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lunedì, Giugno 17, 2024
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PISANU: «LA CAMORRA DA’ PANE AI RIVOLTOSI»
Dopo l’arresto di Cosimo. Il Mattino del 23 gennaio 2005

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NAPOLI. La faida della camorra a Napoli apre un nuovo fronte di polemiche tutto politico. Ad aprire le ostilità è il ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, che ha ancora negli occhi le immagini dell’assalto a colpi di pietre e di insulti alle volanti e ai carabinieri impegnati nella cattura del boss Cosimo Di Lauro. È convinto che alla fine lo Stato «vincerà la sua battaglia contro la camorra, con la collaborazione dei napoletani onesti e laboriosi». Ma il numero uno del Viminale non esita a mettere sul banco degli imputati «i gruppi dirigenti locali che non hanno saputo combattere in modo efficace la disgregazione economica e sociale della città». Ieri i carabinieri, aggiunge il ministro, «sono stati aggrediti da molti, troppi cittadini, uomini e donne apertamente favorevoli alla camorra dalla quale ricevono quotidianamente pane e companatico. Tutto illegalmente, ma è pur sempre pane». Parole che fanno subito salire di un tono il livello delle polemiche. Già in passato non erano mancate le occasioni per un duello ravvicinato fra Pisanu e i vertici delle istituzioni locali. Ad aprire le ostilità era stato il Governatore della Campania, Bassolino, che aveva denunciato la scarsa presenza di uomini delle forze dell’ordine a Napoli. Secca la replica di Pisanu: «C’è la percentuale più alta rispetto ad ogni altra regione». Poi, l’invio di rinforzi aveva chiuso la polemica. Ma solo per poco. Pisanu, qualche settimana fa, aveva sottolineato le differenze fra le regioni governate dal centrodestra, Puglia in testa, dove il fenomeno della criminalità registra un’inversione di tendenza e altre, come la Campania, guidate dal centrosinistra, dove la camorra non conosce tregua. Poi, l’affondo di ieri da Todi, al seminario organizzato da Liberal: «A Napoli lo Stato c’è. Nessuno può pensare di mettere questi problemi di ordine sociale sulle spalle del Prefetto, del ministro dell’Interno o della Polizia». Ancora più esplicito il ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri, a Napoli per il decennale di An. «Le manifestazioni contro le forze dell’ordine sono figlie dell’incapacità di guidare il territorio da parte di una sinistra che è criminogena». Dura la replica del governatore della Campania, Antonio Bassolino, che lancia un monito preciso a Pisanu: «È sbagliato scaricare le responsabilità. La linea, oggi, deve essere quella della collaborazione tra le diverse istituzioni, anche di diverso orientamento politico». Il Governatore esprime tutta la sua solidarietà «ai carabinieri e alle forze dell’ordine vittime dell’assurda reazione che c’è stata a Secondigliano». Ma, insieme «ad una maggiore efficacia negli interventi economici e sociali, dobbiamo sapere che la camorra è un fenomeno relativamente di massa che non nasce solo dal bisogno sociale. Questo immagino che il ministro non lo pensi, perché chi pensa questo sbaglia». A Napoli e nel Mezzogiorno, ricorda Bassolino, ci sono milioni di persone che vanno avanti con lavori saltuari, che sono disoccupati, ma nessuno pensa di arruolarsi nella camorra». Il figlio di Di Lauro, il boss arrestato ieri, non ha nessun problema sociale, guadagna in un giorno quello che un lavoratore guadagna in venti anni. E deve stare in galera». Non digerisce le parole di Pisanu nemmeno il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino. Che prima respinge al mittente le accuse del ministro: «Nessuno ha mai pensato di scaricare i problemi della città sulla polizia». E poi passa al contrattacco: «Non accetto lezioni da parte di un governo che invece di dare nuove risorse ha continuato a tagliare i fondi». La Finanziaria del 2005 prevede, infatti, una riduzione dei trasferimenti di circa 45 milioni di euro. Rossa Russo Iervolino annuncia, comunque, progetti ad hoc per i quartieri più a rischio: «Non sono sorda alle critiche – conclude – ma non accetto che siano avanzate in modo strumentale e distruttivo».

ANTONIO TROISE




Sommossa per il padrino, scatta l’inchiesta


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Per il momento sono ventuno nomi. Ventuno persone nei confronti delle quali, presto, l’autorità giudiziaria potrebbero assumere provvedimenti, facendo scattare una serie di denunce nelle quale si ipotizzano reati che vanno dalla resistenza a pubblico ufficiale al daneggiamento agravato, fino all’istigazione a delinquere. Il giorno dopo la sommossa popolare che ha accompagnato le fasi dell’arresto di Cosimo Di Lauro, un intero quartiere rischia di trovarsi sotto accusa. È il complesso edilizio di Secondigliano noto come «Terzo Mondo», o Rione dei Fiori. Protagonisti della rivolta scatenata contro i carabinieri, uomini e donne di ogni età: una furia che, con il passaparola della notizia che il figlio di Paolo Di Lauro era finito in manette, ha preso corpo materializzandosi in una vera e propria onda umana; una furia che ha cercato di impedire quell’arresto, senza esitare di lanciarsi all’assalto dei carabinieri. Un’ora di pura, assoluta follia. Durante la quale i residenti hanno appiccato il fuoco a decine di cassonetti per la raccolta dei rifiuti e scaraventato oggetti anche contundenti sui militari in azione. Una violenza cieca che, per fortuna, non ha prodotto conseguenze più gravi sul personale delle forze dell’ordine impegnato nel blitz. Per tutta la giornata di ieri i carabinieri del Comando provinciale di Napoli guidato dal generale Vincenzo Giuliani hanno lavorato per ricostruire le fasi dell’assalto. A fine giornata erano 21 le persone già identificate. Già nelle prossime ore il fascicolo d’indagine sarà trasmesso in Procura, ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia che già indagano sulla faida di Secondigliano. Tra gli identificati figurerebbero una quindicina di donne e sei persone di sesso maschile. Le posizioni più gravate, al momento, aparirebero proprio quelle degli uomini, che – secondo la ricostruzione degli investigatori – avrebbero svolto un ruolo primario nella gestione della rivolta. Ma c’è anche un secondo filone d’indagine che prende copro nelle ultime ore: è quello che cerca di far luce sui «festeggiamenti» che hanno illuminato un’altra notte di follia, quella di Casavatore. Qui venerdì sera, non appena si è diffusa la notizia dell’arresto di Cosimo Di Lauro, c’è stato chi non ha esitato a far festa, sparando addirittura fuochi artificiali. Inutile dire che la pista porta agli ambienti criminali degli «scissionisti», che si contendono il controllo del territorio con i fedelissimi del clan Di Lauro. Ieri mattina, intanto, con una lunga telefonata il generale di Corpo d’Armata Luciano Gottardo, comandante generale dell’Arma, ha espresso il suo plauso al generale Giuliani per la cattura di Cosimo Di Lauro. Soddisfazione per l’operazione è stata espressa anche dai comandanti regionale e interregionale dell’Arma, i generali Leonardo Gallitelli e Massimo Cetola.

GIUSEPPE CRIMALDI





«Io, costretta a partecipare all’assalto»





Parla al telefono, Anna. Perché tra il suo rione – l’ormai famigerato Rione dei Fiori – e il resto della città c’è una barriera che non permette il passaggio di estranei. L’altra notte Anna ha partecipato alla sommossa contro l’arresto del figlio del padrino. Il 7 dicembre prese parte alle barricate innalzate per contrastare il maxi-blitz che portò in cella mezzo clan. Anna ha 47 anni, fa la domestica a ore, ha quattro figli – tutti maggiorenni e con lavori precari – e un marito disoccupato. I suoi seicento euro al mese (ovviamente al nero) sono l’unica entrata sicura nella sua casa. Con la camorra non ha nulla a che vedere. Nè lei nè la sua famiglia. Allora perchè Anna, l’altra notte, ha lanciato sassi contro i carabinieri che andavano ad acciuffare Cosimino Di Lauro? Al cellulare di un consigliere circoscrizionale a cui è stato permesso di superare la ”barriera”, così risponde: «Perché me l’hanno ”chiesto”. Hanno bussato alla porta, mi hanno detto ”scendi che l’avimma caccià a ’sti fetienti. Fà ampressa”. Ed io ho lasciato un film alla tv e sono scesa… Perché sono andata? Altrimento lo avrebbero chiesto alle mie figlie. Ho preferito scendere io, una mamma preferisce così». Poi Anna spiega perché non si è sottratta all’ordine delle vicine, pur rischiando di essere arrestata. «Lo so che ho rischiato. Ma a un certo punto i carabinieri vanno via. Le vicine, quelle vicine invece restano…». Anna abita in una palazzina dove quasi la totalità degli inquilini vive del pane della camorra, dice. Lei quei vicini li subisce e, certo, se potesse, se ne andrebbe altrove, lontano da Secondigliano. «Ma 600 euro al mese non bastano a cambiare casa. Le ragazze lavorano saltuariamente come commesse, a cento euro a settimana. I maschi fanno i muratori, in un mese non lavorano più di dieci, quindici giorni, e sono, ovviamente, sottopagati» spiega la donna sottolineando che, però, i suoi ragazzi hanno saputo resistere alle tentazioni dello spaccio. Né si sono fatti convincere ad accettare il ruolo di ”sentinella” a cinquanta euro al giorno. Un incarico a cui invece tanti, troppi giovani del rione hanno saputo dire no, trovandosi poi inseriti di diritto nell’organigramma della cosca. Racconta Anna: «Invece qui tutti campano col denaro della droga. D’altra parte in questa zona che con la città non ha nulla a che vedere, non c’è nessuna fonte pulita di guadagno, l’unico movimento di denaro è il loro, quello che portano i figli d’o milionario. Sicuramente è denaro sporco, chi lo nega, ma qui non c’è altro. Questo rione non ha neppure una parrocchia, lo sa che se voglio andare a Messa devo fare quasi un chilometro a piedi?».

MARISA LA PENNA





«Perquisiti dalle sentinelle del clan Di Lauro»



Il primo sguardo è di diffidenza, il secondo un concentrato di rabbia e di disprezzo. «Via di qua, bastardo, che cerchi, che vuoi?»: la minaccia ti colpisce all’improvviso, alle spalle, e ha il sapore dell’agguato. La voce impastata di un uomo dalla faccia trucida si accompagna allo sguardo feroce di due guardaspalle. Avrà poco più di trent’anni e ci vuol poco a capire che hai di fronte il capobastone che controlla e regola gli ingressi tra via La Certosa di Parma e via Gerusalemme Liberata. La stessa scena si ripete poco più tardi, e a essere intercettata dalle vedette del clan saranno altri due giornalisti.

Superare quella immaginaria linea di confine che traccia un solco tra il resto della città e questa enclave di camorra significa inevitabilmente finire nei check-point del clan Di Lauro. «Cornuto, non ti muovere», intima l’uomo: e le mani delle sentinelle, due «guaglioni» che sembrano essere usciti da un film dell’orrore, stanno già frugandoti sotto il giubbotto, nelle tasche dei pantaloni e dietro la schiena. Se decidi di entrare nel rione del «Terzo mondo» lo fai a tuo rischio e pericolo; ma se questo accade all’indomani della cattura di Cosimo Di Lauro, allora le cose si complicano maledettamente: perché qui oggi più che mai il sangue ribolle e non si fanno sconti a nessuno. Tantomeno se sei un giornalista e vieni a mettere il naso nel posto sbagliato, nel momento peggiore. C’è un aria cupa tra queste strade che fino a qualche ora fa Cosimo osservava dalle tapparelle calate dell’ultimo covo. Niente più musica neomelodica dagli appartamenti popolari; sono sparite pure le donne, quelle stesse donne che venerdì sera hanno deciso di salire sul grande palcoscenico della rivolta di piazza. Scomparse: come se fossero state improvvisamente tacitate da un ordine superiore al quale è impossibile resistere; al loro posto ecco comparire gregari e capibastone, i nuovi coreuti di questa tragedia dell’antistato che oggi piangono la cattura del boss. La perquisizione – tutto avviene alla luce del sole e sotto gli occhi degli automobilisti di passaggio che fingono di non vedere e tirano via veloci – è finita. «E adesso tornatene da dove sei venuto», dice la voce roca del capozona. In fondo alla strada – e lo vedi bene, tra via Miracolo a Milano e via Misteri di Parigi – è in corso un summit di «uomini d’onore». Un vertice en-plein-air che nemmeno i frequenti passaggi delle gazzelle dei carabinieri riesce a scoraggiare. È la prova di forza del clan che in questo modo dimostra a tutti che non c’è rotta né paura, dopo la cattura di Cosimo. Almeno venti persone, tutti uomini. Facce scure e occhi che scintillano nuove minacce. Sono fermi al centro della strada. Parlano, gesticolano, mostrandosi padroni del territorio: è l’immagine della camorra che si riprende ciò che le appartiene. Sbaglia chi pensa che questa – tra le case del «Terzo Mondo» che qualcuno benevolmente si ostina ancora a chiamare «Rione dei Fiori» – sia terra di nessuno. Questa è terra di camorra. Un feudo di omertà. Impossibile far domande, perché nessuno ti risponderebbe: per paura o per omertà. Inutile proseguire in questo cammino segnato da telecamere e sentinelle. «Vattene via, bastardo»: e l’ultima minaccia viene accompagnata dalla più sprezzante delle sottolineature, uno sputo. Nervi scoperti e muscoli gonfi bene in mostra: così reagisce il Terzo Mondo all’arresto del suo boss; scatenando sinistre reazioni nelle alchimie criminali di una famiglia di camorra colpita al cuore. Basterebbe una scintilla, adesso, a scatenare l’inferno. Anche i carabinieri, in questa mattina di perquisizioni e minacce rivolte a chi osa violare l’extraterritorialità del rione-bunker, perfino loro evitano di farsi vedere tra le palazzine basse del rione. Sempre pronti a intervenire, i militari si limitano a stringere il quartiere in due posti di blocco, a nord e a sud. «Siamo ad un livello di massima allerta», spiega l’ufficiale mentre osserva il profilo sinistro del nemico che è lì, di fronte, arroccato nel suo fortino grigio. Per una inquietante coincidenza, in questa parte di Napoli che sembra lontana anni luce dallo sviluppo sociale ed economico persino la toponomastica sembra essere figlia di un beffardo gioco del destino. «La Scala di Seta», «I Racconti di Pietroburgo» come «Il Barbiere di Siviglia» evocano immagini poetiche che stridono con il reale scenario di desolata favela metropolitana che è questa parte di Secondigliano. Strade e viali anonimi sui quali sono state costruite palazzine che sembrano uscite da una cartolina di Valona. Modelli edilizi degni di una colonia penale. È qui che si combatte ancora la faida. In questo inferno dei vivi che si nutre di pane e illegalità. Che sputa sulle divise dei carabinieri e arma la mano a disperati ventenni che si sentono killer. E che della legge e dello Stato proprio non sa cosa farsene.

GIUSEPPE CRIMALDI




I fuochi dopo l’annuncio dalle radio



Casavatore. Ore 22 di venerdì 22 gennaio. A Casavatore si festeggia il capodanno degli scissionisti. I perdenti della faida di Scampia – quelli che respirano ma che sono già morti per i killer di ” o’ milioniario” – hanno sfogato così la loro rabbia, la loro paura mista ora a una gioia feroce: sparando i fuochi artificali per oltre cinque minuti. Fuochi costosi, quelli cinesi doc, batterie capaci di lanciare in aria 200 granate, che poi esplodono ad ombrello in mille colori, candele romane, e qualche ” botto” davvero micidiale, di quelli che si usano per le feste patronali. Una gioia incontenibile, quella degli scissionisti, quasi come se quelle manette che lo Stato è risucito a stringere intorno ai polsi del nuovo e spietato ras di Secondigliano, fossero state due colpi di pistola alla testa di Cosimo Di Lauro. Uno spettacolo pirotecnico imponente quello dell’altra sera, visibile non solo a Casavatore, dove gli scissionisti hanno pagato sei funerali in meno di un mese, ma anche, è soprattutto per sfregio, dalle finestre e i balconi del ”Terzo Mondo”, dove Cosimo Di Lauro è stato coccolato, onorato, protetto e difeso anche contro centinaia di militari in tenuta da combattimento. La notizia dell’arresto del primogenito di Paolo Di Lauro, è arrivata nella città degli scissionisti quasi on line alle coincitate fasi della cattura. Le radio private, quelle che di notte, ad ogni titolo di canzoni neo melodica, augurano sempre ”…una presto libertà agli amici detenuti..” hanno annunciato l’arresto eccellente, poi i vari tiggì lo hanno confermato ed infine qualcuno che aveva assistito alla scena di Cosimo Di Lauro, in manette ma a testa alta, è tornato a Casavatore ed ha deciso di festeggiare nel modo più clamoroso e visibile possibile, con una festa di fuochi.

MARCO DI CATERINO





Il boss voleva fuggire, aveva la valigia pronta



Aveva evitato la cattura almeno altre cinque volte. Sempre per un soffio, sempre sfruttando la rete di protezione che gli garantiva il quartiere dove si era nascosto e dove cinquecento persone, venerdì sera, hanno tentato di sottrarlo ai carabinieri. L’indagine che ha portato all’arresto di Cosimo Di Lauro, figlio del latitante Paolo e presunto reggente di una delle due fazioni impegnate nella violenta faida della periferia settentrionale di Napoli, era arrivata ripetutamente, in questi giorni, a un passo dall’obiettivo. E tutto, a cominciare dalla valigia trovata sul letto, lascia presupporre che il giovane fosse pronto ad allontanarsi anche un attimo prima di essere definitivamente bloccato dai militari. Gli accertamenti sulle utenze telefoniche avevano permesso di stabilire che Cosimo cambiava spesso rifugio pur rimanendo nell’area del rione denominato Terzo mondo. Parlava pochissino al cellulare ma il traffico dei messaggi sms ha permesso ai carabinieri coordinati dal pm del pool anticamorra di non perderlo mai di vista. Solo che quando tutto sembrava pronto, Di Lauro riusciva a dileguarsi. Con ogni probabilità perché le «vedette» poste a protezione della sua fuga riuscivano ad avvisarlo in tempo e perché poteva contare su un gran numero di persone disposte a mettergli a disposizione un appartamento sicuro. L’ultimo in ordine di tempo, Gennaro D’Ambra, di 48 anni, incensurato, è stato arrestato con l’accusa di favoreggiamento a conclusione del blitz scattato sabato sera. L’arresto dovrà essere convalidato nelle prossime ore. Davanti al giudice, D’Ambra potrà fornire la propria versione in merito ai fatti che gli vengono contestati. Anche Cosimo Di Lauro dovrà essere interrogato, presumibilmente domani, per la convalida del decreto di fermo emesso nei suoi confronti dai magistrati (i pm Giovanni Corona, Luigi Cannavale, Marco Del Gaudio, Simona Di Monte, Luigi Frunzio) che indagano sulla faida di Secondigliano. Al figlio del padrino è contestata l’accusa di associazione a delinquere di stampo camorristico. Secondo gli inquirenti il trentunene sarebbe «l’attuale reggente» del clan ritenuto capeggiato dal padre. Per guidare l’organizzazione poteva disporre di un autista e di un portavoce. E avrebbe avviato un rinnovamento dei ranghi del clan «promuovendo» elementi più giovani rispetto ai vecchi capi. Ma il tessuto dell’inchiesta lascia intravedere spunti investigativi che riconducono a ipotesi di reato ancora più gravi ma sin qui mai formalmente contestate dai magistrati. Le dichiarazioni dei pentiti, e in particolare di Pietro Esposito, l’indagato per l’omicidio di Gelsomina Verde che subito dopo essere stato arrestato ha cominciato a collaborare con la giustizia, spingono i pm a definire Cosimo Di Lauro, sia pure solo in astratto, come «il mandante materiale di tutti gli omicidi commessi dalla frangia rimasta fedele al padre ai danni degli scissionisti e dei loro congiunti». Queste considerazioni, contenute nel decreto di fermo, non sono confluite in una formale contestazione di omicidio. E questo perché le indicazioni provenienti dalle dichiarazioni di Esposito e anche da alcune intercettazioni non sono state giudicate dai pm sufficientemente riscontrate per un’accusa di questo tipo. Si tratta di elementi che possono però contribuire a delineare lo scenario nel quale l’indagine si sta muovendo. Giovanni Migliaccio, un esponente del clan che inizia a collaborare nel 2002 e poi sceglie di fare marcia indietro, afferma di aver conosciuto Cosimo e lo definisce «molto più duro di suo padre». Pietro Esposito sostiene che «l’ordine di uccidere Gelsomina Verde – la ventiduenne assassinata per la relazione con uno scissionista n.d.r. – era venuta dall’alto, vale a dire dai Di Lauro, in particolare da Cosimo che è l’attuale referente del clan». E in una intercettazione due indagati discutono del duplice omicidio di due fedelissimi dei Di Lauro, Fulvio Montanino e Claudio Salerno, e commentano che Cosimo aveva «promesso di uccidere per vendetta a uno a uno gli avversari, anche usando le bombe».
d.d.p.




«L’ho catturato così»




«Gli stavamo dietro da un sacco di tempo. Conoscevamo i suoi movimenti, le persone che ruotavano attorno alla sua figura. Non lo abbiamo mai mollato. Ma il momento giusto non arrivava mai. Venerdì mattina, come tutti i giorni, eravamo a Secondigliano. Siamo rimasti in attesa fino alle 18. Dodici uomini in borghese. All’imbrunire abbiamo capito che la svolta era più vicina». Quarant’anni, nell’Arma da venti, il maggiore Nicodemo Macrì è l’ufficiale che ha guidato i carabinieri nell’operazione che ha portato all’arresto di Cosimo Di Lauro. Dopo una notte finalmente più serena, l’investigatore ricostruisce la cronaca del blitz del Rione dei Fiori. «Abbiamo capito di aver individuato il palazzo dove Cosimo Di Lauro si rifugiava studiando il comportamento delle vedette. Si vedeva lontano un miglio che quei ragazzi erano lì per proteggere qualcuno. Solo che rispetto al passato erano concentrati tutti nella stessa zona. Troppi per essere una coincidenza. In questi momenti l’adrenalina comincia a salire vertiginosamente. È scattata come una molla: ”Sta lì dentro”, abbiamo pensato. Ma bisognava mantenere la calma. Sapevamo che Di Lauro poteva contare sull’appoggio di un’ampia parte della popolazione e che per questo bisognava intervenire in maniera quasi chirurgica. Abbiamo trattenuto il respiro. E abbiamo deciso di agire». «La fase iniziale è la più importante, quella che può portare al conseguimento del risultato o all’errore fatale. In tempi rapidissimi abbiamo acquisito il controllo dell’edificio. Quando hanno capito, le vedette hanno chiamato i rinforzi. Da che erano tutti ragazzi, e qualche adulto, sono diventati in massima parte donne e bambini. Ce lo aspettavamo, perché si fanno forti del rispetto che noi, non loro, portiamo verso donne e bambini. A quel punto ho sollecitato l’invio di rinforzi anche io. La squadra era composta dal Nucleo operativo, dal personale del Ros di Napoli e dal Battaglione inviato sul posto dal generale Vincenzo Giuliani. Una volta nel palazzo bisognava individuare l’appartamento. E loro hanno commesso uno sbaglio. Eravamo appena saliti al secondo piano quando ho sentito chiudere una porta a chiave». «Tutti dicevano che in quella casa abitava una donna invalida che era andata via già da una settimana. Gridavano che non c’era nessun latitante. Il rumore della chiave invece ci ha dato la certezza di aver fatto centro. La porta era blindata, così siamo passati dalla finestra. Abbiamo alzato la tapparella, aperto l’inferriata. Sono entrato per primo. Nella stanza c’era un letto disfatto, le valigie ancora aperte. Non si vedeva nessuno. Era nascosto in cucina. Temevamo potesse sparare, per questo eravamo preparati eventualmente a rispondere al fuoco. La stanza era buia. È stato lui ad accendere la luce. Si è fatto prendere senza tentare colpi di testa. Era vestito di tutto punto, probabilmente era pronto a fuggire ancora. Non era ancora finita però. La gente aveva circondato il palazzo per non farci uscire. Abbiamo chiesto ulteriori rinforzi. L’obiettivo era disporre un cerchio di sicurezza che permettesse a noi di uscire e a quella gente di non farsi male. Abbiamo aspettato nell’androne del palazzo che la situazione si normalizzasse. Cosimo Di Lauro è rimasto quasi sempre in silenzio. Come un capo. ”Non so perché lo fanno”, è stata l’unica cosa che ha detto». «Ma noi conosciamo le ragioni di quella rivolta: hanno reagito in quel modo per far vedere alla famiglia che lo stavano difendendo. Volevano dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare l’arresto. Anche se i colleghi che erano in strada se la sono vista un po’ brutta non abbiamo mai temuto di non farcela. Una volta in caserma ci siamo salutati e dati appuntamento al giorno successivo. Eravamo soddisfatti, certo. Personalmente sono contento per i miei uomini, gente che si sta impegnando al massimo, sacrificando affetti e tempo libero, per combattere questa guerra. Cosa mi è rimasto impresso di questa nottata? L’abbigliamento di Cosimo Di Lauro. Nero, come il futuro di questi ragazzi».

DARIO DEL PORTO







Ciruzzo e i suoi figli: «Loro devono andare a scuola»




Adesso «Ciruzzo» ha tre figli in carcere. Vincenzo era stato arrestato a Chivasso, in provincia di Torino, il 2 aprile 2004, dopo un rocambolesco tentativo di fuga sui tetti. Ciro è in cella dal 7 dicembre scorso, data del blitz scattato per frenare la faida di Scampia. Cosimo, che le indagini indicavano come il reggente del clan, è stato bloccato venerdì sera in un appartamento del rione Terzo mondo. Dunque Paolo Di Lauro, latitante dal 2002, considerato il capo del clan protagonista della spaccatura di questi mesi, deve fare i conti con un’azione giudiziaria che sta prendendo di mira anche i suoi familiari più stretti. Quei ragazzi che secondo la procura avrebbero assunto le redini della cosca anche a seguito dell’allontanamento del padre dal quartiere. Vincenzo era imputato già nel processo principale sull’organizzazione, quello che si sta celebrando davanti al giudici della quarta sezione penale del Tribunale. I più giovani invece entrano solo in tempi più recenti nelle indagini della magistratura. Un altro figlio del presunto boss soprannominato «Ciruzzo ’o milionario», Marco di 25 anni appena, è ricercato sempre nell’ambito dell’ultima inchiesta. Eppure nel suo interrogatorio più recente, sostenuto nel novembre del 1998 davanti all’allora pm anticamorra, oggi senatore di An, Luigi Bobbio, Paolo Di Lauro aveva rivendicato con orgoglio il proprio impegno per assicurare ai figli un’educazione corretta. Era stato chiamato a deporre nell’ambito delle indagini sul pestaggio del quale era rimasto vittima l’insegnante di un altro dei suoi figli, Nunzio, che all’epoca frequentava la scuola media e oggi non risulta avere conti in sospeso con la giustizia. «Tengo molto all’educazione dei miei figli, voglio che studino», disse Paolo Di Lauro al pm Bobbio, aggiungendo: «Ho l’abitudine di far frequentare ai miei figli le classi elementari in scuole private al fine di farli seguire più assiduamente per l’arco dell’intera giornata». Per quella vicenda sarà poi rinviato a giudizio per minacce Giovanni Montemurro, nei cui confronti il processo di primo grado dovrebbe concludersi nell’udienza fissata per domani mattina. Dal giorno di quell’interrogatorio, Paolo Di Lauro è nuovamente sparito. «Sono un imprenditore, pago le tasse», aveva assicurato «Ciruzzo» al pm. Quattro anni più tardi l’inchiesta del pm Giovanni Corona avrebbe disegnato uno scenario completamente diverso, ipotizzando nei suoi confronti l’accusa di associazione camorristica e inducendo il padrino a un periodo di latitanza che non è ancora finito. Una fuga che secondo gli inquirenti ha lasciato spazio alle nuove leve, le stesse rimaste imbrigliate nella faida più violenta degli ultimi anni.




IL MATTINO DEL 23 GENNAIO 2005

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