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mercoledì, Maggio 8, 2024
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Intervista allo scrittore Massimo Cacciapuoti

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“Avevo bisogno di trovare me stesso, di capire chi ero, cosa volevo, cosa mi mancava per… la felicità.” La ricerca della propria identità al centro di “Non molto lontano da qui”, nuovo romanzo di Massimo Cacciapuoti, edito da Garzanti, che esplora il mondo dei trentenni di oggi attraverso la vita e le esperienze di Giacomo, il protagonista dell’opera, che si confronta con l’amore e l’amicizia, senza riuscire mai a trovare la sua vera dimensione.
Il libro sarà presentato dall’autore sabato 10 dicembre alle ore 18 presso la Galleria Auchan di Giugliano in Piazzetta Lino’s Coffee. Interverrà anche l’attore Patrizio Rispo.

InterNapoli.it ha rivolto qualche domanda all’autore.

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«A ben pensarci anche nella vita di mio padre c’era un prima e un dopo. Nel suo caso la discriminante era l’amore. Nella fase di prima si lasciava amare. Poi aveva smesso”. E’la lucida analisi che Giacomo fa del suo rapporto con il padre, un legame che il giovane si trascina dietro come una zavorra e che non gli permette mai di abbandonarsi completamente nelle relazioni che intreccia.»

Perché è così difficile manifestare i propri sentimenti ad un genitore, chiedere quell’amore che ci spetta di diritto?
Nella mia generazione e in quella successiva credo sia stato un elemento determinante dei rapporti. I nostri genitori badavano di più alla sostanza delle cose. Era un rapporto, specie padre-figli, incentrato sull’autorità e direi sulla necessità, intesa in senso culturale. I nostri padri più che persone, uomini con il loro carico di affettività sentivano di essere principalmente un’istituzione. Questo ovviamente ha molto incrinato le dinamiche affettive familiari. Oggi si parla di crisi di autorità, forse si è scivolati da un eccesso a un altro. O forse si è passati da un eccesso a un difetto.

Uno dei temi che ricorre spesso nei Suoi romanzi è la famiglia. A tal proposito, colpisce una definizione che ne da in Non molto lontano da qui: “Avvertivo la famiglia come una prigionia, un posto dove qualsiasi anelito di vita era inevitabilmente destinato a soccombere. Una condanna, atroce e mortificante”. E’davvero così? Da nido accogliente e rassicurante, la famiglia può davvero diventare una prigione?
La famiglia è la costante di tutti i miei romanzi. Credo stia tutto lì. L’uomo è assolutamente il riflesso della sua famiglia d’origine, di cosa è stato e di cosa ha vissuto in quel nucleo originario. Sviscerarla o almeno provarci è una sorta di scommessa personale. Rispetto alla famiglia-prigionia, sicuramente quella rappresentata è una situazione limite. Eppure non possiamo negare una crisi dell’istituzione-famiglia. La famiglia diventa prigionia quando i cardini su cui si fonda cominciano a vacillare e questo succede sempre più spesso. Per cattiva volontà, o forse per immaturità. L’immaturità cronica che sta devastando le ultime generazioni.

Anche la paternità riveste un’importanza particolare nei Suoi scritti. A proposito della crisi coniugale tra Nicola e Lorenza che sta facendo soffrire il piccolo Marco, Giacomo definisce un figlio come “una faccenda seria. Forse l’unica faccenda seria che esista al mondo”. Quanto e sotto quali aspetti l’arrivo di un figlio cambia la vita?
Non la cambia, direi la stravolge. La fa diventare tutt’altro rispetto a quello che era prima. L’arrivo di un figlio è un evento talmente deflagrante che talvolta può disorientare. Bisogna essere davvero preparati e coscienti della fatica immensa, fatica non solo fisica ma anche mentale, affettiva, che costa.

Giacomo incarna perfettamente le debolezze e le fragilità dei trentenni di oggi, abulici, incapaci di gesti fermi e scelte definitive. Ma non crede che tali carenze siano anche una diretta conseguenza della crisi economica che toglie loro ogni speranza nel futuro? Insomma, se i sogni dei giovani vengono affossati ed anche la famiglia latita, cosa resta loro se non il rifugio in una vita vuota e superficiale?
In effetti è di questo che ho cercato di parlare nei miei due ultimi romanzi. Credo ci sia una forte commistione tra l’aspetto sociale e quello affettivo. Uno condiziona l’altro. La precarietà socio-economica investe quella affettiva e il contrario. Del resto l’uomo è la risultante di tutti i fattori a cui è quotidianamente esposto. Quando Alice chiede a Giacomo quale sia “in assoluto la cosa più strana, più incomprensibile , più inspiegabile che hai fatto nella tua vita?”, lui le racconta di aver spedito una lettera al padre dopo la sua morte all’indirizzo “via del Paradiso 1948, che è l’anno di nascita di mio padre, Cielo, Universo. Ho scritto così sulla busta prima di imbucarla. Perché io mio padre lo immagino in paradiso. E immagino che in paradiso le anime siano divise per classi di età. Non è che ci creda, ma per mio padre è diverso. Quasi esistesse solo per lui”.

Una bella immagine, ma qual è il Suo rapporto con l’aldilà e con la fede?
Mah, molto contraddittorio. Fatto di periodi di grande fede alternati a periodi di assoluta indifferenza. Sono bipolare anche in questo, direi.

Quando ha capito che avrebbe fatto lo scrittore?
Non l’ho ancora capito fino in fondo.

In quale momento della giornata ama scrivere? Butta giù qualcosa quando arriva l’ispirazione oppure si dedica alla scrittura con costanza e metodo?
Costanza e metodo, direi. Anche se non ho un momento particolare della giornata. Quando comincio un romanzo non riesco a dedicarmi ad altro. Faccio e seguo solo quello. Il rischio è di perdere lo stato d’animo che l’ha ispirato.

La risposta alla domanda che avrebbe voluto le facessero e non le hanno mai fatto.
Cosa è per te la scrittura. La mia risposta sarebbe: sofferenza.

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