente controllati oggi proprio dagli scissionisti.


GIUSEPPE CRIMALDI

Il Mattino il 30/08/08


Il procuratore Giovandomenico Lepore

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«Valuteremo la situazione e poi prenderemo la decisione che riterremo più appropriata. Rispettiamo la decisione presa dal giudice per le indagini preliminari, ma se ci sono gli estremi per ricorrere in appello lo faremo». Per il procuratore Giovandomenico Lepore, quella di ieri non è stata una giornata di vacanze. Pur trovandosi lontano dal suo ufficio, in una località fuori Napoli dove sta trascorrendo gli ultimi giorni di vacanza, Lepore ha seguito ora dopo ora gli sviluppi di due importanti vicende: il maxi-sequestro di cocaina disposto dalla Dda in Liguria e i risultati dell’udienza di convalida a carico del nipote di Lello Amato e del suo presunto complice. Procuratore, il gip – pur convalidando gli arresti – ha limitato le accuse alla resistenza e alle lesioni. Cade l’aggravante dell’articolo 7. E i due giovani sono tornati liberi. «Attendo di poter leggere le motivazioni del gip. Poi prenderemo una decisione, con i colleghi della Direzione distrettuale antimafia». Come giudica quel che è accaduto due giorni fa a Melito, proprio in occasione dell’arresto dei due indagati? «Si tratta sicuramente di un episodio molto grave: mi riferisco all’aggressione subìta dalle forze dell’ordine nell’esercizio delle loro funzioni». Secondo lei che cosa dimostra quell’episodio? «Il vero problema resta l’atteggiamento di connivenza dimostrato dalla gente che risiede in interi quartieri controllati dalla camorra. L’aggressione ai carabinieri è un brutto segnale. Ma quel che fa veramente rabbia è che la gente cointinua a dare una mano ai delinquenti». Succede forse anche perché la camorra è in grado di garantire a interi nuclei familiari posti di lavoro e introiti economici. È d’accordo? «Non direi esattamente questo. Analizzerei piuttosto quella zona grigia che subisce un condizionamento ambientale purtroppo ancora molto forte. Non posso e non voglio pensare che chi è sceso in strada per contrastare i militari siano tutti pregiudicati o affiliati alla camorra. Dico però che c’è chi è sempre pronto a parteggiare e a difendere per quelli che ai loro occhi rappresentano quasi i più deboli. Sa che cosa mi ricorda questa vicenda?». Che cosa? «Il periodo del contrabbando di sigarette. Quando c’era chi parteggiava per gli “scafi blu” e andava contro le motovedette della Finanza. Un atteggiamento che, purtroppo, si rinnova nel dna dei napoletani». giu.cri

Il Mattino 30/08/08



Nel regno degli scissionisti si spaccia davanti a tutti.
Il sindaco: «Territorio devastato e al collasso. La città ha subìto un’invasione da Napoli»

«Al parco Monaco, quello dei bipiani, tempo fa un papà intravide dal balcone di casa due carabinieri che gli stavano arrestando il figlio. Scese in strada. E li picchiò, liberando la creatura». Via Vienna, via Praga. Via Lussemburgo. Palazzacci sgradevoli, cortili spelacchiati. Cassonetti ricolmi. Dove non sembra mai Natale. Dove quando si spara non è per Capodanno. Qui a Melito, a due passi dal bar «Blu Moon», cuore del rione 219, Occhiodibue se ne sta in disparte, estraneo al mercato e a quelle urla di sentinella. 70 anni, pare un vecchio pirata. «Perché l’aggressione ai carabinieri? Per farsi belli agli occhi del boss. Sai, nell’auto c’era quel giovanotto… E per far scomparire il terzo inseguito, che era un adulto, e pure la macchina, una Fiat Bravo 1900 ultimo tipo di colore grigio. Il mio occhio destro? Lo copro con questa benda. È una ferita… di guerra. E basta così». 3 chilometri quadrati, 40mila abitanti di cui tre quarti importati da Napoli. Densità mozzafiato. In Europa, seconda solo a Portici. Al rione 219 si spaccia anche a mezzogiorno, sotto il sole alto e gli occhi bassi dei sei vigili urbani in dotazione al Comune (per legge, ce ne vorrebbero 44) che sta proprio accanto alla tenenza dei carabinieri (quelli aggrediti) che a loro volta stanno proprio a fianco del rione in cui si spaccia a mezzogiorno alla luce del sole. Terra malata, dove in duecento aggrediscono le forze dell’ordine e le inseguono assatanati per tentare l’assalto alla caserma. Francesco e Raffaele, anime candide che non si fermano all’alt e scappano come lepri per mezza provincia, sono già tornati liberi alle case loro. Animediddìo, in fondo quale male avevano mai fatto? Suor Rosaria delle Ancelle Eucaristiche, anno di fondazione 1934, sussurra gentile: «Avevamo più di 90 orfanelli. Oggi curiamo i più piccini del rione. Ma la droga devasta ogni fiore: qui ne gira tanta che non immaginate». Gabbia di matti, che ruba tetra perfino ai suoi defunti. Sui muri fa impressione un manifesto. La giunta comunale chiede aiuto al prefetto. Per i furti al cimitero. «Sì – conferma Antonio Testa, il vicesindaco – negli ultimi mesi ne abbiamo contati undici. Rubano i vasi e gli oggetti di rame appoggiati sulle tombe. C’è una banda che profana i luoghi sacri». Melito malata. I due rioni del terremoto, quello di via Vienna e quello di via del Cimitero (800 famiglie trapiantate di forza) sono come metastasi, protuberanze innaturali. Qui perfino i commissari prefettizi, in carica per due anni e mezzo dopo lo scioglimento per camorra della giunta di centro-sinistra, si sono arresi prima della scadenza, abbandonando la città in preda a montagne di rifiuti. Antonio Amenta, medico di base, sindaco al secondo mandato: «Oggi i giornali ci riconoscono che siamo tra i paesi più ripuliti. I rioni 219? Tutta colpa dei comunisti. Che più tardi ci imposero anche numerosi insediamenti della 167. Poi, per completare il disastro, Bassolino sindaco comprò 600 appartamenti in zona Mercato e li riempì con altri napoletani. Un’invasione: dai 15mila che eravamo negli anni ’80 siamo diventati 40mila». Come si vive in quei rioni? «Male. Ma la gente dopo 15 anni sta rivedendo almeno le spazzatrici in strada e i camion che innaffiano con l’acqua disinfettante». Era il paese delle mele. E anche del mellitum, cioè del vallone in cui nacque. Oggi si vivacchia col commercio e i disoccupati stazionano a quota 35 per cento. Anomia da terra assediata: qui su quattro abitanti tre sono «stranieri» e solo uno è melitese doc. Il sindaco, per dare uno scossone, ha rinunciato ai 4000 euro del suo stipendio, destinando la somma a una Fondazione che elargisce ogni anno 15 borse di studio. Ai ragazzi più meritevoli. E bisognosi. Spiega Amenta: «Martedì prossimo faremo consiglio comunale nel rione che ha aggredito i carabinieri. Se la gente non verrà, andremo a parlare casa per casa. Non tolleriamo zone franche». «Bene – commenta Venanzio Carpentieri, avvocato e leader dell’opposizione – ma qui c’è soprattutto bisogno di più carabinieri. A Melito abita un numero enorme di pregiudicati agli arresti domiciliari che vanno controllati ogni giorno. Si vive nella paura: se passeggi lungo il corso sai che puoi ritrovarti al centro di un fatto di sangue». E le tecnologie? Racconta Carpentieri: «In centro sono stati affissi i pali per le telecamere. Solo i pali. Da tre anni. Nel rione 219 la piscina comunale non è mai entrata in funzione. I campetti restano vandalizzati. E la gente si è costruita da sola i balconi, ovviamente abusivi». Carlo Galgano, maresciallo dei carabinieri che fa da vice in Tenenza: «Ad affrontare quella folla inferocita – dice – c’era anche un giovane collega alle primissime esperienze. Il nome non lo dico, ma mi sembra giusto render noto il suo coraggio».

ENZO CIACCIO
Il Mattino il 30/08/08

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