Dieci minuti di applausi per l’autore di Gomorra Arriva Saviano e la città trattiene il respiro. Non per la paura, ma per l’emozione. Alla prima ci pensa la polizia, un paradosso per un festival delle letteratura. Ad andare dritto alla testa e al cuore del pubblico è lui. L’autore di “Gomorra”. Una vita sotto scorta da 11.120 ore. Il fiato dei camorristi sempre sul collo. Anche qui, al Teatro Sociale di Mantova, dove lo hanno seguito gli avvocati dei boss. Saviano li riconosce. E li sfida: «Mandatemeli direttamante, i boss. O pensate che io abbia paura?».
Pure sul palco. La scorta non lo lascia un istante. Da due anni il suo quotidiano è blindato e per proteggere gli affetti, per non costringerli a difenderlo, li ha allontanati tutti. Uno dopo l’altro. «È come il gioco dello Shangai, ti sfilano tutto – racconta -. Il bastoncino che rimane sei tu. Nudo sul freddo tavolo». Saviano confessa di sentirsi l’uomo più solo del mondo. Ma una cosa lo conforta: «Ho scritto un libro che è stato letto, adesso i miei occhi sono milioni di occhi». È questo che spaventa i boss. La forza del racconto che si fa carne, sangue, fastidio, rabbia, felicità.
«Sono venuto qui con piacere, perché questo è un festival dei lettori – saluta il pubblico -. E loro hanno avuto un ruolo centrale nella mia vicenda. Ciò che è successo dopo che è uscito il mio libro non è dipeso dalla mia scrittura, il mio sguardo, il mio ragionare, la mia faccia. Sono stati i lettori a metter paura al potere che ho raccontato». Il potere non tollera di «diventare argomento, di essere svelato a un numero ampio di persone. Ognuno di voi comincia a far paura nel momento in cui smette di dire che sono cose del profondo sud». Quando comincia a pensare che riguardano tutti.
Dà le vertigini sapere che l’Italia è il Paese democratico col più alto tasso di uomini scortati del mondo. Che negli ultimi 20 anni i morti di mafia sono stati 10mila. Come nella Striscia di Gaza. Che nella sola Campania, da quando Saviano è nato (nel 1979) si sono contati 4mila morti. Una media di 2 al giorno. Cifre di un paese incivile. «Se accadesse a Londra o Parigi, nessun governo potrebbe reggere. In Italia sì. Perché è sempre stato così. Perché è. Perché accade».
A scandire temi e tempi della guerra in atto nel sud d’Italia sono i quotidiani locali che l’autore di “Gomorra” passa in rassegna con rabbia e stupore. Il Corriere di Caserta e Cronache di Napoli. Il fango gettato addosso a don Peppe Diana, ucciso due volte. La prima da eroe, la seconda da camorrista e pedofilo. Infamie che hanno spento i fari della stampa nazionale, riportando tutto nell’ombra della prudenza. La mitologia dei boss, alimentata da classifiche sulla virilità e il numero di prede. “Sciupafemmine”. Oppure “liberi nell’arte”. I messaggi lanciati dal carcere. Sandokan-Schiavone che si rivolge in prima pagina a Berlusconi per avallare il teorema secondo cui i camorristi non esistono, sono solo imprenditori a cui un gruppo di ciarlatani (i pentiti) cerca di fare le scarpe. Concorrenza sleale. Fino all’assurdo di un boss che, sottoposto al 41 bis e indispettito dalla linea editoriale di un giornale, scrive una lettera (non potrebbe) al quotidiano concorrente. Che conclude così: “Ai pentiti la vita ha chiesto di affrontare il fango come porci”. Mentre il direttore “ringrazia per la stima”.
«Scrivere in una terra così non è come scrivere altrove – assicura Saviano -. La cosa terribile è che le persone che ti odiano di più non sono amiche dei clan. No, sono persone tormentate dalla tua presenza. Perché li costringi a un confronto continuo. A domandarsi e io che sbatto i tacchi di fronte all’ultimo dei padroncini della mia terra? Ma chi ti credi di essere? Pensi di essere meglio di me?».
Dopo quasi due anni sotto scorta, ti accorgi che sei estraneo al mondo: «La vita avviene fuori e tu sei dentro. Ti vengono a trovare come si va a salutare un malato». La vigliaccheria della gente che ti sbatte la porta in faccia, rifiutando di affittarti un appartamento perché non si possa pensare di loro che stanno con quello. Il resto è la confessione di un uomo cresciuto in fretta, che ancora si domanda perché con l’appello «ingenuamente romantico» di cacciare i boss da Casal di Principe ha firmato la sua condanna. Che racconta delle minacce di Antonio Iovine e Francesco Bidognetti. A lui, alla giornalista del Mattino Capacchione e al pm Cantone. Tra il pubblico individua i loro avvocati e li sfida a viso aperto, tra gli applausi: «Mandatemeli direttamente».
Minacce come quelle della sorella di un boss, affidate alla telecamera di Matrix: che gli abbiamo fatto a questo ragazzo, gli abbiamo violentato la fidanzata, la moglie? Gli abbiamo forse ammazzato il fratello?. Minacce come pietre che ti tolgono il sonno e scuotono il pubblico.
Arriva Saviano e la città si scioglie in un applauso lungo dieci minuti.
Igor Cipollina
Gazzetta di Mantova il 08/09/08