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Incompatibilità: 251 parlamentari con il lavoro-bis

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Antonio Galdo Il senatore Claudio Fazzone rischia grosso. Fino a poche ore fa era parlamentare e consigliere regionale, due incarichi incompatibili, ma non avendo comunicato la sua decisione di optare per il seggio a palazzo Madama, la Giunta delle elezioni lo ha dichiarato decaduto e Fazzone si ritrova disoccupato. Vedremo come le alchimie politiche restituiranno a Fazzone un seggio, ma il fenomeno dei doppi incarichi dei parlamentari è diventato esplosivo: se ne contano, tra Camera e Senato, ben 251, dei quali circa la metà macchiati da incompatibilità formale e sostanziale. Il vizietto del doppio lavoro è bipartisan, e tutti fingono di avere le carte in regola per passare con disinvoltura da una votazione a Montecitorio a una seduta di giunte comunali, provinciali e regionali. Risultano misteriose, per esempio, le doti di ubiquità delll’avvocato Raffaele Stancanelli, allo stesso tempo sindaco di Catania, città di 313.000 abitanti sull’orlo di un perenne dissesto finanziario, e deputato del Pdl. Per non parlare del tris di poltrone tra le quali deve spostarsi il leghista Daniele Molgora, deputato, presidente della provincia di Brescia e sottosegretario all’Economia, con delega al bollente dossier del federalismo fiscale.

La sovrapposizione tra il seggio in Parlamento e un ruolo di responsabilità negli enti locali è diventata quasi naturale, come dimostrano i doppi ruoli dei sindaci di Brescia, Adriano Paroli, Afragola, Vincenzo Nespoli, Orbetello, Altero Matteoli; dei vicesindaci di Roma, Mauro Cutrufo, e di Milano, Riccardo De Corato, dei presidenti della provincia di Asti, Maria Teresa Armosino, Foggia, Antonio Pepe, e Napoli, Luigi Cesaro; di una pletora di assessori a partire dal sottosegretario Paolo Romani, componente della giunta comunale di Monza. Oltre alle cariche elettive, il fenomeno dei doppi incarichi investe anche le sfere del sottogoverno, con posizioni sospese sul filo del conflitto di interessi. La capitale, in questo caso, è Milano, dove nessun parlamentare ha voglia di rinunciare a ruoli strategici nel sistema amministrativo e finanziario della città che dovrà cambiare volto grazie ai finanziamenti per l’Expo 2015. La Fiera del capoluogo lombardo, per esempio, potrebbe trasferirsi in Parlamento. Il senatore Giampiero Cantoni la presiede, mentre l’emergente ciellino Maurizio Lupi è vice presidente della Camera e amministratore delegato di Fiera Milano Congressi, e la Sviluppo Sistema Fiera, controllata dalla Fondazione, è presieduta dal deputato leghista Marco Reguzzoni. Un gioco di incastri, di porte girevoli, dove l’alleanza politica si traduce in una ragnatela di incarichi, con l’ombrello parlamentare, a presidio del territorio. Un nome simbolo di questo meccanismo è sicuramente quello dell’ex ministro della Funzione Pubblica Lucio Stanca, che divide i suoi impegni tra l’agenda di deputato e la postazione di amministratore delegato di Expo 2015.

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E se nella precedente legislatura il senatore del Pd Pietro Fuda rivendicava le sinergie tra il ruolo di parlamentare e quello di amministratore unico della Sogas, l’azienda che gestisce l’aeroporto di Reggio Calabria, in questo giro ci pensa il collega Vincenzo Speziali, senatore del Pdl, a tenere i piedi in due scarpe, occupando il seggio e un posto nel consiglio di amministrazione della Sacal, la società che gestisce lo scalo di Lamezia Terme. Sempre nell’esclusivo interesse dei cittadini calabresi, ovviamente. Il malcostume parlamentare non poteva lasciare indifferenti i colleghi dei consigli regionali. I più abili, nell’affermare il diritto al doppio incarico, sono stati i deputati siciliani. Si sono scritti e hanno approvato una legge ad hoc, visto che l’80 per cento dei parlamentari dell’isola fanno il doppio lavoro: l’opzione diventa obbligatoria soltanto dopo una sentenza definitiva in Cassazione che con i tempi della giustizia italiana non arriva prima di una decina d’anni. Come dire: palla in tribuna e capitolo chiuso. Al punto che le riunioni dell’amministrazioni comunale di Messina possono tenersi comodamente anche a Palermo, visto che hanno un seggio a Palazzo dei Normanni il sindaco, Giuseppe Buzzanca, il vice sindaco e assessore alla Cultura, Giovanni Ardizzone, l’assessore alla Protezione Civile, Fortunato Romano. Certo: rinunciare a un seggio in Parlamento, magari per rischiare la carriera politica nella scivolosa palude di una giunta comunale o di un’azienda municipalizzata, non è una scelta facile. Spulciando tra la carte dei bilanci della Camera e del Senato si scopre, infatti, che il welfare abbinato allo status di parlamentare è ancora un regno del Bengodi. Sono state eliminate alcune spese capricciose, come i 150 euro al mese di rimborso per la messa in piega delle senatrici, o il taglio dei capelli gratuito per i senatori.

Ma il Parlamento italiano continua a distribuire pensioni sotto i 50 anni e soltanto la Camera si concede una voce di rimborsi spese per quasi 73 milioni di euro. Il presidente del Senato, Renato Schifani, aveva annunciato in tempi di austerity una sforbiciata al budget di Palazzo Madama, 594 milioni di euro di dotazione annua, ma in realtà i costi, e i relativi finanziamenti del Tesoro, anche per il prossimo anno sono previsti in crescita, ben oltre il tasso di inflazione. Più 8 milioni di euro. E quanto possa rendere un posto in Parlamento è confermato da una semplice statistica: in media, una volta eletti, deputati e senatori presentano denunce dei redditi con tassi di crescita pari al 78 per cento rispetto a quando erano dei normali cittadini. Mentre si parla di trasparenza, di nuove norme anticorruzione, in realtà non si riesce neanche ad applicare quelle vecchie. C’è sempre un cavillo, una scappatoia formale per rinviare sine die l’appuntamento con la rinuncia al doppio lavoro. Il sindaco di Brescia, per tagliare corto alle polemiche sul suo doppio incarico, per esempio ha messo in rete, a chiusura della sua biografia, la motivazione tecnica che gli consente di continuare indisturbato nel doppio lavoro: poiché l’elezione alle due cariche, è scritto nel testo on line, è stata contestuale, il caso non è previsto dalle attuali norme sull’incompatibilità. Un appiglio al quale si è immediatamente aggrappato anche Giulio Marini, collega di Paroli in Parlamento, e sindaco di Viterbo. Le maglie larghe della legge, che in Italia è sempre abbinata all’inganno, sono state esaminate dai componenti della Giunta delle elezioni a Palazzo Madama che hanno passato al setaccio tutte le posizioni di incompatibilità Alla fine, di fronte all’evidenza, tre parlamentari della Giunta, di maggioranza e di opposizione, Marco Follini del Pd, Andrea Augello del Pdl e Gianpiero D’Alia dell’Udc, hanno sottoscritto una proposta di legge bipartisan che dovrebbe azzerare le precedenti, vischiosissime norme, e introdurre una griglia, chiara e stretta, di incompatibilità. La proposta, però, non è mai stata portata in aula o in qualche commissione, e in questa legislatura non ci sarà certo il tempo per discuterla. Il vizietto del doppio lavoro, per i parlamentari italiani, è un tabù, e pazienza se si tratta di un atto di prepotenza che gonfia qualche portafoglio ma contribuisce alla caduta verticale del principale valore di un uomo politico: la sua reputazione. (Il Mattino – 22/05/2010)

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