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domenica, Giugno 30, 2024
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DIVISE SPORCHE, ARRESTI TRA MARANO E GIUGLIANO

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di LUISA SPINA

MARANO – Un’indagine lunga, con lo scopo d’evidenziare fenomeni associativi. Una svolta e le manette, scattate per delinquenti di professione ed anche per chi si è coperto con una facciata di tutto rispetto, quella di una divisa macchiata dall’ombra dell’illegalità. Traffico d’armi, estrorsioni, spaccio, questi gli ingredienti di una miscela perfetta o quasi. Individuata da un preciso lavoro che ha portato all’arresto di Giovanni Sarnataro, 40enne di Mugnano, di Rosa Grasso, 34 anni, di Vincenzo De Rosa, 33 anni, e di Salvatore Mingacci, 45enne, tutti residenti tra Giugliano e Marano. La lista si è conclusa con altri tre nomi, legati a figure insospettabili, in continuo contatto con la criminalità, forse troppo, tanto da smarrire il senso del loro dovere di poliziotti. Luca Pariota, Rosario Cantarelli e Domenico Libardi, in servizio al commissariato di Montecalvario, si sono visti recapitare gli ordini di custodia cautelare emessi dal giudice per le indagini preliminari Giovanna Ceppaluni su richiesta del pm dell’Antimafia Giuseppe Borrelli. Gli avvenimenti risalgono a quando gli uomini indagati non erano ancora entrati a far parte del commissariato dei Quartieri Spagnoli. Durante una perquisizione svolta a casa di due fratelli, entrambi incensurati, di Giugliano, i tre in divisa hanno rinvenuto 100 grammi di cocaina, ma non si sono mai preoccupati di denunciare il fatto all’ufficio d’appartenenza. Le loro intenzioni erano infatti quelle di tenere per se il “ricavato” di quell’ispezione domiciliare allo scopo di averne un certo tornaconto, diretto o guadagnato di riflesso. Inoltre, una storia di “pagamenti” ingiustificati. I tre complici non hanno rischiato invano e non si sono fatti scrupolo di ricevere da Sarnataro 5.4 milioni delle vecchie lire. Tutto è partito da una telefonata, una delle tante intercettate, avvenute tra Giovanni Sarnataro, una guardia giurata, nessun legame, almeno secondo quanto accertato, con i clan della zona, ma coinvolto in numerosi affari poco leciti e Libardi. Il criminale si teneva all’esterno delle “organizzazioni”, forse per essere più libero d’agire. Tanti e vari i suoi interessi illegali. Non si limitava solo all’illecita compravendita di sostanze stupefacenti, ma nella sua “personale agenda” c’era anche la lucrosa “gestione” dell’affare inerente ai cavalli di ritorno e alla detenzione illegale di armi da fuoco. Era diventato un vero punto di riferimento in questo campo. Ne possedeva più di tredici, almeno da quanto è stato attestato dai primi accertamenti. Pistole, in maggioranza, gli indispensabili “ferri del mestiere”, tutti destinati agli esponenti della delinquenza locale. Intrallazzi vari, tanto “interessanti” da attirarare l’attenzione di Domenico Libardi, altro elemento chiave di tutta la faccenda. Unito al malvivente, come attestato da un precedente provvedimento di custodia cautelare datato gennaio 2003, da uno stretto legame fatto di scambi, confidenze e gli immancabili ritorni economici, inerenti, in particolar modo, alla divisione dei guadagni, frutto della vendita di droga. Com’è emerso dall’accusa nei suoi confronti, lo scopo della perquisizione fatta da Domenico Libardi e dai suoi colleghi non era quella di arrestare i colpevoli del traffico di cocaina, ma quella d’entrare in possesso della sostanza stupefacente, scomparsa, rivenduta o tornata nelle mani giuste, in virtù di quelle confidenze “particolari”. L’agente non era nuovo a questo tipo d’interessamento nei confronti di gente al confine della legalità. Aveva passato già del tempo chiuso dietro le sbarre per quelle sue “attività” che poco legavano con la professione scelta. Era lo scorso gennaio quando è stato arrestato, colpevole ancora una volta di aver favorito quella sua “conoscenza”. Quel sistema, che tanto gli era stato utile. Non aveva esitato a parlare, a ricambiare favori. Aveva la possibilità di accedere a delle informazioni che potevano essere utilizzate ai fini di quegli “scopi”. Non aveva esitato a rivelare quelle notizie che non dovevano uscire dagli uffici della polizia, questo, per favorire gli esponenti di alcuni clan operanti nella zona a nord di Napoli. Uno di questi “signori” è risultato essere coinvolto nell’omicidio di Giancarlo Siani. Lunedì aveva finito di scontare quella condanna, una prova di più a testimonianza dell’attuale stato delle cose. A dire che quelle persone hanno in molte occasioni approfittato della divisa indossata per ottenere i propri scopi. Un’indagine riuscita nel suo intento, quello di rivelare legami e macchinazioni, a svelare un altro tassello di quei meccanismi fatti di mezze parole ed azioni concrete.

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CRONACHE di NAPOLI – 22 maggio 2003




si ringrazia Samuele Riccio

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