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Pagati per non lavorare, ora chiedono i danni

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Centocinquantamila euro di risarcimento per aver ricevuto lo stipendio senza lavorare: li chiedono 1200 dipendenti dei consorzi di bacino. Se paradossalmente i legali riuscissero a dimostrare il torto subito bisognerebbe sborsare almeno 180 milioni. Per far valere il loro supposto diritto i sindacati hanno presentato un’istanza alla struttura stralcio che deve raccogliere le richieste di tutti i debitori per chiudere definitivamente la contabilità di quindici anni di emergenza e hanno depositato un’istanza al tribunale di Napoli tramite gli avvocati di fiducia dell’organizzazione. La provocatoria iniziativa parte dal cartello dei sindacati autonomi guidati da Vincenzo Guidati che ha ricevuto la delega personale da ognuno degli iscritti per mandare avanti l’azione. Secondo i rappresentanti dei lavoratori questi sarebbero stati danneggiati in diversi modi. La prima lesione sarebbe proprio quella al diritto al lavoro, inteso non come stipendio ma come prestazione di opera. I sindacati sostengono: «Negli anni si sono susseguite ordinanze e provvedimenti che hanno affidato le attività di impiantistica a soggetti privati spogliandoci della dignità di lavoratori e delle attività per i quali eravamo stati assunti, causando per diverse decine di dipendenti problemi psicologici e di depressione, con stati ansiosi gravi dovuti alla insicurezza ed instabilità del posto di lavoro». Non solo: secondo Guidotti i dipendenti dei consorzi sarebbero stati danneggiati perché per molti di loro non sono stati versati i contributi previdenziali dal 1996 al 2011. In altri casi non sono stati dati agli istituti di credito i soldi prelevati dagl i stipendi per saldare i prestiti contratti dai dipendenti con le banche. I commissari liquidatori, poi, secondo i sindacati, non hanno corrisposto ai dipendenti indennità accessorie dovute, quali rimborsi chilometrici. lavoro straordinario, festività, ferie. Ma non è finita. Gli autonomi sostengono che la struttura del sottosegretario è responsabile di «non avere utilizzato il personale dei consorzi impiegando il personale militare e quello della Protezione civile e ricorrendo talvolta all’assunzione di nuovo personale». Proprio il problema dell’utilizzo dei 2018 lavoratori dei consorzi è stato; ed è tutt’ora, al centro di innumerevoli polemiche e provvedimenti legislativi finendo anche nel mirino della Corte dei conti che in una recentissima indagine (relatore il magistrato istruttore Francesco Uccello) spiega tra l’altro che «i consorzi di bacino, pur avendo ricevuto ai sensi dell’Opera n. 3564/2007 e successivamente dell’articolo 4 del decreto legge numero 61/2007 la competenza a gestire in regime di esclusiva la raccolta differenziata dei rifiuti, hanno cessato di svolgere le rispettive funzioni a decorrere dal 29 aprile del 2008; data dalla quale, per effetto della citata legge regionale le società provinciali sono subentrate nei rapporti attivi e passivi». E così almeno nel napoletano i dipendenti che fino ad allora si erano occupati in parte della gestione degli impianti e in parte, con scarsissimi risultati, della differenziata, sono rimasti senza alcun compito. Ora 418 persone dovrebbero andare in cassa integrazione. Colpa dei commissari di governo e degli enti locali che hanno preferito far lavorare i privati, sostengono i lavoratori. Colpa dei legislatori che hanno sfornato nonne contraddittorie, sostengono gli amministratori. Colpa di Comuni e Province che hanno ingrossato gli organici in maniera clientelare, sostengono i magistrati che dei consorzi si sono occupati più volte. Quel che è certo è che gran parte degli 881 lavoratori napoletani da anni non hanno nessun compito. A pagarli, per il momento, è la Provincia che prima o poi dovrà decidere se farli lavorare o attivare gli ammortizzatori sociali. Intanto, però, la Sapna (la società provinciale) ha già varato una tornata di assunzioni.


Daniela De Crescenzo

Il Mattino il 06/02/2011

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