Per conto del clan Mallardo, componente di rango della federazione mafiosa chiamata Alleanza di Secondigliano, avrebbero sottoposto a estorsione sotto la minaccia delle armi diversi commercianti della zona di Giugliano in Campania: è quanto i carabinieri di Giugliano e la Dda di Napoli contestano a sei persone nei confronti dei quali il gip ha emesso cinque arresti in carcere e uno ai domiciliari.
I reati contestati dagli inquirenti sono associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto illegali di armi aggravati.
I proventi delle attività estorsive, è emerso dalle indagini del militari dell’arma, confluivano in una cassa comune utilizzata per mantenere le famiglie degli affiliati detenuti alle quali veniva versato uno stipendio mensile.
Il giudice ha disposto la custodia cautelare in carcere per Carmine Cerqua, Roberto Corona, D’Alterio Giuseppe, Alfredo Lama e Gennaro Ronga. Per Giuseppe Sacco, invece, è stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, presso la propria abitazione. L’ordinanza, che vede indagate in totale 10 persone, emessa dal Gip dr.ssa Ambra Cerabona ricostruisce nelle 64 pagine vari episodi di estorisone risalenti al 2023. Corona e Ronga sono difesi dall’avvocato Luigi Poziello, Cerqua dall’avvocato Giuliano Russo. Giuseppe D’Alterio difeso dagli avvocati Luigi Poziello e Alessandro Caserta.
L’inchiesta è nata dalla vicenda relativa alla tentata estorsione commessa ai danni di un cantiere edile aperto in via Madonna del Pantano a Giugliano finalizzato alla costruzione di un’immobile. Gli investigatori hanno effettuato intercettazioni ambietali e registrazioni attraverso microspie a danno di alcuni indagati. Da quel momento sono stati ricostruiti una serie di episodi estorsivi effettuati sul litorale ai danni di imprese e attivita commerciali.
In particolare, gli indagati avrebbero posto in essere una serie di attività estorsive in danno di commercianti della zona, che sarebbero stati minacciati anche con l’uso di armi.
Inoltre, sarebbe emerso che i proventi delle attività illecite confluivano in una cassa comune, che sarebbe stata utilizzata per assicurare il mantenimento delle famiglie degli affiliati detenuti, mediante l’erogazione di uno stipendio mensile.


