REPUBBLICA ITALIANA N. 16778 Sentenze
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO ANNO 2004
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Sezione I^ – composto dai Signori: N. 10195 Reg. Ric. ANNO 2004
1) Giancarlo Coraggio – Presidente
2) Paolo Carpentieri – Consigliere – relatore
3) Arcangelo Monaciliuni – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 10195/2004 Reg. Gen., proposto da Bertini Mauro, Angellotti Castrese, Spariglia Biagio, De Magistris Claudia, Nuvoletti Massimo, Tango Laura, Castaldo Orazio, Pedemonte Giuseppe, Schiattarella Anna, Menna Antonio, Granata Mario, Amato Paola, De Vico Giuseppe, Vuolo Alfredo, Pezzullo Pia, Schettino Renato, Barberisi Giovanni, Gabriele Corrado, Iacolare Biagio, Perrotta Salvatore, Nuvoletta Fortuna, Gala Giovanni, Di Maro Claudio, Aprea Giuseppe, Gala Luigi, Paragliola Alfredo e Amitrano Alberto, tutti rapp.ti e difesi dagli avv.ti Giuseppe Abbamonte e Riccardo Marone, con domicilio eletto in Napoli, via C. Console 3, presso lo studio di quest’ultimo,
contro
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del presidente p.t., rappresentato e difeso, in giudizio ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio eletto, ope legis, in Napoli alla via Diaz 11;
il Ministero dell’interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso ut supra;
la Prefettura della provincia Napoli, in persona del prefetto p.t., rappresentato e difeso ut supra;
e nei confronti
del Comune di Marano di Napoli, in persona della Commissione straordinaria per la provvisoria gestione dell’ente p.t., non costituita;
e con l’intervento ad opponendum
di Santoro Antonio, Tipaldi Francesco e Principe Carlo, rappresentati e difesi dagli avv.ti Emanuele D’Alterio e Michele D’Alterio, con domicilio eletto in Napoli al Viale Gramsci 19;
per l’annullamento, previa sospensiva
<>;
VISTI il ricorso ed i relativi allegati;
VISTO il ricorso per motivi aggiunti notificato in data 9 – 10 settembre 2004 e depositato il successivo 15 settembre;
VISTI gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’interno e della Prefettura della provincia di Napoli, con le annesse produzioni;
VISTO l’intervento ad opponendum depositato dai sigg.ri Santoro Antonio, Tipaldi Francesco e Principe Carlo;
VISTE le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
VISTA l’ordinanza presidenziale di questa Sezione n. 116/2004 del 4 agosto 2004, con la quale sono stati disposti incombenti istruttori;
VISTI gli atti tutti di causa;
UDITI alla pubblica udienza del 27 ottobre 2004 – relatore il Magistrato Dr. Carpentieri – gli avv.ti riportati a verbale;
RITENUTO e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in esame – notificato il 3 agosto 2004 e depositato in segreteria il successivo giorno 4 – i ricorrenti (sindaco, assessori, consiglieri comunali del comune di Marano), impugnano il d.P.R. del 28 luglio 2004, con gli annessi atti del procedimento, di scioglimento del consiglio comunale di Marano, ai sensi dell’articolo 143 del t.u.e.l., per la rilevata sussistenza di gravi forme di ingerenza della criminalità organizzata.
Hanno dedotto diversi motivi di violazione di legge e di eccesso di potere.
Con ordinanza presidenziale n. 116/2004 del 4 agosto 2004 sono stati disposti incombenti istruttori.
L’amministrazione ha provveduto al deposito degli atti del procedimento in data 27 agosto 2004.
Con atto notificato il 9 e il 10 settembre 2004 e depositato il successivo 15 settembre, i ricorrenti hanno proposto motivi aggiunti.
Si sono costituiti ed hanno resistito in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’interno, concludendo per il rigetto del ricorso.
Alla pubblica udienza del 27 ottobre 2004 la causa è stata discussa e introitata in decisione.
DIRITTO
In rito deve giudicarsi inammissibile l’intervento ad opponendum spiegato dai sigg.ri Santoro Antonio e altri. L’intervento è giustificato esclusivamente con riferimento alla condizione dei proponenti di “cittadini di Marano di Napoli”. L’articolo 37 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642 consente a “chi ha un interesse nella contestazione” di “intervenirvi”. L’opinione prevalente ammette la sufficienza, ai fini dell’intervento, anche dell’interesse di mero fatto, non altrimenti qualificato e differenziato. Lo stesso articolo 37 citato, però, precisa che “la domanda deve contenere le ragioni, con la produzione dei documenti giustificativi”. Pertanto, l’interesse di fatto dei cittadini di Marano a che vengano garantite sicurezza e legalità nella civica amministrazione locale potrebbe in astratto legittimare l’intervento, ma avrebbe dovuto essere quanto meno esplicitato e rappresentato adeguatamente dagli interventori nel proposto atto di intervento (Cons. St., sez. V, 3 aprile 2000, n. 1909; Tar Molise, 10 dicembtre 2003, n. 944). Ciò che non risulta dagli atti, nei quali, come detto, gli interventori si qualificano solo come “cittadini di Marano di Napoli”.
Sempre in rito, deve darsi atto dell’intervenuta delimitazione del thema decidendum ai soli motivi “sostanziali”, poiché parte ricorrente ha rinunziato a verbale, nel corso dell’udienza pubblica, al motivo “formale” relativo alle dedotte censure di mancata partecipazione procedimentale.
Deve altresì dichiararsi improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse l’impugnativa di cui al punto g) del ricorso introduttivo, relativa al decreto prefettizio di sospensione del consiglio comunale.
Nel merito il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.
Per una migliore comprensione della complessa fattispecie è utile anteporre all’analisi dell’articolata istruttoria e degli specifici fatti richiamati dall’amministrazione a sostegno del provvedimento repressivo adottato, una breve considerazione d’assieme, che ponga subito in evidenza le linee portanti del controllo di ragionevolezza e di complessiva logicità svolto da questo giudice amministrativo sull’esercizio del potere amministrativo oggetto di sindacato.
In sintesi, non è convincente, ad avviso del Tribunale, la tesi di fondo che sorregge il provvedimento di scioglimento, secondo cui l’amministrazione comunale di Marano guidata dal sindaco Bertini, pur essendo stata avversata dalla locale malavita organizzata nel corso della campagna elettorale del 2001, si sarebbe successivamente mostrata permeabile ai condizionamenti malavitosi. La penetrante ed esaustiva indagine amministrativa, condotta dalla commissione di accesso sugli atti dell’amministrazione comunale, se ha fornito un quadro per certi versi allarmante di inefficienza gestionale e ha dimostrato lo scarso livello qualitativo nell’attività amministrativa dell’ente locale, non ha però proposto una ricostruzione plausibile della sussistenza dei presupposti voluti dalla legge per pervenire alla misura estrema dello scioglimento del consiglio comunale, con commissariamento dell’ente.
Per una migliore focalizzazione di questo passaggio, centrale nella riflessione condotta dal Collegio sulla complessiva razionalità della misura di scioglimento oggetto di giudizio, è utile riportare un brano del capitolo primo della relazione istruttoria redatta dalla commissione di accesso, nel quale viene fornita la chiave di lettura dell’intera indagine. Premesso, alle pagg. 5 e 6, un ampio richiamo all’ordinanza di custodia cautelare del g.i.p. presso il Tribunale di Napoli dell’8 ottobre 2003, costituente il più recente e aggiornato documento dell’indagine penale sul sodalizio criminale che inquina la vita civile, economica e sociale della zona di Marano, la commissione d’accesso osserva (pag. 6) che <
L’esame del pur copioso materiale raccolto dalla commissione d’indagine non fornisce però – ed è questo il punto – una ricostruzione chiara di questo ipotizzato “riposizionamento” della giunta guidata dal sindaco Bertini verso atteggiamenti di soggezione o di connivenza con i clan malavitosi locali. Manca soprattutto l’analisi (ma, in realtà, la stessa indicazione) di quelle “successive vicende politiche” che dimostrerebbero l’avvicinamento tra la giunta Bertini e la malavita, dopo la sconfitta del candidato sindaco avversario, sul quale inizialmente il clan avrebbe fatto confluire il suo appoggio. In particolare la nomina di tre assessori legati da parentela con soggetti controindicati (al di là del grado in alcuni casi troppo distante di queste parentele o affinità e al di là di altri aspetti che indeboliscono questo argomento e su cui ci si soffermerà nella parte analitica della motivazione) è un fatto immediatamente successivo alle elezioni (nella relazione istruttoria non sono fornite indicazioni di segno diverso, che possano far datare tali nomine ad una fase “successiva” al primo insediamento della giunta) e perciò non spiega queste pretese “successive vicende politiche” che avrebbero reso Bertini e il suo governo cittadino, improvvisamente, da nemico elettorale dei clan, a loro passivo alleato.
Resta, pertanto, priva di risposta, nella ricostruzione dei fatti elaborata dall’amministrazione, la domanda centrale: perché, quando, attraverso quali fatti, la giunta guidata dal sindaco Bertini, da una posizione di contrapposizione rispetto agli appetiti politico-amministrativi della camorra (contrapposizione emergente dalle stesse intercettazioni telefoniche riportate nell’ordinanza del g.i.p. e data per certa dalla stessa amministrazione degli interni negli atti di causa), sarebbe passata ad un atteggiamento di “convivenza” e di soggezione al condizionamento malavitoso?
Né fornisce una risposta razionale a questo quesito l’indicazione di un certo numero di consiglieri comunali di minoranza (quattro) in qualche modo vicini a soggetti “controindicati” o, comunque, indicati come passibili di condizionamento mafioso (tra questi il candidato sindaco avversario del Bertini nelle elezioni del 2001, Spinosa Giuseppe, interessato, come detto, dall’ordinanza del g.i.p. del tribunale di Napoli dell’8 ottobre 2003). Se è vero, come è vero e incontestato, che nel corso delle elezioni del 2001 altri (rispetto al candidato Bertini) furono i candidati in qualche modo sostenuti dalla locale malavita organizzata, il solo fatto della presenza in consiglio comunale di consiglieri di opposizione “attenzionati” sul piano della prevenzione anticamorra, oltre ad essere una ovvia conseguenza della premessa, è del tutto insufficiente a dimostrare la condizionabilità della maggioranza consiliare e del governo cittadino. Senza una ricostruzione di un ridisegno delle aree politiche consiliari (ad es. con l’avvicinamento alla maggioranza di consiglieri di minoranza “controindicati” a fini di prevenzione antimafia) o senza una indicazione specifica di atti e deliberazioni consiliari dimostrativi di una convergenza di queste componenti all’interno del consiglio e di una “sensibilità” dell’organo assembleare agli interessi della malavita, la sola presenza in consiglio di componenti opposti alla maggioranza che sarebbero stati sorretti dall’appoggio “politico” di ambienti malavitosi appare privo di significato ai fini della dimostrazione della esistenza dei presupposti per lo scioglimento dell’organo consiliare.
Sotto questo profilo, dell’eccessivo peso attribuito alla presenza in consiglio di elementi ritenuti vicini alla malavita locale, benché militanti nella fila dell’opposizione, si evidenzia un ulteriore difetto nel ragionamento dell’amministrazione, consistente nella non adeguata considerazione dell’evoluzione normativa successiva all’inserimento, nella vigente legislazione, della misura dello scioglimento del consiglio comunale (avvenuto con l’articolo 15 bis della legge 19 marzo 1990, n. 55, introdotto dall’articolo 1 del d.l. 31 maggio 1991, n. 164, convertito con modificazioni in legge dalla l. 22 luglio 1991, n. 221, poi rifluito nell’articolo 143 del t.u. enti locali di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267): dopo il 1990, infatti, con la legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale) è stato introdotto, come è noto, un sistema di tipo maggioritario nelle elezioni degli enti locali, in base al quale la figura centrale nell’amministrazione di questi enti è costituita non più dal consiglio comunale, ma dal sindaco (e dal presidente della provincia) e dalla giunta. Analogo effetto, sul piano della redistribuzione dei poteri effettivi di gestione dell’ente, è derivato dalle riforme ordinamentali susseguitesi negli anni ’90 del secolo scorso, che hanno condotto all’attribuzione dei poteri di gestione alla dirigenza e alla riserva al consiglio di competenze di indirizzo, di pianificazione e programmazione. E, riguardo agli atti programmatici e di pianificazione del consiglio comunale, non emergono rilievi nella pur analitica relazione di accesso. Peraltro, già nella formulazione della norma, risalente, come detto, al 1991, ancorché la misura dello scioglimento abbia ad oggetto diretto e immediato il consiglio comunale, nondimeno il presupposto è costituito dal collegamento diretto o indiretto degli amministratori con la criminalità organizzata, ovvero dalla sussistenza di forme di condizionamento degli amministratori, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati. Ciò che soprattutto rileva, dunque, agli effetti della misura repressiva de qua, non è tanto la composizione del consiglio comunale in sé considerata, ma il collegamento o il condizionamento degli amministratori. E questa conclusione, già autorizzata dalla lettera della norma, anteriore al 1993, risulta rafforzata dalla modifiche normative successive, sopra in sintesi richiamate. In questo quadro la presenza in consiglio comunale, non altrimenti qualificata da atti e comportamenti idonei a influire in modo determinante sulle delibere consiliari e sull’indirizzo politico dell’ente, di taluni consiglieri di minoranza sospetti di vicinanza ad organizzazioni camorristiche, si pone come fatto del tutto inidoneo a sorreggere la misura dissolutoria adottata.
Sotto un diverso profilo le gravi disfunzioni, inerzie e illegittimità nella civica amministrazione di Marano rilevati dalla commissione di accesso nel corso dell’ampia istruttoria condotta, dimostrano che nel comune di Marano non c’è una amministrazione efficiente ed efficace (ciò che notoriamente costituisce, purtroppo, una costante negativa di molte realtà comunali della provincia di Napoli e della Campania, in specie per la mancata repressione dell’abusivismo edilizio), ciò che avrebbero sicuro peso nella sede del controllo amministrativo, ma non dimostrano la sussistenza di quegli effetti di pregiudizio per il buon andamento dell’amministrazione comunale e del regolare funzionamento dei servizi, ovvero di grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica, indicati dall’articolo 143 del t.u.e.l. come ulteriori presupposti per lo scioglimento dell’amministrazione locale.
In definitiva i pilastri dell’argomentazione posta a base del provvedimento di scioglimento (ordinanza del g.i.p. del Tribunale di Napoli dell’8 ottobre 2003, dimostrativa della pervasiva presenza ed operatività di forti clan camorristici, con “rapporti con gli ambienti politico-amministrativi-imprenditoriali della zona di Marano”; presenza in consiglio di consiglieri di minoranza “controindicati”; presenza di tre assessori con parentele o affinità con soggetti “controindicati”; numerose illegittimità amministrative rilevate dalla commissione di accesso) non risultano adeguatamente legati tra loro, nel senso che la sommatoria di tutti questi elementi non si traduce in una sintesi conclusiva idonea a dimostrare che il governo cittadino che ha sconfitto alle elezioni il gruppo sostenuto dalla camorra sia caduto anch’esso in una condizione di soggezione e di condizionamento malavitoso tale da giustificare la misura estrema dell’azzeramento della scelta politica dei cittadini.
Le conclusioni dell’amministrazione, da questo punto di vista, si presentano per certi versi assiomatiche o assertive, nel senso che la somma dell’accertamento della presenza sul territorio di una forte associazione per delinquere di stampo mafioso, naturalmente e notoriamente incline ad esercitare un condizionamento sull’amministrazione locale, in uno ad altri elementi, alcuni non riferibili all’attuale governo cittadino (consiglieri comunali di minoranza), altri di non univoca significanza, agli effetti del procedimento in discorso (gravi illegittimità e inerzie), sembra aver indotto l’automatica conclusione della necessità della misura dello scioglimento degli organi elettivi, con un esito potenzialmente paradossale di vanificazione di una scelta politica dei cittadini che, come si evince dagli stessi atti dell’istruttoria, avevano premiato il candidato alternativo a quello sostenuto dalla locale malavita organizzata.
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