La recente faida delle auto bruciate che ha insanguinato l’area nord negli anni scorsi potrebbe essere svelata in toto dopo anni di silenzi e di omertà. A squarciare questo velo Antonio Cocci, il neo collaboratore di giustizia del Parco Verde, che con le sue dichiarazioni sta svelando i segreti dei clan presenti sull’asse Caivano-Afragola (leggi qui l’articolo). Tante le pagine messe a verbale dall’ex ras nonchè esponente di punta dei Sautto-Ciccarelli, che da qualche mese ha iniziato a collaborare con la giustizia. Una scelta, quella di Cocci, destinata a sconvolgere gli equilibri criminali della mala dell’hinterland partenopeo. Cocci finì in manette qualche mese fa per il suo coinvolgimento nell’omicidio di Gennaro Amaro: per quel delitto sono indagati il boss Antonio Ciccarelli come mandante, Mariano Alberto Vasapollo come esecutore materiale e lo stesso Antonio Cocci come specchiettista.
La faida delle auto bruciate
Nel verbale del 27 maggio scorso Cocci ha parlato a lungo della faida delle auto bruciate, ossia la guerra tra gruppi criminali dell’hinterland per impossessarsi delle piazze di spaccio presenti nella zona:«Dopo l’omicidio di Mattia Iavarone io mi sono affiancato a Solimene e Gennaro Amaro, per dare una risposta all’omicidio di Iavarone Mattia, che è stato ucciso da (omissis ), questo omicidio e del movente mi riservo di riferire. Io Amaro e Solimene, ed anche Lobascio, all’incirca 10 giorni dopo abbiamo fatto un gruppo per rispondere a questo omicidio e abbiamo fatto anche degli appostamenti, insieme a Nicola Luongo, per uccidere sia i tre fratelli Barbato che Capparelli Giuseppe ed il cognato Nunzio Porzio, ma non ci siamo riusciti. Amaro Gennaro voleva uccidere un ragazzo delle Salicelle, Rosario, che è sposato con una ragazza del Parco Verde. lo voleva tagliare a pezzi con una motosega, per dare una risposta a Capparelli Giuseppe che si era permesso di chiedere a Rosario di chiamare al suo cospetto Gigione, il fratello di Gennaro Amaro».
Gli omicidi di Ambrosio e Montino
Cocci è poi entrato nello specifico delle ‘sparizioni’ di Aniello Ambrosio, 42 anni e Vincenzo Montino, di 30 anni, i due uomini uccisi a colpi di pistola e poi dati alle fiamme nell’auto di un parente del primo nel febbraio del 2014. E’ lo stesso Cocci a raccontare ai magistrati cosa avvenne prima di allora e di come quella faida fosse stata originata dall’omicidio di Modestino Pellino, referente della zona per il clan Moccia:«Aniello Ambrosio quel periodo si stava organizzando per uccidere i responsabili della morte di Modestino Pellino, e poiché Antonio Ciccarelli e Raffaele Laurenza erano detenuti e Dell’Annunziata era latitante, aveva deciso di colpire il clan Ciccarelli responsabile di quell’omicidio, uccidendo Mattia Iavarone che in quel momento era il referente del clan e gestiva Caivano. Anche il fratello di Modestino Pellino voleva vendicarsi di questo omicidio ed era pronto a pagare per questo. Uccidendo Mattia, Ambrosio tra l’altro avrebbe potuto prendere il comando di Caivano. Per organizzare l’omicidio Ambrosio vi è stata una riunione a Carditello a cui hanno partecipato Giuseppe Capparelli, presente per i Barbato Bizzarro, Mattia Iavarone e Nicola Luongo. Ambrosio è stato attirato in trappola dal Luongo che gli aveva detto che avrebbe potuto aiutarlo ad uccidere Iavarone Per questo motivo si è recato al Rione Salicelle dove è stato poi ucciso in un garage. AMBROSIO è arrivato lì con Vincenzino MONTINO e pallino; ma nel garage è entrato solo Ambrosio, dove stavano ad attenderlo Luongo, Capparelli e Iavarone; Luongo lo ha bloccato e Iavarone lo ha colpito ripetutamente con una mazzola, uccidendolo».