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mercoledì, Maggio 22, 2024
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«Caro Internapoli, ti scrivo…»
Stampa, spunti per un dibattito a più voci

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Caro Internapoli, ti scrivo… per rilassarmi un po’…Consentimi un brevissimo intervento di replica al dibattito a più voci di cui sono stato il…Nerone di turno. Mi hanno sempre fatto rabbia le prediche dei moralisti senza morale. Nessuno di noi è senza macchia e se una persona limpida ti fa notare le tue, accetti la critica, al massimo provitimidamente a spiegare la tua debolezza. Ma se a farti notare la tua macchia arriva qualcuno come te, se non peggio, e per giunta incapace di vedere il nero che lo circonda e nel quale sguazza allegramente, allora la misura si fa grottesca.
Chi ha la (s)fortuna di vivere a Napoli e la (s)fortuna di esercitarvi questo mestiere sa quanto sono stretti e impervi gli spazi.Un solo grande quotidiano (Il Mattino), un paio di foglietti giornalieri (Cronache di Napoli, quel che resta del Roma), due inserti locali (Corriere del Mezzogiorno per il Corsera e Repubblica Napoli), qualche altra pubblicazione (Il Denaro, Napolipiù), un minuscolo ventaglio di tv locali che fanno poca informazione, qualche radio e nessun periodico in grado di strutturarsi professionalmente.
Accanto a tutto ciò, la Rai, una testata giornalistica locale allergica alle notizie e formata alla convegnistica, una sorta di parterre di giornalisti-moderatori per presenziare a un dibattito qualunque, che poi, fatalmente, viene ripreso dalle telecamere del Tgr, e ottiene un passaggio nel Tg.
Gran parte dei giovani giornalisti napoletani che coltiva il sogno della professione lo alleva con decine di collaborazioni ma intorno ai trent’anni, più o meno, desiste e cerca un lavoro vero.
Qualche altro (pochi) ottiene un’assunzione ex articolo uno. Chi sono i fortunati?Fino agli anni Ottanta, al Mattino, il più grande quotidiano del sud e quindi ammiraglia di speranze per tanti, vigeva la regola del ventaglio. Qual era questa regola? Ogni anno, entro il turn over per la sostituzione dei pensionati o anche senza turn over, ingrassando le fila di un esercito che poi è esploso, veniva assunto un ventaglio di persone, selezionate così: su otto assunzioni, quattro erano democristiani, uno socialista, uno comunista e due bravi, perché il giornale bisognava pure che qualcuno lo facesse.
Quando dico democristiano, socialista e comunista non intendo persone politicamente schierate ma persone con una organica appartenenza all’apparato, alle correnti, al capobastone di turno; mi riferisco a un’assunzione che prescindeva completamente da qualunque qualità professionale e nasceva esclusivamente per dare una sistemazione a un galoppino o un figlio di papà con la tessera.
I due non lottizzati generalmente venivano invece prelevati dalle schiere di abusivi, che stazionavano nelle redazioni periferiche e che a loro volta avevano superato la dura selezione tra i corrispondenti e avevano avuto l’accesso alla stanza del menabò.
Dopo tre-quattro anni di abusivato (reddito quasi zero e dieci ore di lavoro al giorno), cominciavi a entrare nel ventaglio dei papabili in quota bravo; dopo un paio d’anni di nomination a vuoto, venivi assunto. E il meccanismo funzionava come un orologio svizzero.
Alla Rai di Napoli, il meccanismo era simile a quello del Mattino ma non c’era la quota bravi, tanto lì il problema di fare il giornale non esisteva. Così a viale Marconi (anche a Napoli la Rai è a viale Marconi) si entrava solo con la tessera. Quella scudocrociata, quella socialista, quella comunista, qualcuno anche con quella liberale.
Il meccanismo del Mattino aveva qualche cosa di democratico, in omaggio in fondo alla cultura orgogliosamente plebea di un giornale che era letto anche dal popolo, che sbarcava nel salotto buono come nel vicolo, che diventava “’o matìn”, che aveva al suo interno cronisti di razza, che sapevano parlare il linguaggio del marciapiede, sapevano infilarsi nel budello oscuro di questa città uscendone senza graffi ma con tanto da raccontare. Una famiglia, quella di via Chiatamone, dove tra i giornalisti c’era il figlio della Napoli bene e il figlio della periferia del malessere, dove il primo finiva a occuparsi di spettacoli o costume e il secondo immancabilmente di cronaca nera.
Esisteva certo, rigoroso e implacabile, l’ingranaggio lottizzatorio, odioso nella sua capacità di escludere i figli di nessuno, quelli con talento ma senza santi in paradiso. Un meccanismo che, inspiegabilmente, veniva condiviso anche dai comunisti, che predicavano la giustizia sociale ma sostenevano il rodaggio più ingiusto che io abbia mai visto, quello della selezione professionale non sui meriti e sulle qualità ma sulle appartenenze e sul servilismo.
Ma c’era (adesso non c’è più) al Mattino, comunque, pur nella lottizzazione, un vicolo di luce per chi era figlio di nessuno e coltivava il sogno del giornalismo.
Ti spezzavi la schiena, ingoiavi anni di abusivato sottopagato, vivevi sul filo della tensione per un’assunzione che non arrivava ma poi ce la potevi fare.Alla Rai non è mai stato così: o con tessera o niente.Il passaggio per essere assunto in Rai era: tessera di partito, appartenenza correntizia rigorosa (non bastava essere di quel partito ma bisognava essere organico e servile ai potenti di turno, alle loro bande), uffici stampa vari, assunzione.
C’è oggi, a Napoli, un mestiere più infelice, monotono e piatto del mestiere del giornalista? Non c’è. Basta leggere i giornali. Sono il risultato dell’infelicità del mestiere che, un tempo, era considerato il più bello del mondo. Per chiarire, cito un aneddoto. Sergio Zavoli, verso la fine del suo incarico di direttore a “Il Mattino”, nel corso delle riunioni di redazione prese a lamentarsi coi giornalisti della cronaca napoletana: “Non mi regalate mai un sorriso. Ogni giorno, nelle vostre pagine, è la solita musica. Disservizi, il traffico, problemi, disagi, il crimine. Com’è possibile che Napoli, città fantastica, produca ogni giorno solo questo? Regaliamo un sorriso ai lettori”.Era l’inizio del 1994 e, con Bassolino sindaco, si imponeva una visione positiva sullo slancio del G7. C’era un consenso bene orchestrato e i giornali napoletani regalarono comunque qualche sorriso tra le feste e l’arte contemporanea in Piazza Plebiscito e il trionfo del Rinascimento napoletano ben “pompato”. Ma Zavoli capì che, sotto la nuova facciata, Napoli non era cambiata: Le pagine di cronaca ne erano la testimonianza fedele, benché inondate di fotografie e panegirici sul pensiero positivo. Nessuno, in realtà, si illuse che Napoli fosse diventata una città moderna, anche se assunse come “console artistico” Renzo Arbore.Dopo il primo mandato a Palazzo San Giacomo, Bassolino poté vantare l’istituzione del difensore civico, la proposta di una variante di salvaguardia al piano regolatore, la realizzazione di un parco ai Camaldoli, una scossa all’arredo urbano, la liberazione di Piazza Plebiscito dal parcheggio abusivo delle auto, la trasformazione di alcune municipalizzate in società per azioni. Perse la battaglia per difendere le corsie preferenziali, per riorganizzare la macchina comunale, per la tempestiva riscossione delle multe, per la migliore efficienza del Corpo dei vigili urbani, per risolvere il problema del traffico. In ritardo la bonifica di Bagnoli, Napoli est, la soluzione al problema dei rifiuti esploso in questi giorni, il Piano parcheggi. Hanno messo il dito sulle piaghe della città molti vecchi sodali di Bassolino (il riccioluto Nicolini, ma anche i delusi del Rinascimento, gli epurati e gli oppositori Ds del presidenzialismo). In ogni caso, con l’ottimismo del sindaco, la sua elezione all’americana, il decisionismo che rompeva la pigrizia della città e col recupero turistico di Napoli, vivevamo col sole in fronte. Sgonfiatosi l’effetto-Bassolino, un fenomeno del tutto personale, ripiombammo nella malinconia e nelle lamentele che erano state proibite dal pensiero positivo.Di anno in anno, cambiata la gestione di Palazzo San Giacomo e invischiatosi Bassolino negli intrecci della maggioranza irrequieta alla Regione, non è stato possibile regalare alla città nessuno dei sorrisi invocati da Zavoli. Da qui l’infelicità dei giornalisti napoletani che, se non sono simpatizzanti o aggregati al potere cittadino, si vedono costretti a ripetere ogni giorno la litania degli eterni problemi, delle proteste, dei disagi e delle delusioni costanti. L’”eroica battaglia” per la Coppa America ha confuso le carte per un anno, oscurando i problemi cittadini, illudendo sul grande futuro di Bagnoli e rilanciando, tra lo scetticismo generale, le grandi ambizioni di Napoli.
Perduta la Coppa, le trombe della rivincita e della riscossa hanno echeggiato da ovest ad est, salvo a rendersi conto, oggi, che da ovest ad est, da Bagnoli alla zona orientale, siamo sempre fermi.Per le destinazioni di Bagnoli si è tornati a litigare, Napoli est è ferma ai blocchi di partenza con un programma che prevede solo ostacoli, il Piano regolatore generale è tutto da aggiustare, la città è in balia dei cortei di protesta e delle assemblee dei vigili urbani, gli animali dello Zoo muoiono di fame e di sete.Da qui l’infelicità, la malinconia, il disagio e la monotonia dei giornalisti di Napoli che devono registrare continuamente una realtà negativa, accusati di “lesa maestà” costretti come sono a non potersi bendare gli occhi sulla Napoli che non va. Città infelice e giornalisti uguali.E la famosa società civile? Le donne di Emily, e non solo loro, si battono per il “listino rosa”. Nasce “Diametro”, lobby bassoliniana alla quale si contrappone “Napoli possibile” di segno ovviamente contrario. Altri professionisti danno vita a “Libertà e Giustizia” che vuole essere “l’anello mancante fra i migliori fermenti della società e lo spazio ufficiale della politica”. A parte la lotta sotterranea per le prossime elezioni, non se ne vedono risultati incoraggianti. Resta solida la piramide del potere che fa capo a Sassolino.Tanto per distrarci, ci trastulliamo col “caso” Pomicino nella più divertente delle discussioni sul bene e sul male, con l’illusione che il ritorno di ‘o ministro abbia riacceso le passioni e la sostanza della politica. In realtà, è una mina vagante nel potere consolidato del Centrosinistra campano.E, allora, in mancanza del sorriso zavoliano, ci scappa almeno da ridere se non fosse che, per l’infelicità dei giornalisti napoletani, il resto è tutto da piangere. E, per i giornalisti sportivi, c’è il Napoli zoppicante di Totò Naldi e l’ultima disavventura fisica di Maradona.


Marcello Curzio
Giornalista professionista

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