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domenica, Giugno 16, 2024
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Così don Raffaele costruiva il suo antistato

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La regìa del padrino dietro la rappresaglia

La camorra che si erge a paladina della giustizia per l’atroce morte di una bambina? Quando viene uccisa Raffaella, il boss di Ottaviano ha già dato un nome nuovo a quella che fino a qualche anno prima era ancora chiamata mafia, seguita dall’aggettivo che ne determinava la territorialità; la mafia napoletana è diventata dunque per volontà di Raffaele Cutolo la Nuova camorra organizzata.
Una sigla, Nco, che dà una svolta, che conserva certi riti ma che assume anche il volto di una holding. Volto spietato e sanguinario, se è vero che si contano fino a trecento morti ammazzati in un anno. Ma un punto resta fermo: i bambini non si toccano. È una regola, per così dire, naturale: il bambino non può essere l’obiettivo principale. Ma non è solo una questione di principio, è anche calcolo e opportunismo; se i piccoli fossero stati inclusi tra i bersagli, sarebbe stata la fine dell’avventura camorristica. L’attenzione per i bambini anzi è il primo elemento perché la Nco possa presentarsi nelle vesti dell’antistato.
Un antistato che per essere tale ha bisopgno di una forte organizzazione, di grandi risorse finanziarie e che deve poter soccorrere nei casi di necessità. E un reato orrendo come l’uccisione di un bambino mettere seriamente in pericolo una holding che, non va dimenticato, deve poter contare anche su notevoli risorse umane. Il delitto di Somma Vesuviana avviene in questo contesto, quando la Nco controlla buona parte della provincia napoletana e un altro gruppo cerca di frenarne l’espsansione coalizzzandosi sotto l’etichetta di Nuova Famiglia. È l’ocasione per presentarsi come l’antistato che sa regolare i conti: Raffaele Cutolo non se la lascia sfuggire.

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i volti

Nella gerarchia della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, Pasquale D’Amico (nella foto a destra in alto) occupava il ruolo di «santista»: era, cioé, uno dei più fidati consiglieri del capo, uno dei referenti incaricati di guidare il clan dall’interno delle carceri. Soprannominato «’o cartunaro», decise di collaborare con la giustizia per salvarsi la vita: Cutolo lo aveva condannato a morte indirizzando a un gregario una lettera nella quale chiedeva di «mandare un fiore in bocca al Cartone».
D’Amico venne a conoscenza di quel messaggio e capì di avere i giorni contati. Così, una domenica pomeriggio, chiese alle forze dell’ordine di incontrare con l’allora giudice istruttore Giorgio Fontana (nella foto a destra in basso) il magistrato, oggi avvocato, che coordinava tutte le più importanti indagini sulla criminalità organizzata cittadina. Un altro pezzo della Nco cominciava a cadere.





CARMELA MAIETTA – IL MATTINO 28 APRILE 2003

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