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domenica, Maggio 12, 2024
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Spartacus, sentenza dieci anni dopo il blitz

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CASALE. Oggi a mezzogiorno si chiuderà il processo. Oggi, dopo undici giorni di camera di consiglio, gli oltre 120 imputati del processo Spartacus conosceranno il loro destino e il valore di testimonianze, accertamenti, indagini, intercettazioni telefoniche, confessioni di pentiti. Oggi, dopo sette anni, due mesi e quindici giorni, si saprà cosa è stato il clan dei Casalesi, cosa ha rappresentato nella vita dell’agro aversano e della provincia intera, come e quanto ha condizionato la vita (e la morte) di decine di persone, e gli appalti, e l’economia dell’intero comprensorio. Sarà il presidente Catello Marano a leggere il dispositivo della sentenza nell’aula bunker del carcere di San Tammaro, a pochi metri dagli alloggi occupati dallo stesso Marano, dal giudice a latere Raffaello Magi, dai sei giudici popolari. E sarà, quella di oggi, un’udienza particolare, più blindata di quanto sia stato l’intero processo: ingressi limitati, accrediti per la stampa, controlli per il pubblico che potrà seguire la lettura attraverso i monitor, così come avverrà per i detenuti al 41 bis, che saranno collegati in videoconferenza. E poi la vigilanza, che si prevede massiccia, all’esterno e all’interno della struttura carceraria, così com’era scontato per un’occasione speciale come questa. Si chiude Spartacus, e si chiude il più lungo e faticoso processo sammaritano, quello che vede alla sbarra lo stato maggiore del clan che strappò, con il sangue, ad Antonio Bardellino il controllo di una delle più potenti organizzazioni criminali della Campania e d’Italia. Nacque più di dieci anni fa, il 16 maggio 1993, quando Carmine Schiavone cominciò a collaborare con la giustizia. Divenne processo il 5 dicembre del 1995, quando il gip di Napoli Giovanna Ceppaluni, accogliendo la richiesta del pm antimafia Federico Cafiero de Raho (che ha seguito l’inchiesta per tutti questi anni), all’epoca affiancato dal collega Francesco Greco, fece arrestare 136 persone. Poi il tormentato iter dibattimentale, avviato l’1 luglio del 1998, undici giorni prima dell’arresto di Schiavone, con il cambio della Corte in corsa (il presidente Alberto Pacelli e il giudice a latere Elena Giordano furono ricusati), l’introduzione della videoconferenza, il passaggio delle udienze dal vecchio bunker di via Cappuccini a quello nuovo, costruito all’interno del carcere. E poi, le cifre che raccontano la difficoltà dei magistrati e degli avvocati: 626 udienze celebrate; 508 testimoni sentiti oltre ai 24 collaboratori di giustizia (di cui 6 imputati). Acquisiti 90 faldoni di atti (sentenze di altri processi, documenti, intercettazioni). La deposizione più lunga è stata quella di Carmine Schiavone, durata per 49 udienze. Sono state 50 le udienze dedicate alla requisitoria del pm Federico Cafiero, che ha parlato dal febbraio al luglio del 2004; 108 quelle che hanno tenuto impegnati i difensori, dal settembre del 2004 al luglio del 2005). E sono state 55 le ordinanze di particolare rilievo emesse dalla II Corte di Assise durante l’intera durata del procedimento. Dal conto è esclusa l’ultima, quella del 5 settembre, con la quale i giudici hanno rigettato la richiesta dell’ennesimo rinvio e di una nuova rimessione degli atti dopo che la Cassazione aveva destinato all’archivio il ricorso alla legge Cirami fatto due mesi fa. Un tentativo disperato di spostare la sentenza e di guadagnare una manciata di mesi sulla previsione della condanna. E non poteva che durare sette anni un processo tanto complesso, che racconta le mutazioni della camorra dell’agro aversano (e decine di delitti) dall’indomani della scomparsa di Antonio Bardellino, il 27 maggio del 1988: fatto contestato come omicidio a una dozzina di persone, tra le quali Francesco Schiavone-Sandokan, con Francesco Bidognetti uno dei principali imputati, per il quale il pm ha chiesto complessivamente otto ergastoli.



ROSARIA CAPACCHIONE – IL MATTINO CASERTA 15 SETTEMBRE 2005

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