Rabbia, dolore e una serie di accusa lanciate alla moglie tra la disperazione totale. Norbert Juhász, il papà del piccolo Alex, il bambino di poco più di due anni ucciso a Città della Pieve (Perugia), non riesce a nascondere il proprio dolore. Dopo la fine della relazione con l’ex compagna e Katalina Erzsebet Bradacs, c’è stata la battaglia legale per l’affidamento del bambino. A vincerla è stato proprio l’uomo, lo scorso 20 ottobre. A quel punto, però, la donna ha preparato i bagagli in fretta e furia ed ha portato con sé il piccolo Alex in Italia. Prima in un centro di accoglienza a Roma e poi a Chiusi, dove era ospitata da un ex datore di lavoro ma solo per poche ore.
La dinamica dell’omicidio
Venerdì scorso, invece, Katalina è uscita a piedi dalla casa con Alex ed ha raggiunto Po’ Bandino, frazione di Città della Pieve. Si è diretta nella vecchia centrale Enel e poi, poco dopo mezzogiorno, è avvenuto l’omicidio del bambino, ucciso senza pietà con nove coltellate. Alle 15, inoltre, la donna si è precipitata al supermercato per chiedere aiuto per “quel bambino trovato nel campo e che sembra addormentato”. Prima della richiesta d’aiuto, però, la donna aveva inviato le macabre foto del corpicino di Alex al suo primogenito, un 18enne avuto da una relazione precedente con un uomo di Rieti. A lui ha chiesto di dire a Norbert che “Ora ha chiuso con il figlio“.
Le accuse all’ex compagna
In una intervista a ‘Il Messaggero‘, Norbert trova le forze per lanciare le accuse all’ex compagna. «Sto molto male, Alex era il mio piccolo tesoro. Anche il gip, che ha convalidato il fermo, ha capito che Katalina è socialmente pericolosa. Soffriva di disturbi psichici e avevamo l’affidamento comune, ma lei non lo ha mai rispettato: non me lo faceva vedere, con lui era cattiva. E questo era già accaduto con il figlio maggiore, che però nel 2014 le era stato portato via».
Le accuse di Norbert verso l’ex compagna si fanno sempre più pesanti. «Già in gravidanza si tirava pugni in pancia e aveva minacciato di dargli fuoco. Solo per questo avrebbero già dovuto toglierglielo, invece ora ho perso il mio tesoro. Da tempo minacciava di fare ciò che ha fatto, poi ha chiamato il figlio inviandogli la foto. È stato orribile, in quello scatto Alex aveva la maglietta piena di sangue. E quegli occhi chiusi» – racconta ancora l’uomo – «Lei mi aveva chiamato il 30 settembre, dicendo di essere in Ungheria e chiedendomi soldi. Invece era in Italia, sapevo che mentiva e non glieli ho dati. Poi, il giorno dopo, ha chiamato il figlio e mandato quella foto».
Norbert, poi, conclude così: «Alle 15, Alex era già morto. Sono convinto che questo fosse il suo piano fin dall’inizio e lo ha eseguito brutalmente. È stato orribile. So che gli inquirenti probabilmente vorrebbero sentirmi, ma spero di non dover venire in Italia. Voglio solo riportare il corpo del mio Alex in Ungheria».