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venerdì, Giugno 28, 2024
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“La pizza napoletana sarà replicabile ovunque con l’intelligenza artificiale”, la provocazione dello chef stellato

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“La pizza napoletana può essere replicata perfettamente a Modena come nella Repubblica Ceca attraverso l’intelligenza artificiale”. Questo il pensiero, assai visionario, di Massimo Bottura, patron e chef dell’Osteria Francescana di Modena, ritenuto non solo uno dei professionisti, dal punto di vista tecnico, più bravi al mondo, ma anche uno dei più colti e visionari.

La provocazione di chef Bottura: “La pizza napoletana sarà replicabile ovunque con l’intelligenza artificiale”

Nell’intervista rilasciata Reid Hoffman, co-fondatore e presidente esecutivo del social network Linkedin, nel corso del podcast “Possible”, Bottura ha espresso come, grazie all’ausilio dell’intelligenza artificiale, possano essere realizzati piatti (in questo caso, la pizza napoletana), eliminando tutti gli errori umani e facilitando così il lavoro dello chef in cucina.

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Queste le sue parole: “A Modena c’è un’incredibile azienda chiamata ItalPizza che fa la pizza. Fare la pizza è un esercizio molto complesso. Ma se hai una macchina, con approccio freddo a tutto quel che fai, se sei alla ricerca della perfezione per la qualità del pomodoro, della perfetta qualità di olio extravergine d’oliva, dell’origano. E poi l’impasto alla giusta temperatura. Puoi fare una pizza uguale a Modena o nella Repubblica Ceca. E viene cotta alla stessa perfetta temperatura, per ottenere e replicare la perfetta pizza napoletana. Questo è il modo in cui puoi usare la tecnologia. Così lo chef può concentrarsi su cose diverse. Quindi non ci sono errori umani quotidiani perché la macchina elimina quegli errori. Il prodotto è perfettamente impostato e lo chef può pensare alla nuova ricetta e non deve perdersi nella correzione dell’errore umano”.

Parole che da un lato suonano bene, dall’altro “tozzano” un po’

Bottura ha un rapporto, di base, molto solidale con la città di Napoli: nel marzo del 2023 prese infatti parte ad una iniziativa a favore dei clochard della mensa di Made in cloister. Le sue parole, dopo un primo ascolto, potrebbero anche suonare bene: esprimono del resto un concetto quasi banale, ossia la liberazione dell’uomo dal processo di replicazione seriale di un prodotto, in questo caso la pizza napoletana, e la conseguente possibilità di concentrarsi su nuove creazioni. Bottura teorizza in altre parole la separazione dell’atto creativo, spettante all’intelligenza umana, da quello realizzativo affidato a quella artificiale.

Ma se ci facciamo caso, lo chef non considera affatto un particolare per nulla trascurabile. Vale a dire il riconoscimento dell’arte tradizionale del ‘pizzaiuolo’ napoletano come parte del patrimonio immateriale dell’Unesco. Il riconoscimento ha avuto, non a caso, come oggetto non tanto la pizza in sé, ma proprio quell’insieme di buone pratiche, frutto di antiche esperienze tramandate sul campo da padre in figlio, che rappresentano il più autentico patrimonio ascrivibile ai piazzaiuoli napoletani.

L’Unesco ha cioè riconosciuto come unici e dunque, non replicabili da chiunque, la lavorazione dell’impasto, la gestualità, talvolta quasi teatrale, della distesa del panetto sulla spianatoia, naturalmente dopo l’opportuna lievitazione, la cosiddetta arte di ammaccare, la messa a dimora nel forno con l’apposita pala, il sapiente spostamento nel forno stesso. Privare la pizza napoletana della liturgia che ne accompagna la preparazione significa profanarne la sacralità.

Se cucina lo chef è un conto, se lasci cucinare l’intelligenza artificiale…

Anche perché, diciamocela tutta, il cliente quando entra in un ristorante è abituato a vedersi portare davanti un piatto cucinato dallo chef in persona. A maggior ragione se ti rechi presso un ristorante con tre stelle Michelin, come ad esempio l’Osteria Francescana di chef Bottura.

Non a caso la presenza dello chef in cucina viene spesso considerata un valore aggiunto, perché ogni artigiano del cibo ha una sua manualità, un suo stile, a ben guardare una riconoscibilità. Anche perché le stesse macchine non è detto che “cucinino” in maniera perfetta, anzi, potrebbero tranquillamente dar vita a prodotti difettati, per questo e per quel motivo.

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