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venerdì, Giugno 28, 2024
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Torre Annunziata, denunciò banda di pedofili: uccisa la mamma coraggio

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E’ il terzo delitto legato alla vicenda. Identificato il killer, forse ha agito su commissione



Torre Annunziata, gli investigatori: intimidazione contro i testimoni





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TORRE ANNUNZIATA (Napoli) –
Matilde Sorrentino era una donna di 49 anni che campava con la pensione del marito e con quello che lei riusciva a guadagnare andando a fare le pulizie in un paio di palazzi di Torre Annunziata. Era una persona per bene. Venerdì sera alle otto e mezzo hanno bussato alla sua porta. Lei è andata ad aprire e un attimo dopo era morta, colpita al volto e al petto da due proiettili sparati dall’uomo che aveva suonato. Il marito ha sentito le esplosioni: il tempo di arrivare dal soggiorno all’ingresso e né sul ballatoio né sulle scale c’era più nessuno.
Sembrerebbe una morte inspiegabile, un omicidio senza movente. Ma non lo è. Piuttosto ha tutta l’aria di essere un omicidio per vendetta. E i carabinieri hanno già individuato il presunto autore materiale del delitto, probabilmente «assoldato» per uccidere la donna. Perché Matilde Sorrentino fu una di quelle donne che nel 1997 denunciò i pedofili del Rione dei Poverelli, un quartiere di Torre Annunziata dove alcuni bambini della scuola elementare finirono nelle mani di una banda che a lungo li violentò e li seviziò. Fra quei bambini c’era anche il figlio di Matilde, che all’epoca non aveva ancora compiuto sette anni. Lei e altre due donne capirono per prime che in quella scuola succedeva qualcosa di strano. Si rivolsero ai carabinieri e continuarono a insistere anche quando, in un primo momento, l’indagine fu archiviata. Poi incontrarono un giovane maresciallo che le ascoltò e insieme con lui riuscirono a far venire fuori la verità e a mandare in carcere diciassette persone.
E ora che Matilde è stata assassinata, i carabinieri proprio non riescono a trovare una pista che vada in una direzione diversa da quella della vendetta per l’impegno della donna contro i pedofili del Rione dei Poverelli. E forse non soltanto una vendetta, ma anche una intimidazione, ora che un nuovo processo, scaturito sempre da quell’indagine, sta per essere celebrato. Matilde Sorrentino fu uno dei testi d’accusa più importanti quando davanti ai giudici comparvero le persone arrestate dopo la sua denuncia. Ora altri genitori dovrebbero andare a testimoniare contro alcuni degli stessi pedofili, e quest’omicidio non li aiuterà certo a trovare la tranquillità necessaria per andare a parlare di certe cose in tribunale.
Sono ancora ipotesi, certo, perché in poco più di ventiquattr’ore di indagine il quadro non può essere delineato per intero. Ma un passo importante i carabinieri lo hanno già fatto: hanno individuato l’uomo che molto probabilmente è l’autore materiale dell’omicidio. Un pregiudicato di circa quarant’anni, uno che non è direttamente legato al giro di pedofili del Rione dei Poverelli, ma che, come spiega una investigatore, «ha una storia criminale assolutamente in linea con la possibilità che sia andato a compiere un omicidio per conto di altri». C’è più di un testimone che ha riferito di averlo visto uscire dalla palazzina di via Melito in cui abitava la Sorrentino, e allontanarsi velocemente.
Probabilmente c’era anche un altro uomo, ma per adesso ne è stato identificato uno soltanto. I carabinieri avevano iniziato a cercarlo già nella notte tra venerdì e ieri, dopo che a casa non lo avevano trovato. Ieri mattina, poi, il pm di Torre Annunziata Lucio Giugliano ha firmato nei suoi confronti un provvedimento di fermo.
«Quando lo troveremo, potremo essere sicuri del movente», dicono i carabinieri cercando di mantenersi cauti. A loro tocca fare così, ma intanto hanno già messo sotto protezione il marito di Matilde Sorrentino, Antonio Gallo, i loro due figli, e le altre due donne dalle cui denunce prese il via l’inchiesta.
Una vicenda che ha già due morti ammazzati nella sua storia. I principali imputati: Pasquale Sansone, il bidello della scuola elementare frequentata dai bambini vittime delle violenze, e Michele Falanga, titolare di un bar nel quartiere. Il primo fu condannato a 15 anni e il secondo a tredici, ma nel luglio del 1999 sia loro che gli altri accusati tornarono liberi perché erano scaduti i termini di custodia cautelare. Fecero anche un banchetto tutti insieme per festeggiare, ma pochi giorni dopo, a distanza di ventiquattr’ore uno dall’altro, Falanga e Sansone furono ammazzati, vittime probabilmente di una punizione dei clan camorristici locali. Degli altri quindici imputati soltanto due vennero assolti sia in primo che in secondo grado. Ma molti sono già tornati in libertà.




Fulvio Bufi – CORRIERE DELLA SERA 28 MARZO 2004





Lo scandalo dei pedofili, i delitti di un misterioso “giustiziere”

E sette anni dopo al Rione dei Poverelli torna l’orrore



Quel cerchio di odio e vendetta
attorno alle tre madri-coraggio




TORRE ANNUNZIATA (NAPOLI) – L’inferno non era ancora finito. Sette anni dopo, vittime e carnefici si spartivano lo stesso angusto girone. Convivevano, gomito a gomito, senza bisogno di simulare una quiete: tutti nel raggio di duecento metri, tra quelle palazzine popolari di Torre Annunziata, dove si vedono mare e Vesuvio, profili netti e brillanti, ma inutili e lontani. Sette anni dopo, le madri coraggiose, come Matilde, capace di far condannare dalla giustizia i maniaci che avevano violentato il figlio, si nascondevano in casa subito dopo il lavoro; e i familiari dei condannati per pedofilia, come i Sansone o i Falanga, o Mellone, bestemmiavano al solo nominarle, o vederle passare.

Certo, dopo lo scandalo, sotto le case degli “orchi”, nel rione dei Poverelli, chiamato così per via dell’antico insediamento di mendicanti che fece posto al boom edilizio dei primi Sessanta, oggi sono sorti scivoli colorati e civili giostrine. Oggi ci sono bambini che giocano sui dondoli e canestri per il basket, niente più immondizia ma aiuole curate, e vialetti decorosi invece dell’asfalto eroso da pioggia e calura. Però c’è, di intatto, tutto il clima dell’estate 1997: l’odio, la sete di vendetta, una spirale di violenza ed agghiaccianti scenari di morte che intrecciano la vita di un pugno di persone. Sono gli stessi disegni nefasti che, venerdì sera, hanno armato un giovane balordo appena uscito di prigione, e lo hanno spinto (per soldi, per un saldo personale, per cosa?) a scaricare le sei pallottole di un revolver su una madre inerme e tenace, Matilde Sorrentino, 49 anni. Che, come sintetizza una vicina guardando ancora il sangue rappreso sull’uscio di casa, “si era fidata della giustizia”.

Tutti, nella bolgia di Torre Annunziata, sapevano tutto: di lei e delle altre mamme-coraggio. Fin da quel giorno dell’autunno ’96 in cui Matilde e altre due giovani madri, con i rispettivi figli seviziati nei bagni di scuola o negli appartamenti vicino casa, decisero di denunciare tutto. Scolaretti di scuola elementare, il terzo circolo didattico della cittadina vesuviana, venivano storditi con whisky e droga, poi violentati. In
famiglia, le vittime finirono per raccontare anche quei dettagli insignificanti che la mente di un bambino non può cancellare e che, alla fine, sono diventati “elementi probatori schiaccianti”: il copriletto rosso, gli angioletti alla parete, le siringhe “secche secche”, sottili, usate come minacce, “non dite niente a casa”. Quel giorno, Matilde e le compagne salirono su un treno della Circumvesuviana per arrivare a Napoli, al Comanndo dell’Arma.

Chiesero giustizia, poi vennero le perizie con lo psicologo, i sopralluoghi, i carabinieri travestiti da assistenti sociali nelle aule. E, l’11 giugno ’97, scatta il blitz, 17 arrestati, tra cui tre donne. È solo l’inizio: la prova più dura, il bagno di odio, arriva con la prima testimonianza da rendere in aula, 18 novembre ’97. Gli uomini, i papà, restano a casa, “non ce la fanno”. Matilde e le altre, al processo, vengono insultate, spintonate, quasi aggredite dai familiari degli indagati, non fosse per una schiera di carabinieri a far loro da scudo. Tre mamme segnate dallo stesso destino, faccia a faccia, con i “carnefici” dei loro bambini, rinchiusi in gabbia. Si sfiora la rissa in aula, le mamme costrette a trovarsi un cantuccio nell’angolo più sicuro dell’aula, gli altri che sbraitano. É solo l’inizio.

Soltanto due indagati vengono successivamente prosciolti (un bidello della scuola ed il fotografo), per tutti gli altri, prima condanna. Sono colpevoli, dice il Tribunale di Torre Annunziata. Ma escono dal carcere, tutti: scadenza dei termini. È già il 1999. E, non appena liberi, la camorra elimina, a distanza di 24 ore, i due maggiori imputati. Il 26 luglio viene assassinato Ciro Falanga, il giorno dopo tocca a Pasquale Sansone (rispettivamente condannati a 15 e 13 anni). È il tentativo dei boss di accreditarsi come più efficaci e puntuali “amministratori” di giustizia, è l’Antistato che usa il fuoco dei sicari per sbeffeggiare la giustizia? Due delitti irrisolti, tuttora.

Intanto altri genitori trovano il coraggio di denunciare. Il primo processo si chiude nel maggio dello scorso anno, con sentenza della Cassazione: 14 imputati, tutti condannati. Mentre per analoghe accuse, pende un nuovo giudizio, ma i sospettati sono sempre loro.
Sono passati sette anni. Il coraggio di Matilde non era stato solo sfidare i pedofili e affidarsi alla giustizia, ma girare a testa alta, continuare la vita di sempre e non ascoltare neanche le cassandre di paese. “Matilde, tuo figlio non esce, non ha amici, non lavora. Ha quasi 15 anni, da quando gli è successa la disgrazia sta sempre in casa, o vicino a te. Perché non ve ne andate lontano? Ci sono i tuoi fratelli a Milano…”, le chiedevano i vicini, in quel parco color ruggine, cemento grezzo, dove nessuno ha migliorato una virgola; mentre a pochi passi, giostrine e scivoli adornano il rione dei Poverelli. Matilde annuiva, faceva un sorriso mite e si stringeva nelle sue piccole spalle, di donna forte. “Sì, poi vediamo, magari”, e riprendeva a lavare, schiena curva, a lavare pavimenti dei vari condomìni.

Stava lavorando in cucina, anche venerdì sera. Erano le otto e venti, ora di cena. Matilde Sorrentino, piccola e non bella, è andata ad aprire la porta convinta che fosse suo figlio, proprio il ragazzino dall’infanzia violata. E invece ha aperto all’assassino, balordo ormai identificato e braccato. Sei colpi sulla faccia e sul corpo. Il suo inferno, l’inferno di Torre Annunziata, non è ancora finito





CONCHITA SANNINO- LA REPUBBLICA (28 marzo 2004)

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