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giovedì, Marzo 28, 2024
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Giugliano, lezione con i vigilantes nei piani

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Ccancellate alte e robuste lungo tutto il perimetro, massicci bodyguard in perfetta divisa all’ingresso e all’interno, al posto dei bidelli che il ministero ha tagliato, uomini della security ad ogni piano. Badge di riconoscimento per tutti, professori e alunni.

L’Istituto statale Luigi Galvani, alle porte di Giugliano, è poco meno di un bunker. Sei gradi di separazione da un territorio a rischio, violento e ad alto tasso camorristico, quello in cui i 1200 ragazzi vivono e a cui tornano alla fine delle lezioni.
Nel bunker Galvani, dove si studia per diventare periti tecnici industriali, la sicurezza viene prima dell’istruzione, diventa esigenza primaria. «Vigilanza ferrea», spiega la vice preside Caterina Maisto. Sta preparando la carta della legalità da presentare in una prossima assemblea compresi i genitori. «Vigilanza interna ed esterna, non armata», precisa, «è un istituto ubicato in un’area a rischio per cui noi facciamo azioni preventive. Anche i nostri studenti devono essere tutelati, la sicurezza è uno dei cardini fondamentali. Questo territorio non offre niente ai nostri ragazzi, Giugliano è solo piena di sale giochi».

Nell’intervallo si esce a fumare nel cortile, ragazzi con il gel tra i capelli, t-shirt aderenti al torace, braccia coperte di tatuaggi. «Facciamo attività pomeridiane per sottrarre i ragazzi alla strada — racconta Maisto — c’è un 20-30 per cento che viene da famiglie disagiate e lavora anche per aiutare la famiglia. Ora l’istituto si è rivalutato, una cosa positiva è che ha contatti con il territorio. È una miniera di materiale umano. Perciò abbiamo sfruttato tutti i fondi Pon per mandare i ragazzi all’estero d’estate, abbiamo laboratori, robot che riproducono la catena di montaggio».

Per il preside Giuseppe Pezza, questa scuola è un punto di riferimento. Ha 117 docenti a tempo indeterminato più altri 130 per 1129 studenti. «L’agenzia di security, G&P Global service non l’ho portata io, ma l’ho confermata: una scelta giusta. A parità di classi e alunni abbiamo avuto un taglio secco di bidelli. Tre di loro sono stati sostituiti dai vigilantes in divisa, più uno al cancello. Credo che questa presenza da sola possa essere un deterrente per goliardate eccessive. Io sto qui dalle 7,30 alle 19, così pure il mio staff di dirigenza. Devono vigilare che non accada niente di anomalo. Ci sono lunghi corridoi, entrate e uscite, uno sterminato spazio esterno, luogo incontrollato e incontrollabile dall’interno e per l’esterno».

Pezza difende i suoi alunni: «Nessuno dei miei studenti è potenzialmente o in pectore un delinquente. Ma il contesto sociale è questo: un territorio dove l’urbanizzazione è triplicata, discarica a cielo aperto di rifiuti. I docenti devono fare i conti con ragazzi maleducati, ma forse ce ne sono più al Parini di Milano che al Galvani di Giugliano. Le famiglie chiedono aiuto alla scuola. E c’è una minoranza insofferente alle regole».

Una minoranza che usa la violenza. L’anno scorso ci sono state 15 denunce per aggressioni. Un esempio? Scuola elementare Catello Salvati, a Scanzano, periferia di Castellammare di Stabia. Teresa Esposito, una docente di 47 anni, 20 già impiegati qui, quel giorno ha i tacchi alti, si è vestita elegante. È in presidenza quando vede arrivare un uomo che schiaffeggia una maestra e grida: «Mio figlio non lo metti più fuori». Teresa interviene a difenderla. Ed è attaccata a sua volta: «Mi mette due mani alla gola e mi sbatte con la testa al muro, cado e batto il capo sul termosifone, mi strappa una ciocca di capelli». Quando lo racconta è ancora piena di rabbia. «Finora mai un caso del genere, l’istituto funziona benissimo, i genitori sono tutti dalla nostra parte. La mia collega è all’antica. Ha una classe difficile, con figli di famiglie disagiate, che mancano spesso da scuola».

Poi si sfoga: «Lo Stato cosa fa per questi bambini? Riduce il personale scolastico, aumenta il numero degli alunni in classe, vuole la docente unica che è sempre più da sola ad affrontare la realtà». Scanzano, un contesto sociale dominato dallo strapotere camorristico. «Sento spesso parlare di D’Alessandro, ma quelle famiglie a volte hanno dato un aiuto economico alla scuola, ci tengono. Invece i casi più problematici sono i “Ciruzzo”, figli di chi ha perso il lavoro nei cantieri e nelle fabbriche, e non riesce più a mettere il piatto a tavola, con mamme che devono lavorare tutto il giorno e papà disoccupati, o morti, o in carcere. Quei bambini si sentono già inferiori, additati, l’unico modo di esprimersi è l’aggressione, un modo per dire: io ci sono. La nostra scuola è bellissima, ha il teatro, la palestra. Con 25 mila euro di fondi regionali l’anno scorso abbiamo fatto otto laboratori contro la dispersione».

Un progetto della prefettura di Napoli l’anno scorso ha coinvolto 1064 alunni e 25 scuole. «La scuola era bella di pomeriggio – continua Teresa Esposito – tutta illuminata, con mensa, sport, laboratori, progettualità. Avevamo trovato un sistema per non farli andare a casa. I bambini pensavano: anch’io posso, anch’io riesco, e finivano per rendere di più anche nello studio». Torna, come al Parco Verde di Caivano, il richiamo al docente chiamato a fronteggiare il disagio. «Dobbiamo essere diversi, saper rendere più sicuri i bambini». Le insegnanti si alleano tra loro. «Lavoriamo in team, ci confrontiamo per trovare le strategie, cerchiamo insieme una via d’uscita.

Patrizia Capua
Repubblicanapoli.it 05/10/11

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