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«Hanno ucciso Del Prete per far tacere la giustizia»
Il Mattino del 21 febbraio 2002

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ROSARIA CAPACCHIONE
Aveva messo le mani in un nido di vipere, aveva denunciato un uomo e si era messo contro un sistema. Non lo sapeva, Federico Del Prete, che le mazzette sui posti fissi del mercato di Mondragone erano qualcosa di più di un normale sistema di corruzione. Aveva fatto incastrare un vigile annonario, sia pure con i gradi, ma inconsapevolmente aveva tolto ossigeno e una rendita sicura al clan La Torre. Aveva sfidato la camorra, l’umile ambulante ammazzato a Casal di Principe lunedì sera, e con essa quel groviglio di interessi e di collusioni che resistono nonostante i blitz, le inchieste, gli scioglimenti del consiglio comunale. «Proprio il vigile Mattia Sorrentino – dice Lorenzo Diana, deputato diessino e componente della commissione antimafia – è stato uno dei maggiori rappresentanti di quel sistema. Aveva ottenuto i gradi di maresciallo, tanto per dirne una, nonostante la condanna per ricettazione (di materiale archeologico, ndr). E nonostante le sua parentela ingombrante con un esponente del clan La Torre, Filoso. Ma Sorrentino è anche il padre di un consigliere comunale della maggioranza. Ebbene, vorrei sapere dal Governo, dai ministri dell’Interno e della Giustizia, cosa hanno intenzione di fare contro le infiltrazioni camorristiche negli enti locali. Assieme a Pierino Sgueglia e Sandro De Franciscis, miei colleghi alla Camera, ho firmato un’interrogazione a Scajola, chiedendo che venga a riferire subito in aula su questo tema. E ho chiesto che venga nominata una commissione di accesso per i Comuni di Mondragone e di San Tammaro, dove sono stati arrestati il sindaco, un assessore e un impiegato».
Ma Diana, a proposito dell’omicidio del sindacalista Federico Del Prete, azzarda anche un’altra ipotesi. E cioè che si sia trattato di un delitto dimostrativo. L’area d’interesse è sempre Mondragone, l’obiettivo più ampio di quello della ritorsione alla vigilia di un processo per estorsione. «Non escludo – dice il parlamentare dei Ds, che ha inserito questa ipotesi nell’interrogazione – che si tratti di una intimidazione diretta non solo a Del Prete ma ad altre persone che magari proprio in questi giorni stanno collaborando con la giustizia. La paura potrebbe fermare per sempre l’apertura di credito concessa allo Stato, ai magistrati, alle forze dell’ordine da chi ha scelto di denunciare fatti gravi».
Paura va a innestarsi in un clima complessivo di sfiducia, rafforzato dallo scarso livello di sicurezza del territorio. «Nell’Agro aversano, tanto per citare un esempio – chiarisce Diana – dal 1998 a oggi il numero delle forze dell’ordine si è ridotto del 20 per cento. Gli uomini andati in pensione o trasferiti non sono più stati sostituiti. È un lusso che non possiamo permetterci. E poi, non dimentichiamo le condizioni dell’apparato giudiziario: il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere è al collasso, il rischio di scarcerazione per decorrenza termini sempre in agguato. Non è così che si può pensare di contrastare la camorra, con questi presupposti lo Stato parte sconfitto».
Giovedì 21 Febbraio 2002
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UN DELITTO
ANNUNCIATO
ROSARIA CAPACCHIONE
Un eroe piccolo piccolo, un uomo coraggioso che da solo aveva sfidato i signori dei mercati e che da solo è morto. Forestiero in un paese ostile, esuberante tra gente che del riserbo (e dell’omertà) ha fatto da decenni il suo credo, Federico Del Prete, condannato dalla camorra, sta subendo anche ora che è morto l’ostracismo, la diffidenza e il sospetto di chi ne conosceva appena il volto e gli atteggiamenti estroversi, magari eccessivi. Non un fiore o un manifesto a lutto, non un telegramma o un comunicato di solidarietà: tacciono i sindacati, restano mute le associazioni anticamorra e antimafia e silenziosi i partiti. Eppure, il povero ambulante arrivato da Frattamaggiore è stato ucciso nella sede del sindacato, luogo deputato alla tutela dei più deboli, e questo fatto da solo avrebbe dovuto far scattare la protesta.
«Lo stanno ammazzando un’altra volta», commentano amareggiati e delusi gli investigatori che invece lo conoscevano bene. «Ci credeva, in quell’impegno a favore dei suoi compagni ambulanti. E ci aiutava davvero. Gli atti del processo sul vigile Mattia Sorrentino, d’altra parte, ormai sono pubblici. E come e quanto abbia lavorato per denunciare il racket è scritto nelle carte». In quelle sulle estorsioni alla fiera di Mondragone e nelle decine e decine di esposti che puntualmente presentava alle stazioni dei carabinieri di mezza Campania e negli uffici di polizia. La lotta all’abusivismo era uno dei suoi cavalli di battaglia. L’altro era quello sulla gestione delle aree comunali destinate ai mercati. Era particolarmente attento alle segnalazioni che gli venivano fatte dagli iscritti al suo sindacato, lo Snaa, sulla discrezionalità nell’attribuzione dei posti agli «spuntisti» (gli ambulanti occasionali, come lui stesso era stato) e sulle tassazioni richieste. L’ultima denuncia, quella presentata nei giorni immediatamente successivi all’incendio della sua auto, riguardava proprio questo, le tariffe applicate dalla Sirtac (la società che gestisce la riscossione dei tributi sull’occupazione dei suoli pubblici a Casal di Principe e Villa Literno). Segnalazione non proprio dettagliata, spiegano gli investigatori, ma ottimo spunto investigativo da approfondire e sviluppare.
Non è stata soltanto la collaborazione all’inchiesta sul racket a Mondragone a farne decidere la condanna a morte. Magistrati e carabinieri impegnati nelle indagini ne sono certi: Federico Del Prete era un personaggio scomodo, incontrollabile, e quel suo continuo curiosare e scrivere, anche quando aveva poco da scrivere, aveva infastidito sì i mondragonesi ma anche tanta altra gente. Gli altri, quelli che avevano creduto nel suo lavoro e nel suo impegno, per ora tacciono. E chissà se oggi pomeriggio, alle 16, saranno ai funerali. Che non si terranno a Casal di Principe, paese che lo aveva respinto come la peste, ma nella sua Frattamaggiore, nella chiesa di San Rocco che è quella della suo quartiere di nascita. Ed è lì che si è rifugiata la moglie Maria con i suoi cinque figli, lontano dal clamore e dai curiosi ma anche dalle case di chi ha ordinato ed eseguito l’assassinio.

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