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Michele Zagaria in carcere con 1200 euro

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Qualcosa non ha funzionato come doveva. Qualcuno, o più di qualcuno, ha trattato il detenuto Michele Zagaria come se fosse un qualunque fermato, magari incensurato, e non il capo del clan dei Casalesi, ergastolano e destinato al carcere duro. Sarà stata colpa dell’entusiasmo seguito all’arresto, o forse un eccesso di disinvoltura nella gestione burocratica della cattura, magari semplice superficialità. Ma ora è il ministro della Giustizia, Paola Severino, a voler sapere com’è potuto accadere che il boss sia arrivato alla matricola del carcere di Novara con 1.200 euro nella tasca del giaccone: soldi che non erano stati sequestrati né al momento dell’arresto, a Casapesenna, né in questura a Caserta dove è stato fotosegnalato, né nel carcere di Secondigliano, dove ha trascorso la notte tra il 7 e 1’8 dicembre, prima di essere trasferito nel carcere piemontese. Il Guardasigilli ha avviato, infatti, un’indagine interna, sui cui risultati
riferirà alla Camera in risposta all’interrogazione presentata ieri ai ministri della Giustizia e dell’Interno dal parlamentare del Pd Andrea Orlando, responsabile del settore giustizia del partito. Scrive Orlando: «Michele Zagaria, al suo arrivo al carcere di massima sicurezza di Novara l’8 dicembre 2011, avrebbe esibito agli agenti penitenziari dell’ufficio matricole, tra i propri effetti personali, banconote per il valore di 1200 euro. Tale cifra sarebbe parte del ricavato di una raccolta fondi
effettuata tra imprenditori vicini, o vittime, del boss camorrista; ma soprattutto,
prima di venire confiscata a Novara avrebbe passato indenne tutti i controlli, a cominciare da quelli effettuati nel covo di Casapesenna dove Michele Zagaria è stato arrestato, sarebbe poi entrata e uscita dalla questura di Caserta col boss della Camorra, e sarebbe altresì entrata e uscita dal carcere di Secondigliano, dove Zagara è stato tra il 7 e l’8 dicembre del 2011». Il parlamentare chiede quindi di sapere «quali azioni intenda adottare il Ministero per accertare come abbia potuto Michele Zagaria occultare una tale cifra in banconote a tutti i controlli a cui è stato sottoposto; e quali azioni intenda, nel caso, intraprendere il Ministero per accertare che Michele Zagaria non sia riuscito a occultare altro alla rete dei controlli».
Un’inchiesta nell’inchiesta. Perché sulla vicenda, e sulla omessa perquisizione personale del boss casalese, sta già indagando la Dda di Napoli. La consegna del denaro alla matricola di Novara, segnale di un’anomalia, era stata comunicata dalla polizia penitenziaria del carcere piemontese alla Procura napoletana. Il pm Catello Maresca ha quindi disposto il sequestro dei soldi, ritenendoli frutto di un’attività illecita. Ma lo stesso magistrato ha anche disposto ulteriori approfondimenti per accertare se si sia trattato di una leggerezza o se, invece, sia accaduto qualcosa di poco chiaro. Leggerezza o dolo che sia, che avrebbe potuto avere conseguenze gravissime: ai controlli è sfuggito il denaro, ma Zagaria avrebbe potuto avere con sé anche un’arma, della droga, carte e documenti importanti, cose che comunque sarebbe riuscito agevolmente a far uscire dal bunker di vico Mascagni. Cose che avrebbe potuto utilizzare durante il trasferimento da Secondigliano a Novara.
Tra gli elementi da verificare, anche la possibilità che Michele Zagaria abbia potuto incontrare, nella sua prima notte da ergastolano detenuto, qualche altro carcerato. La Procura napoletana ha, infatti, chiesto di verificare chi fossero i detenuti affiliati al clan dei Casalesi che, sia pure teoricamente, avrebbe potuto incontrare a Secondigliano; ma anche i verbali della perquisizione personale subita dal boss nelle ore immediatamente successive all’arresto.
Sullo sfondo, il timore che possa essersi ripetuto quanto già accaduto a Palermo dopo la cattura di Totò Riina, con la tardiva perquisizione della casa dove il capo di Cosa Nostra aveva vissuto con la moglie e i quattro figli. Ma anche quanto avvenne dopo l’arresto di Francesco Schiavone, uno dei quattro capi casalesi, a dicembre del 1990. Fu trovato in casa dell’allora vicesindaco di Casal di Principe, Gaetano Corvino, abitazione utilizzata dal clan per le sue riunioni di vertice. Con Schiavone c’erano anche Francesco Bidognetti, Mario lovine (che riuscì a scappare), Raffaele Diana, Salvatore Cantiello, Giuseppe Russo, Francesco Schiavone jr. Erano tutti armati, ma le pistole di Schiavone e Bidognetti furono fatte sparire, nascoste sotto un divano. Un favore che fruttò a Schiavone e Bidognetti l’assoluzione (in appello) dall’accusa di detenzione dì armi e la conseguente scarcerazione.

Rosaria Capacchione
Il Mattino il 19/01/2012

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