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Marano: ronde armate in sella alle moto in pieno giorno L’articolo di Rosaria Capacchione dalle pagine del Mattino

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Un pezzo di faida oltre le mura di Scampia. Metodi da gangster in terra di mafia. E le tecniche della guerra frontale – con il suo corredo di epurazioni, sfratti e occupazioni – sperimentate anche lì, a Marano, dove i reati di strada sono quasi inesistenti e la camorra baratta il consenso sociale con l’apparente normalità della vita quotidiana. È durata dieci giorni appena, ma c’è stata: silenziosa e convincente. Dieci giorni terribili durante i quali nel feudo che fu di Nuvoletta e poi di Polverino si sono viste ronde armate scorrazzare in pieno giorno, in pieno centro, disturbando lo shopping, spaventando le donne che entravano nel supermercato e gli uomini che si fermavano al bar.
Racconta uno dei testimoni delle scorribande dimostrative: «Erano ragazzi, molto giovani. Arrivavano su scooter potenti. Esibivano le pistole, qualcuno anche il mitra. In una città mafiosa come la nostra non si era mai visto niente del genere». Giovani arrivati da non molto lontano. Da Melito, per esempio, dove si è insediata la famiglia di Cesare Pagano, che con Raffaele Amato (che ne è il cognato) era a capo degli scissionisti. Ma con basi importanti sul posto. A capo delle squadre ci sarebbe stato Mariano Riccio, genero di Pagano imparentato con una famiglia di Marano.
«Una esibizione di muscoli – commentano negli uffici investigativi – necessaria a misurare la forza in una delle piazze della droga più importanti della Campania, fino alla primavera scorsa controllata rigidamente da Giuseppe Polverino ma che, dopo il suo arresto in Spagna e la previsione di una lunghissima detenzione (la Dda ha chiesto la sua condanna a 20 anni di reclusione), rimasta sguarnita».
Prova di forza che ha già prodotto i suoi risultati. Sulle piazze di spaccio si vedono facce nuove; soprattutto, le ronde sono scomparse. Silenziose come erano arrivate, senza visibili reazioni da parte degli uomini di Polverino sfuggiti agli ultimi arresti. Anzi, i capipiazza sfrattati anche dalle abitazioni, con i metodi sperimentati durante la faida di Scampia del 2004 e riproposti a Secondigliano anche nelle ultime settimane, sono tornati a casa. La loro presenza è necessaria a rassicurare quanti avevano iniziato a disertare bar e circoli ricreativi per paura di agguati; a far capire che l’accordo è stato raggiunto, che la guerra – almeno per ora – non ci sarà, ma che l’aria è cambiata, che le armi sono solo riposte. Con i proiettili in canna.
Prima Melito, poi Mugnano. Oggi Marano. Sull’orizzonte s’intravede, già a portata di mano, la piazza di Giugliano. È controllata ancora, e saldamente, dalla famiglia Mallardo, alleata storica dei Casalesi. Ma anche il clan dei «Carlantonio» ha accusato i colpi della repressione giudiziaria: in carcere tutti i fratelli, in carcere anche Giuseppe Dell’Aquila, l’amministratore delegato del gruppo, arrestato lo scorso anno in provincia di Latina. E i sequestri, anche quelli – come per i Polverino – hanno dissanguato le casse del gruppo, dalle quali lo Stato ha tolto un patrimonio stimato un miliardo di euro. Anche gli alleati di Casal di Principe e Castelvolturno sono allo sbando, costretti a ripiegare, a mascherare le attività economiche e i nuovi affiliati aspettando tempi migliori. Per esempio, la scarcerazione dei fratelli Pasquale e Carmine Zagaria. Ma aspettando quel momento, la parola d’ordine è «inabissamento». Con la mano libera ai giovani, irruenti e violenti, che hanno spostato sulle estorsioni massicce, porta a porta, il core business del clan. Una situazione che gli scissionisti napoletani potrebbero sfruttare a loro vantaggio, appropriandosi del mercato della droga sinora gestito da una frangia bidognettiana, a Castelvolturno, e dai narcos nigeriani. Scenario da guerra totale, già visto negli anni Ottanta quando di morti se ne contarono a centinaia.



Rosaria Capacchione

Il Mattino il 18/09/2012

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