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DEL PRETE, UN DELITTO ANNUNCIATO
Il Mattino del 20 febbraio 2002

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GIUSEPPE CRIMALDI
La telefonata arrivò in redazione il quattro settembre. «Mi chiamo Del Prete, sono il segretario regionale del sindacato autonomo ambulanti: ho urgente bisogno di parlare con voi, devo farvi vedere carte importanti». Quei documenti erano un duro atto di accusa contro la camorra di San Giovanni a Teduccio, che da quattro settimane aveva vietato ai commercianti il mercatino di via Taverna del Ferro, tristemente noto come il Bronx.
Una denuncia dettagliata. Per poter fare mercato, gli ambulanti devono pagare il «pizzo», e i clan hanno alzato la posta: duecentomila lire per ogni banchetto, prendere o lasciare. E i commercianti avevano lasciato. Una settimana prima, Federico Del Prete aveva raccolto dai suoi colleghi ambulanti testimonianze, racconti e rabbia; quella rabbia che gli altri non avevano avuto il coraggio di trasformare in denuncia. Ma lui no. Lui era diverso, e per questo non ci aveva pensato due volte, mettendo nero su bianco, presentando quell’esposto scritto in un italiano zoppicante, quello di chi non ha mai finito le elementari, eppure dettagliatissimo. Una denuncia pesante, dura come un pugno nello stomaco.
Da solo, Del Prete combatteva la sua battaglia contro il sopruso, l’ingiustizia. A modo suo. «Perché – diceva – la nostra è una categoria debole, esposta a mille minacce, e soprattutto disorganizzata». Aveva obiettivi ambiziosi, quest’uomo che da solo si presentava la mattina presto nei mercatini rionali della Campania per distribuire volantini: sapeva che l’unica via da percorrere per far alzare la testa agli ambulanti era quella di farli sentire sicuri, protetti. E all’alba di quell’undici settembre, quando lo Stato si mosse per rappresentare molto più della semplice solidarietà ai commercianti taglieggiati, quando mezzo Consiglio comunale si trasferì a San Giovanni a Teduccio e gli ambulanti tornarono a fare mercato a Taverna del Ferro, Federico Del Prete era lì, da solo, con i suoi immancabili volantini.
Negli incontri che seguirono – in redazione, ma anche lungo le strade dei mercatini rionali di Napoli – Del Prete cominciò ad aprirsi, a confidarsi: quegli articoli pubblicati su Taverna del Ferro e la vittoria dell’undici settembre lo avevano aiutato a sentirsi più sicuro e meno solo. Ma non bastava. Perché, in fondo, sapeva bene di essere un dead man walking, un condannato a morte. Raccontò: «Mica è la prima volta che denuncio le angherie che siamo costretti a subire…». Ma lei non ha paura di esporsi, da solo, con queste denunce?, gli chiesi. Rispose: «Se penso alla paura non mi muovo più. Ma ho messo nel conto che prima o poi mi uccideranno…».
Per questo, dal giorno in cui si presentò al «Mattino» con quel carico di carte e racconti, decidemmo di non rendere nota la sua identità, di non far mai il suo nome, riferendo solo la sigla del Sindacato autonomo ambulanti. Tutto inutile: perché tanto chi doveva sapere sapeva, e forse si stava già preparando a colpire, a chiudere per sempre la coraggiosa parabola di Federico Del Prete, piccolo grande uomo, coraggioso sindacalista alla ricerca della via d’uscita in quell’inestricabile labirinto della solitudine.
Mercoledì 20 Febbraio 2002
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Perquisizioni nelle case dei clan
DALL’INVIATO A CASAL DI PRINCIPE
VIA Baracca è una stradina lunga e dissestata che attraversa Casale e lo divide in due: dal limite del quartiere Larina al centro del paese. Questo budello ad alta densità camorristica lunedì sera ha protetto l’arrivo e la fuga degli assassini di Federico Del Prete, così come tante altre volte era accaduto in passato. Proprio a una manciata di metri dalla sede della Federambulanti fu ammazzato, undici anni fa, anche uno dei capi della camorra bardelliniana, Vincenzo De Falco, che del boss di San Cipriano era diventato uno dei successori. E lunedì, come allora, nessuno ha visto nulla: né killer, né auto in velocità.
Eppure, anche se il movente dell’omicidio è da ricercare fuori da Casal di Principe, chi ha sparato forse non è arrivato da troppo lontano. Se c’è un collegamento tra l’arresto degli esattori del racket al mercato di Mondragone – indagine alla quale il sindacalista collaborò con zelo e con passione – e l’omicidio, gli assassini potrebbero essere casalesi, del gruppo di Bidognetti. La fazione anti-Sandokan, infatti, recentemente ha stretto una nuova alleanza con ciò che resta del clan La Torre. Accordo che potrebbe essere stato ratificato da uno scambio di favori: la vendetta contro Del Prete, funzionale ai mondragonesi, e l’assassinio di Antonio Amato (ammazzato un quarto d’ora dopo a Villa Literno) che invece rafforza l’ala bidognettiana. E proprio a supporto di questa ipotesi investigativa per tutta la nottata i carabinieri del Reparto operativo e della compagnia di Casal di Principe hanno perquisito le case di una dozzina di affiliati ai due clan e di loro fiancheggiatori, sia nell’Agro aversano e sul litorale domiziano, sia in quelle regioni che ospitano i sorvegliati speciali. Non tutte le persone inserite nell’elenco sono state trovate e sono scattate, quindi, alcune denunce per violazione degli obblighi; chi, invece, era in casa è stato sottoposto allo stube.
Ultimata, intanto, la ricostruzione sommaria della scena del delitto. Sul pavimento dell’ufficio sono stati repertati sei bossoli calibro 7,65. I colpi andati a segno sarebbero cinque, uno alla testa. A trovare Federico Del Prete in fin di vita è stato il primo dei suoi figli, Vincenzo, di 19 anni, che ogni sera passava a prendere il padre in via Baracca per tornare assieme a lui a casa. Da ieri la famiglia del sindacalista ha lasciato Casal di Principe: la moglie Maria Cafiero e i cinque figli sono andati a Frattamaggiore, paese d’origine di Del Prete.
Mercoledì 20 Febbraio 2002
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L’ALTRA PISTA
Ucciso alla vigilia del processo
Doveva testimoniare contro un vigile che taglieggiava gli ambulanti a Mondragone
DALL’INVIATO

A CASAL DI PRINCIPE

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ROSARIA CAPACCHIONE
Doveva farsi i fatti suoi, dicevano i fratelli piangendo sul cadavere. Non doveva mettersi contro quella gente là, contro la camorra, contro i corrotti in guanti e casco bianco. Gridava la moglie, e imprecava il figlio Vincenzo ai piedi di quel povero morto ammazzato, un ambulante con la sete di giustizia che proprio non voleva saperne di calare la testa, chiudere gli occhi e pagare. Ma c’erano soltanto loro a presidiare il portone di vetro, i fratelli arrivati da Frattamaggiore e Cardito, la moglie – Maria Cafiero – che a quell’ora stava preparando la cena nella casa di via Cellini, i tre figli più grandi (ma ancora ragazzini). E nessun altro c’era neppure ieri sotto la sede dello Snaa, il sindacato autonomo degli ambulanti, all’angolo estremo di via Baracca. Né iscritti al sindacato, né curiosi; e neppure un fiore a ricordare il sacrificio di Federico Del Prete, 45 anni, commerciante di vestiti nei mercati settimanali, padre di cinque figli (il più piccolo ha tre anni), sindacalista scomodo e ostinato, principale testimone dell’accusa nel processo per le tangenti al mercato settimanale di Mondragone. Solo i sigilli apposti dai carabinieri ricordano l’omicidio di lunedì sera, e le strisce bianco-rosse che qualche ora prima erano servite a limitare l’accesso alla strada.
Un fantasma, Del Prete; uno sconosciuto. Anzi, qualcosa di più: uno «straniero» rompiscatole, arrivato dalla provincia napoletana per creare scompiglio nel paese che lo aveva ospitato ma non adottato, in tutto l’Agro aversano, sul litorale domiziano. Quell’ufficetto di via Baracca, pochi metri quadri occupati in condominio con la Federinquilini, era stato il suo rifugio e anche il luogo dove aveva consumato l’oltraggio più grande alla camorra. Lì aveva ascoltato le lamentele degli ambulanti di Mondragone, stanchi di pagare mazzette al vigile Matteo Sorrentino; lì aveva fatto nascondere dalla polizia le microspie che avevano registrato quegli sfoghi. Federico Del Prete aveva collaborato con entusiasmo e determinazione, e aveva messo nero su bianco la sua denuncia. Il vigile Sorrentino era stato arrestato a dicembre del 2000; ieri mattina è cominciato il processo. Lui, il povero sindacalista scomodo, era stato citato come teste. Non potrà parlare mai più.
Una ben strana e inquietante coincidenza, l’omicidio commesso alla vigilia del processo. E non tanto per le conseguenze sul dibattimento, che proseguirà con le testimonianze degli altri ambulanti taglieggiati, quanto per il suo enorme e devastante potere intimidatorio. Mai, prima di lunedì sera, la camorra casalese aveva ucciso chi aveva denunciato tangenti ed estorsori. Anzi, avevano risarcito il danno per comprare il diritto a uno sconto di pena. Ma Del Prete non aveva denunciato soltanto Matteo Sorrentino: nell’ultimo anno e mezzo aveva denunciato decine e decine di abusi che gli erano stati segnalati dagli ambulanti di mezza Campania. Alla fine di dicembre aveva avuto un diverbio a Casal di Principe con uno degli addetti al controllo sull’attribuzione dei posti alla fiera del giovedì; una settimana dopo gli era stata incendiata l’auto e aveva ottenuto la protezione (sia pur saltuaria). In tutto il mese di gennaio aveva continuato l’opera di segnalazione dei soprusi e lo aveva fatto, l’ultima volta, il 7 febbraio. Le minacce non l’avevano intimidito, avrebbe continuato a «dare fastidio» anche dopo il processo. La camorra non poteva che fermarlo.
Mercoledì 20 Febbraio 2002
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SOLO UNA «VIGILANZA GENERICA» NONOSTANTE LE TANTE MINACCE
Il prefetto: «Non era nel mirino della camorra»
Sconcerto, preoccupazione, l’inquietudine di chi si trova all’improvviso di fronte a un fatto nuovo e imprevisto, gravissimo e irreversibile. C’era il gelo, ieri pomeriggio, nella sala delle riunioni della Prefettura di Caserta, dove si è riunito il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. E c’era il disagio di chi sapeva che Federico Del Prete era stato un uomo coraggioso, che aveva denunciato – e più volte – corruzione e malaffare, che era stato minacciato ma che ugualmente aveva avuto scarsa protezione. Solo la vigilanza generica, l’attenzione riservata a chi corre un pericolo «non determinato». «È vero – dice il prefetto Carlo Schilardi al termine della lunghissima riunione – Del Prete aveva collaborato con la polizia per scoprire il giro di tangenti al mercato di Mondragone ma lui stesso aveva collegato le minacce e l’incendio dell’auto alle denunce più recenti. E non riguardavano fatti di camorra ma questioni legate all’abusivismo nei mercati, alla discrezionalità nell’attribuzione dei posti agli ambulanti: denunce a tutto campo e non circoscrivibili neppure geograficamente». Poi, c’è l’assoluta novità della ritorsione contro qualcuno che aveva denunciato un’estorsione. C’erano stati, in passato, avvertimenti e ferimenti, mai omicidi. Nulla aveva fatto pensare agli investigatori che il povero Federico Del Prete fosse in pericolo di vita. Era stato sottovalutato il suo ruolo? È troppo preso per dirlo, spiegano gli investigatori, perché non è ancora possibile escludere che l’omicidio possa essere collegato a un movente più «basso», per così dire, della ritorsione per la testimonianza al processo per le tangenti. Il suo attivismo può aver infastidito anche altri gruppi para-camorristici. Ed è per questo che le indagini procedono in tutte le possibili direzioni.
Mercoledì 20 Febbraio 2002
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Racket, abusivi, camorra: tre piste per un agguato
DALL’INVIATO A CASAL DI PRINCIPE

ROSARIA CAPACCHIONE
La sua ossessione erano gli abusivi, i venditori senza licenza che vanno a occupare le aree libere dei mercati. Ma anche gli addetti alla gestione dei mercati, gli uomini che possono decretare la vita o la morte (lavorativa) degli spuntisti, gli ambulanti occasionali. Parlavano di questo, i suoi esposti: di soprusi, vessazioni, favoritismi. E anche di bustarelle allungate a chi doveva chiudere un occhio, concedere un permesso o, semplicemente (come è quasi scontato in terra di camorra) offrire protezione. Federico Del Prete annotava puntigliosamente ciò che vedeva e le segnalazioni che gli facevano gli iscritti allo Snaa e alla Federambulanti; traduceva notizie e ipotesi in esposti; formalizzava le denunce. Poi, appuntava l’esito di quelle segnalazioni sulla sua copia: pratica evasa, controllo effettuato, sollecito inutile. Una sorta di pagella con i voti, non sempre sufficienti, a chi era stato incaricato delle indagini.
«Era diventato un esperto – racconta un investigatore – e le sue denunce ormai non le faceva più a voce, le portava già scritte. E non era mai una sola, ma sempre quattro o cinque. Raccoglieva le informazioni e poi ce le comunicava». Nei fascicoli ben ordinati trovati dai carabinieri nell’ufficio di via Baracca c’è, dunque, la chiave per scoprire il movente del sindacalista. Verità racchiusa in una delle cartelline sequestrate e che da ieri mattina sono passate al setaccio dagli investigatori del Reparto operativo e della compagnia di Casal di Principe.
Tre piste, tre gruppi di lavoro. C’è chi sta seguendo la strada che collega l’omicidio di lunedì sera al suo ruolo nell’inchiesta sulle tangenti al mercato di Mondragone, indagine conclusasi con l’arresto del vigile annonario Mattia Sorrentino, 53 anni, parente del boss Vincenzo Filoso (elemento di spicco del clan La Torre). Del Prete avrebbe dovuto essere ascoltato come teste nel processo – in corso presso la II sezione, collegio B, del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (presidente Maria Vittoria Foschini, a latere Pilla e Rossi) – proprio ieri mattina. C’è, invece, chi sta seguendo la pista dell’abusivismo commerciale e chi quella della gestione della aree dei mercati non assegnate annualmente. Lo screening si preannuncia lungo e complicato, soprattutto se verranno a mancare testimonianze e indicazioni mirate. Ma difficilmente parenti e amici del sindacalista possono essere a conoscenza di un episodio specifico che può aver determinato la morte di Del Prete. In occasione della sua denuncia per l’incendio dell’auto (era il 3 gennaio) lui stesso non aveva saputo dare un’indicazione precisa sulle ragioni della ritorsione. «È certamente da collegare alla mia attività – aveva dichiarato – di denuncia di soprusi e abusi». Attività estremamente prolifica. Alla sola stazione di Casal di Principe l’ultimo pacchetto di denunce era stato presentato il 7 febbraio scorso, neppure due settimane fa. E non c’erano riferimenti, comunque, a tangenti ed estorsioni: né in ambito amministrativo, né camorristico.
Resta l’ultima spiegazione, la più inquietannte: l’omicidio a scopo dimostrativo. Hanno ucciso lui, voce scomoda e coraggiosa, per tacitare tutti gli altri.

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