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sabato, Aprile 20, 2024
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Lotta al lavoro nero: arrivano i «Gis»

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Si chiama «Gis», proprio come il Gruppo di intervento speciale dei carabinieri, noto per i blitz antiterrorismo e antimafia. Solo che in questo caso l’acronimo sta per «Gruppo d’intervento straordinario» e i blitz che effettuano i suoi componenti non sono finalizzati ad arrestare terroristi o mafiosi, ma a scoprire e sgominare il lavoro nero in Campania.

È l’ultima trovata sul fronte della lotta al caporalato e al lavoro irregolare della Direzione regionale del Lavoro campana, responsabile è il dottor Nicola Agosta (un altro gruppo Gis esiste solo a Milano). Rappresenta un tentativo per aumentare l’efficacia dei controlli grazie all’effetto-sorpresa. Inoltre, quelli del Gis possono intervenire dappertutto anche senza che sia stata presentata una denuncia preventiva. Che poi i carabinieri c’entrano comunque, perché i militari accompagnano sei tra ispettori e ispettrici del lavoro nelle «visite d’iniziativa non programmate» (così vengono definiti i blitz in gergo ministeriale).

Può apparire persino contraddittorio che mentre i controlli ordinari sono del tutto insufficienti, e mentre il numero di ispettori sia certamente inferiore ai bisogni, venga istituito un gruppo dotato di funzioni e poteri speciali. Però, i risultati del primo anno di attività sono confortanti. Il tasso d’irregolarità scoperto è in media pari al 61,5%. In pratica: oltre un’azienda su due controllata dal Gis non è risultata in regola. Presenza di lavoratori senza contratto, o con contratti irregolari, mancato rispetto delle norme antinfortunistiche e delle comunicazioni all’Inps e all’Inail, sono alcune delle irregolarità riscontrate più spesso.

Quali attività finiscono nel mirino dei Gis in Campania? Praticamente tutte, sia pure a campione. Piccole e medie imprese, ipermercati e negozi al dettaglio, artigiani e meccanici, ma anche pasticcieri e ristoratori. Non mancano aspetti «avventurosi» nel lavoro degli ispettori del Gruppo d’intervento straordinario: come quando elaborano strategie preventive per cogliere in flagrante imprenditori che utilzzano lavoratori al nero. Più di una volta carabinieri e ispettrici si fingono coppiette e organizzano «romantiche cene» nei ristoranti fingendosi clienti. Al momento di pagare il conto arriva la sorpresa: funzionari e carabinieri si qualificano, ordinano la chiusura degli ingressi del ristorante e controllano se il personale che lavora in sala e nelle cucine è assunto regolarmente oppure no. In più di un caso su due vengono scovati lavoratori a nero.

Cosa rischiano le aziende? Molto se i dipendenti in nero sono in una percentuale superiore al 20%, in questo caso infatti viene applicato il provvedimento di sospensione dell’attività d’impresa. Per evitare la chiusura i datori di lavoro devono dimostrare, entro 24 ore, di aver assunto tutti i dipendenti a nero, oltre a pagare l’inevitabile sanzione economica. Di certo se il Gis non potrà da solo sopperire alle carenze enedemiche nei controlli sul lavoro, e guarire la piaga del lavoro nero e irregolare, rappresenta comunque un tentativo di riorganizzazione e una risposta all’emergenza del lavoro senza contratto. Le condizioni di sfruttamento di molti giovani e anche tante donne nel Mezzogiorno vengono ritenute ormai a livelli terzomondisti. La tragedia di Barletta (quattro operaie e una ragazzina morte nel crollo della palazzina dove lavoravano a nero per 3,95 euro l’ora) rappresenta forse la pagina più nera di un fenomeno che andrebbe represso in maniera capillare.

Ed è una piaga tutta meridionale: «L’economia sommersa – spiega infatti il segretario Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi – ha ormai assunto connotati molto preoccupanti. Tuttavia, le differenze territoriali sono evidentissime. Oltre il 40% dei lavoratori in nero, del valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa e del gettito di imposta evasa, sono riconducibili alle Regioni del Mezzogiorno, mentre il Nordest, sempre additato come un’area ad alta vocazione al sommerso, è la macro area meno interessata da questo fenomeno». Dallo studio della Cgia emerge che la Regione più a rischio è la Calabria che presenta poco più di 184.000 lavoratori in nero e un’incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil pari al 18,3%.

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Roberto Russo

corrieredelmezzogiorno.it

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