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lunedì, Maggio 6, 2024
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PARLA IL PENTITO, RIAPERTA L’INCHIESTA SULL’OMICIDIO DEL PRETE

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NAPOLI. Lo spiraglio si è aperto. L’elemento nuovo, che consente di riaprire il fascicolo archiviato un anno e mezzo fa, è stato trovato. E forse, questa volta, si riuscirà a dimostrare in un processo chi e perché uccise il sindacalista Federico Del Prete, ammazzato a Casal di Principe la sera del 18 febbraio 2002, vigilia del processo al vigile Mattia Sorrentino, esattore per conto del clan La Torre, successivamente condannato (13 anni in primo grado, ridotti a 5 anni e 8 mesi in appello). Quell’elemento nuovo è stato fornito al pm antimafia Raffaele Cantone da Luigi Diana, camorrista casalese del clan Bidognetti, da sei mesi collaboratore di giustizia. Ha raccontato quanto sapeva di quel delitto e l’inchiesta è stata riaperta. Si chiude invece con la richiesta di archiviazione l’altro filone d’indagine, quello sulla mancata assegnazione a Del Prete di una scorta. Dopo accurati accertamenti, il pm Cantone ha escluso responsabilità, dolose o colpose, a carico del Comitato per l’ordine pubblico di Caserta e degli altri organi preposti alla protezione dei soggetti a rischio. I riflettori dunque tornano su mandanti ed esecutori dell’agguato. Non si sa ancora cosa abbia dichiarato il collaboratore di giustizia, ma pare che abbia confermato la causale dell’omicidio. Come già accertato nel corso di due anni di indagini, era stato Del Prete, originario di Frattamaggiore trapiantato a Casal di Principe con moglie e figli, a raccogliere le confidenze degli altri ambulanti sul pagamento del pizzo alla camorra di Mondragone. Aveva consentito alla Squadra mobile di registrare quelle conversazioni riservate, poi utilizzate nel processo nonostante le ritrattazioni delle vittime. I pentiti Stefano Piccirillo e Mario Sperlongano avevano confermato. Attendibili ma vaghi, pur avendo entrambi indicato lo stesso movente: la punizione per l’arresto di Mattia Sorrentino e per la sua denuncia. Piccirillo aveva saputo da Aniello Pignataro, un altro uomo del clan La Torre, che ad organizzare l’omicidio era stato Luigi Guida (legato a Bidognetti) per ricambiare un favore avuto da La Torre. Sperlongano, sempre de relato, aveva confermato il ruolo di Guida ma indicato un altro intermediario, e cioè Vincenzo Filoso (parente del vigile Sorrentino). Aveva anche aggiunto che prima dell’omicidio Nicola Alfiero, altro uomo di camorra, aveva chiesto a Del Prete di ritrattare le accuse ma che questi aveva rifiutato. Quando viene ucciso, Del Prete non ha la scorta ma è sottoposto solo alla vigilanza radiocollegata. Nel maggio scorso il gip Tullio Morello aveva chiesto alla Procura di indagare su eventuali responsabilità penali nella mancata assegnazione di una forma più efficace di protezione. Il fascicolo, aperto contro ignoti per omissione in atti d’ufficio, si è chiuso con la richiesta di archiviazione. Il pm Cantone ha riletto tutti gli atti e sentito come teste, fra gli altri, anche il prefetto di Caserta, Carlo Schilardi, presidente del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, all’epoca dei fatti competente per le scorte. Il caso, ha concluso il pm dopo tutte le verifiche, non fu affatto sottovalutato. Il Comitato adottò le misure adeguate ai rischi ai quali, in quel momento, Del Prete appariva esposto: lo stesso sindacalista infatti aveva ritenuto che le minacce nei suoi confronti provenissero da un ambiente, quello delle concessionarie per la riscossione dei tributi, che faceva ritenere del tutto improbabile un omicidio.



ROSARIA CAPACCHIONE DARIO DEL PORTO – IL MATTINO 3 OTTOBRE 2005

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