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giovedì, Aprile 18, 2024
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Soldi in faccia al figlio del ras di Caivano:«Ringraziatemi che non avete perso la casa»

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Mattia Iavarone era diventato scomodo all’interno del clan. Dopo la morte di Aniello Ambrosio (leggi qui l’articolo precedente) il ‘facente funzioni’ della mala del Parco Verde di Caivano si sarebbe montato la testa. A riferirlo ai magistrati Antonio Cocci, il neo collaboratore di giustizia che sta svelando fatti e misfatti della mala dell’hinterland partenopeo. Cocci, nello specifico, nei suoi ultimi verbali ha spiegato ai magistrati l’origine della ‘faida delle auto bruciate’ nata da uno scontro interno ai gruppi che un tempo gravitavano tutti sotto l’egida dei Moccia. Dopo la morte di Modestino Pellino e l’uccisione di Aniello Ambrosio, Mattia Iavarone avrebbe consolidato il suo potere ma l’avrebbe fatto senza una gestione ‘illuminata’ come riferito dallo stesso Cocci:«Dopo quell’omicidio se n’è andato di testa, non si poteva mantenere proprio più, diceva che lui se ne andava in giro ad uccidere la gente con la mazzola. Giustamente in quella vita se uno parla delle cose che sono state fatte sei pericoloso, perché poi fondamentalmente Mattia faceva il carrozziere, era un bravo ragazzo, dopo quella cosa ha preso il volo, era diventato pericoloso, anche da noi era diventato pericoloso a fare le cose brutte pure al Parco Verde. A me si è preso la piazza mia, la piazza d’erba, ha detto: ‘La piazza mò è la mia, tu… quando esce Tonino se ne parla’. Ha buttato i soldi in faccia al figlio di Ciccarelli Domenico, a Ciro, e gli ha detto: «’e i Ciccarelli non vi hanno cacciato dalle case dovete ringraziare a me’. Quindi era diventato scomodo lavarone. Dopo quell’uccisione (di Ambrosio ndr) lui si credeva sopra tutti».

L’articolo precedente. Svelati due omicidi di camorra

La recente faida delle auto bruciate che ha insanguinato l’area nord negli anni scorsi potrebbe essere svelata in toto dopo anni di silenzi e di omertà. A squarciare questo velo Antonio Cocci, il neo collaboratore di giustizia del Parco Verde, che con le sue dichiarazioni sta svelando i segreti dei clan presenti sull’asse Caivano-Afragola (leggi qui l’articolo).  Tante le pagine messe a verbale dall’ex ras nonchè esponente di punta dei Sautto-Ciccarelli, che da qualche mese ha iniziato a collaborare con la giustizia. Una scelta, quella di Cocci, destinata a sconvolgere gli equilibri criminali della mala dell’hinterland partenopeo. Cocci finì in manette qualche mese fa per il suo coinvolgimento nell’omicidio di Gennaro Amaro: per quel delitto sono indagati il boss Antonio Ciccarelli come mandante, Mariano Alberto Vasapollo come esecutore materiale e lo stesso Antonio Cocci come specchiettista.

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La faida delle auto bruciate

Nel verbale del 27 maggio scorso Cocci ha parlato a lungo della faida delle auto bruciate, ossia la guerra tra gruppi criminali dell’hinterland per impossessarsi delle piazze di spaccio presenti nella zona:«Dopo l’omicidio di Mattia Iavarone io mi sono affiancato a Solimene e Gennaro Amaro, per dare una risposta all’omicidio di Iavarone Mattia, che è stato ucciso da (omissis ), questo omicidio e del movente mi riservo di riferire. Io Amaro e Solimene, ed anche Lobascio, all’incirca 10 giorni dopo abbiamo fatto un gruppo per rispondere a questo omicidio e abbiamo fatto anche degli appostamenti, insieme a Nicola Luongo, per uccidere sia i tre fratelli Barbato che Capparelli Giuseppe ed il cognato Nunzio Porzio, ma non ci siamo riusciti. Amaro Gennaro voleva uccidere un ragazzo delle Salicelle, Rosario, che è sposato con una ragazza del Parco Verde. lo voleva tagliare a pezzi con una motosega, per dare una risposta a Capparelli Giuseppe che si era permesso di chiedere a Rosario di chiamare al suo cospetto Gigione, il fratello di Gennaro Amaro».

Gli omicidi di Ambrosio e Montino

Cocci è poi entrato nello specifico delle ‘sparizioni’ di Aniello Ambrosio, 42 anni e Vincenzo Montino, di 30 anni, i due uomini uccisi a colpi di pistola e poi dati alle fiamme nell’auto di un parente del primo nel febbraio del 2014. E’ lo stesso Cocci a raccontare ai magistrati cosa avvenne prima di allora e di come quella faida fosse stata originata dall’omicidio di Modestino Pellino, referente della zona per il clan Moccia:«Aniello Ambrosio quel periodo si stava organizzando per uccidere i responsabili della morte di Modestino Pellino, e poiché Antonio Ciccarelli e Raffaele Laurenza erano detenuti e Dell’Annunziata era latitante, aveva deciso di colpire il clan Ciccarelli responsabile di quell’omicidio, uccidendo Mattia Iavarone che in quel momento era il referente del clan e gestiva Caivano. Anche il fratello di Modestino Pellino voleva vendicarsi di questo omicidio ed era pronto a pagare per questo. Uccidendo Mattia, Ambrosio tra l’altro avrebbe potuto prendere il comando di Caivano. Per organizzare l’omicidio Ambrosio vi è stata una riunione a Carditello a cui hanno partecipato Giuseppe Capparelli, presente per i Barbato Bizzarro, Mattia Iavarone e Nicola Luongo. Ambrosio è stato attirato in trappola dal Luongo che gli aveva detto che avrebbe potuto aiutarlo ad uccidere Iavarone Per questo motivo si è recato al Rione Salicelle dove è stato poi ucciso in un garage. AMBROSIO è arrivato lì con Vincenzino MONTINO e pallino; ma nel garage è entrato solo Ambrosio, dove stavano ad attenderlo Luongo, Capparelli e Iavarone; Luongo lo ha bloccato e Iavarone lo ha colpito ripetutamente con una mazzola, uccidendolo».

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