Emergenza rifiuti, ho una proposta. Paracadutiamo le ecoballe sull’Africa nera. Una ad una.
Cadrebbero al suolo dagli aerei come i sacchi degli aiuti umanitari. Planerebbero nella savana. Intorno all’ecoballa si formerebbe una folla di gente incuriosita. I teloni di plastica salterebbero per l’urto e la gente si fionderebbe sulla nostra monnezza. I giornali, i cartoni, i fogli di carta, i quaderni, i fazzolettini di carta li prenderebbero, li ripulirebbero e li metterebbero via per accendere il fuoco o per pulire i vetri o per imbottire materassi; le bottiglie e i recipienti di vetro li laverebbero e se li terrebbero nelle capanne per conservare l’acqua. Con il vetro a schegge ci farebbero vetrate incollate. Le taniche e gli oggetti di plastica li terrebbero da parte come recipienti che possono contenere tutto. Tutti i materiali in legno e in ferro sono lavorabili artigianalmente e, in caso contrario, verrebbero bruciati per fare calore o per ottenere metallo fuso da rifinire. Dentro l’ecoballa ci sarebbe sicuramente qualche giocattolo ancora funzionante e vestiti mettibili. Inutile dire cosa ne farebbero. Restano i rifiuti alimentari. Una parte li essicherebbero per ricavarci inchiostri, spugne, spazzole rudimentali; un’altra parte la userebbero come concime per i loro terreni. Qualcosa lo darebbero da mangiare ai loro animali.
Cosa rimarrebbe dell’ecoballa? Un dieci per cento di materiali non riutilizzabili? Farebbero una buca e lo terrebbero lì. Ben lontano dalle loro capanne. E dai loro bambini.
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