In ambito cattolico, vi è stata e continua una riflessione sulla situazione socio-economica del mondo, in particolare attraverso una serie di documenti, le cosiddette encicliche sociali, alcuni delle quali di grande rilievo, come la ‘Pacem in Terris’. Per quanto attiene al sistema capitalistico l’ultima elaborazione la troviamo nell’enciclica di Giovanni Paolo II dal titolo ‘Centesimus Annus’. In essa, dopo l’illustrazione del crollo del socialismo reale, l’autore si chiede se si possa dire che il sistema sociale vincente sia il capitalismo. Questa è la risposta: ‘Se con capitalismo si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva. Ma se con capitalismo si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione, per questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa’.
Anche il governatore della Banca d’Italia Fazio, da cattolico osservante, mi sembra si iscriva in questa corrente che possiamo ricondurre alla convinzione della inesorabile naturalità dell’accettazione del sistema capitalistico nella sua versione neo-liberista, pur con tutte le correzioni che ne renderebbero meno disumani i suoi istituti selvaggi. Ad una prima lettura la sua relazione appare ispirata ad una certa neutralità, che poi se capisco bene, sfocia nel concetto che l’impresa e quindi gli imprenditori, sono il centro del sistema e i cittadini lavoratori debbono mettersi al suo servizio.
Per me, a questo punto, che sono cattolico osservante e praticante, le cose si complicano perché mi sembra proprio che questa classe dirigente, anziché attestarsi su posizioni profetiche che caratterizzano il messaggio di Gesù Cristo, propenda per un sottoprodotto di saggezza opportunistica che assume come regola primaria quella della mediazione con i poteri forti della società.
Credono forse di salvarsi la coscienza attraverso la furba distinzione fra capitalismo selvaggio e capitalismo dal volto umano. Affermazioni come ‘guai ai ricchi’ oppure ‘è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco in paradiso’ non sono scritte con vernice rossa sui muri dei centri sociali, bensì nel vangelo. Eppure il fallimento di questo sistema rispetto ad esempio al grande problema della miseria nel mondo è evidente: dopo oltre 50 anni di conferenze, rapporti, interventi di organismi internazionali come Fondo Monetario o Banca Mondiale, sappiamo che il 20% della popolazione mondiale (i ricchi) si approfittano dell’86% di tutte le risorse umane del pianeta. Ma è vero o no che è propria del DNA capitalistico la convinzione che la ricchezza è remunerazione dei forti e la povertà il destino dei deboli? E quale tasso di malafede o di ignoranza può ispirare l’esaltazione della libertà dell’essere umano e la sua contestuale e contraddittoria soggezione al ferreo regime delle cosiddette leggi di mercato?
La discussione è talmente aperta che sarebbe una imperdonabile leggerezza sparare sentenze senza tener conto dell’esperienza terrena del Cristo e della immensa schiera dei disperati che aspettano da troppo tempo che tutta la nostra specie si liberi finalmente dall’egoismo e dalla sopraffazione.
Nicola Manco
Segretario circolo ‘Vera Lombardi’
PRC Qualiano