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domenica, Giugno 16, 2024
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CAMORRA, LA STRAGE CONTINUA
Assedio del crimine. Il Mattino del 28 novembre 2004

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NAPOLI. E ieri sera ennesimo agguato di camorra a Napoli, nella periferia settentrionale: un morto e due feriti a Scampìa. Siamo alla diciottesima vittima (da settembre) della guerra tra gli ex gregari del clan Di Lauro e i fedelissimi del boss latitante per assicurarsi il controllo di consistenti fette nella gestione del traffico di droga. L’ucciso, Giuseppe Bencivenga, 30 anni, non aveva documenti: non è stato facile identificarlo. Era di Sant’Arpino, nel Casertano. Precedenti per spaccio. Il commando è entrato in azione alle 19 in via Ghisleri sparando all’impazzata contro un gruppetto che s’era riparato sotto i portici per la pioggia. Centrato il bersaglio, Bencivenga, raggiunto da più proiettili alla testa: il volto era una maschera di sangue. Inutile il trasporto al Cardarelli. Se la sono cavata con lievi ferite invece Raffaele Romano, 38 anni, che abita proprio in via Ghisleri, pure con precedenti per ricettazione e droga, e Giuseppe Spina, 29 anni, incensurato, di Arzano – uno dei comuni che rientrano nell’area calda della faida – per il quale la prognosi è di dieci giorni: raggiunto di striscio a una caviglia. Interrogati, avevano sostenuto di non conoscere la vittima. Uno potrebbe essersi trovato coinvolto per caso. Ancora una sfida della camorra, in un territorio vastissimo presidiato massicciamente dalle forze dell’ordine che proprio nei giorni scorsi avevano assestato duri colpi ai clan, interrompendo un summit degli «scissionisti» e con una serie di arresti conseguenti alle indagini sugli ultimi omicidi (convalidati dalla magistratura). Ma c’è poco da illudersi in un’area degradata e ad altissimo tasso di disoccupazione e disintegrazione sociale (Scampia è un quartiere costituito esclusivamente da palazzi popolari), l’humus ideale per il riprodursi di attività delinquenziali. La polizia è arrivata subito sul posto, buio, deserto: la gente rintanata nelle case. Per terra un’infinità di bossoli. Difficile ricostruire la dinamica. Intanto arrivava la segnalazione di un’auto in fiamme davanti ad un ufficio postale: falso allarme che ha portato alla scoperta di due auto, una Yaris e una Jaguar – quest’ultima con gli interni bruciati come per un principio d’incendio – vicino al campo rom di via Cupa Perillo (dove furono trovati i tre cadaveri avvolti nel cellophan). Forse le auto usate dal commando.
l.ru.




Vite anonime della Spoon River metropolitana

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di Antonio Pascale




Una volontaria e un venditore di carciofi, un salumiere e un tabaccaio, il titolare di un’autorimessa e un pregiudicato in semilibertà. Storie di vita spezzate e offese nel sangue. Otto morti in una settimana, il nono ieri sera: questa è la Spoon River della città dilaniata dalla guerra di camorra. *** Sabato 20 novembre. Salvatore Migliaccio, incensurato, 34 anni, figlio di Giuseppe, sta lavorando nell’autorimessa di famiglia a Mugnano. Con lui ci sono anche il padre e un dipendente. Stanno chiacchierando sulla soglia dell’ufficio, quando spuntano i killer a bordo di due moto. Con il volto coperto dai caschi, fanno segno all’anziano di spostarsi, quindi sparano. Salvatore potrebbe aver pagato le frequentazioni pericolose di uno zio. Potrebbe, ma non è sicuro. Quel che è certo è che i poliziotti hanno trovato il padre di Salvatore, inginocchiato sul corpo del figlio, in lacrime. *** Sempre sabato, in piazza Ottocalli a Napoli, muore Gennaro Emolo, 56 anni, ex contrabbandiere, venditore ambulante di caldarroste e carciofi. È lì anche quel giorno, come sempre, al suo banchetto. I killer arrivano e mirano alla testa. L’omicidio risulta a prima vista incomprensibile. Forse un familiare del venditore di castagne spaccia droga dove non dovrebbe. Certamente Emolo non temeva di essere in pericolo, tanto più che a poca distanza c’è un commissariato di polizia. Decine di persone hanno assistito all’esecuzione del venditore in mezzo alla piazza. Terrorizzate. Il banchetto con gli sportellini bianchi sembra intatto. Come il cartello: «Peperoni funghi carciofi arrostiti». *** Domenica 21 novembre, Melito, le dieci del mattino. Domenico Riccio, 49 anni, proprietario di una tabaccheria a Melito e Salvatore Gagliardi, 57 anni, suo amico del rione Don Guanella, stanno chiacchierando nel negozio. Chissà, parlano di calcio e dell’isola dei famosi. È ancora presto, non c’è molta gente di domenica a quest’ora. Non ci sono neanche i carabinieri, che vivono nella caserma lì vicino e che di frequente si vedono nella tabaccheria. Due giovani fanno il loro ingresso nella tabaccheria, armi in pugno. Non si curano del videoimpianto di sicurezza. Fanno poche mosse, sbrigative e sicure. Forse non chiedono nemmeno un pacchetto di sigarette, così, per non destare sospetto. Sparano a bruciapelo dodici volte: per Riccio e Gagliardi non c’è nulla da fare. Probabilmente hanno cercato di fuggire, ma gli assassini sono stati più rapidi. I parenti corrono come pazzi, presi della disperazione. Per Riccio, tempo fa, la procura aveva chiesto l’arresto per riciclaggio, ma il gip aveva detto no. *** Stessa domenica, cinquanta minuti più tardi. Francesco Tortora, di anni 62, domiciliato al Terzo Mondo, palazzoni seriali di Secondigliano, nessun precedente penale eccetto una vecchia denuncia per favoreggiamento, si appoggia a una Ford Ka per leggere il giornale, in un parcheggio di Arzano. Chissà cosa desta la sua attenzione, forse la fuga di gas che ha distrutto una palazzina a Foggia. Così Tortora non si cura di due persone che sopraggiungono e lo ammazzano, sparandogli in faccia. Poi lo caricano in macchina. Verso sera il corpo di Tortora viene ritrovato in una Fiat 600 data alle fiamme. L’unica colpa di Tortora, pare, era quella di essere parente del boss Di Lauro. *** Nella notte tra domenica 21 e lunedì 22 novembre, viene rapita, torturata, uccisa e poi bruciata Gelsomina (Mina) Verde, 22 anni, volontaria senza turni fissi in un’associazione che si occupa di deboli e diseredati. I suoi killer – si verrà a sapere – volevano avere notizie di un loro rivale in fuga, che in passato ha avuto un legame sentimentale con lei. Tanto è bastato per ammazzarla, a Secondigliano. E poi sfregiarla una seconda volta, con il fuoco. Uno dei suoi assassini era appena uscito di galera grazie all’indultino. La ragazza che amava i neomelodici abitava in un piccolo rione di case basse color giallo, a San Pietro a Patierno. Ora nell’androne del suo portone un’edicola votiva dedicata della Madonna è piena di fiori. Mina aveva i capelli rossi. La nonna che la piange durante il funerale ha i capelli dello stesso colore: «Carne della mia carne», dice in lacrime. *** Mercoledì 24 novembre, muore a mezzogiorno, freddato nella folla, a pochi passi dall’ingresso della stazione della metropolitana di Piscinola, Salvatore Abinante, 31 anni, pregiudicato che gode della semilibertà. Lavorava in negozio di termoidraulica, dalla mattina fino alle sei di ogni sera prima di tornare nel carcere di Secondigliano. Mercoledì, come spesso accadeva a quell’ora, esce per andare a comprare le sigarette. Deve intuire quello che sta per succedere, perché cerca scampo in un tentativo di fuga a piedi. Ma gli assassini sono fulminei. Pochi chilometri più in là è in corso un’operazione di polizia. La vittima paga la sua parentela con Raffaele Abinante, considerato uno scissionista. *** Giovedì 25 novembre, alle 12.45 muore nel suo negozio, ucciso da quattro proiettili, Antonio Esposito, 60 anni. Salumiere di professione, incensurato. Il suo esercizio è nel rione Monterosa, a Scampia. Pulito lui, pulita la moglie, le figlie sono studentesse. Un’attività commerciale gestita da anni a livello familiare. Quattro dipendenti e sempre la folla, dentro. Forse il commerciante ha cambiato assegni al boss. Forse è andato al bar con la persona sbagliata. Al momento dell’assassinio di Esposito, uno dei dipendenti sta sbrigando una cliente, un altro pulisce il frigorifero. Quando intuiscono quel che sta accadendo tutti si gettano a terra. Tramortiti dal terrore.





Massacro per la droga, coprifuoco a Scampia




Ancora terrore e sangue nella periferia settentrionale. Con l’agguato di ieri a Scampìa – un morto e due feriti – siamo alla diciottesima vittima della guerra in corso, in un vasto territorio che comprende i comuni a Nord di Napoli, tra i fedelissimi del boss del narcotraffico Paolo Di Lauro e gli «scissionisti» che vogliono acquisire autonomia nella gestione della droga, approfittando della lontananza del capo («Ciruzzo ’o milionario» è latitante dall’ottobre 2002). La vittima, stavolta, è di Sant’Arpino, nel Casertano: Giuseppe Bencivenga, 30 anni, precedenti per spaccio. Forse si trovava in zona per approvvigionarsi. Non aveva documenti e per la polizia non è stato facile identificarlo. Uno dei due feriti, Raffaele Romano, è uno spacciatore di via Ghisleri; l’altro, Giuseppe Spina, di Arzano – uno dei comuni teatro della faida – risulta incensurato e dunque al momento non si può escludere che si sia trovato per caso nella traiettoria dei proiettili. Entrambi avevano sostenuto di non conoscere la vittima. Dilaga la paura nel quartiere (dove appena venerdì era stato ucciso un salumiere incensurato), ormai tutti si sentono a rischio e col buio scatta il coprifuoco. Anche ieri la polizia s’è scontrata con un muro di omertà. La zona buia, deserta: la gente rintanata nelle case. Di solito quando diluvia si registra un calo degli agguati – troppo rischioso fuggire sull’asfalto bagnato – ma stavolta neanche il maltempo ha fermato i killer. L’imboscata alle 19 in via Ghisleri. Un «commando» di almeno cinque o sei uomini s’è messo a sparare contro un gruppetto che s’era riparato sotto i portici del Lotto SC 3 per la pioggia. Centrato il «bersaglio», Bencivenga. Raffaele Romano, 38 anni (abita proprio in via Ghisleri), precedenti per ricettazione e spaccio; e Giuseppe Spina, 29, di Arzano, se la caveranno in pochi giorni. Per terra un’infinità di bossoli. Difficile ricostruire la dinamica. Intanto arrivava la segnalazione di un’auto in fiamme davanti all’ufficio postale di via Bakù: un falso allarme che ha portato alla scoperta di due auto, una Yaris ed una Jaguar – quest’ultima con gli interni bruciati, come se qualcuno avesse tentato d’incendiarla – vicino al campo rom di via Cupa Perillo (dove il 9 novembre furono trovati i tre cadaveri avvolti nel cellophan): forse le auto usate dal commando. Entrambe sono risultate rubate (la Jaguar, nuovissima, a una donna). Accanto, varie taniche di benzina. Gli incendiari fuggiti per un imprevisto. Top secret della polizia, che non conferma collegamenti con l’agguato di via Ghisleri (s’è anche sparsa la voce che si trattasse delle auto usate dai killer di Gelsomina Verde). Particolari inquietanti, ricorrenti, in questa serie di omicidi, il fuoco – anche il corpo di Gelsomina fu dato alle fiamme – e i ritrovamenti in via Cupa Perillo accanto al campo nomadi non attrezzato dove vivono un centinaio di famiglie slave. Ma dagli investigatori non sono mai state avallate neanche le voci dell’arrivo di sicari dall’Albania, chiamati dal boss Di Lauro per stroncare la rivolta degli ex «colonnelli». Ancora una sfida della camorra, all’indomani di duri colpi assestati ai clan da polizia e carabinieri. Riflettori dunque ancora accesi sul «caso Napoli», e anche se vengono chiamate in causa tutte le altre istituzioni, compresi gli enti locali, per le forze dell’ordine non è facile lavorare in queste condizioni. Tuttavia la morsa non s’allenta. Anche ieri arresti e perquisizioni. E in serata – dopo un blitz della polizia in via Francesco Correra contro gli spacciatori, nel corso del quale sono stati effettuati alcuni fermi – sotto l’abitazione della famiglia Lepre, al civico 216, s’è radunata una folla che inveiva contro il boss del «Cavone» urlando che senza la sua presenza tanti giovani non sarebbero diventati tossici, i figli non sarebbero stati portati in Questura.




Il killer di Mina resta in cella


di GIUSEPPE CRIMALDI




Il giudice per le indagini preliminari Sergio Marotta ha convalidato in arresto i fermi eseguiti nelle scorse ore dai carabinieri e dalla polizia. Restano così in carcere Pietro Esposito, il 38enne accusato di concorso nell’omicidio di Gelsomina Verde; e i sette «scissionisti» bloccati in un appartamento di via Fratelli Cervi mentre partecipavano a un summit di camorra per mettere a punto gli ultimi dettagli di un agguato. In entrambi i casi il gip ha motivato la propria decisione con le «gravi esigenze cautelari». Pietro Esposito – considerato vicino alla fazione rimasta fedele al boss Paolo Di Lauro – è stato colpito da un decreto di fermo emesso dalla Dda di Napoli ed eseguito dai carabinieri del comando provinciale, perché ritenuto uno degli organizzatori dell’omicidio della ragazza di 22 anni assassinata per una vendetta trasversale, I sette fermati appartengono invece alla fazione che si è distaccata da Di Lauro, scatenando una sanguinosissima faida interna nel tentativo di conquistare spazi criminali. Anche questi fermati (sette persone, tra i quali due dei promotori della frangia ribelle, oltre a due fratelli del ragazzo ritenuto legato sentimentalmente a Gelsomina Verde) resteranno in prigione perché secondo il gip «sussistono a loro carico gravi esigenze cautelari». Intanto proseguono le indagini sulla faida. I pm della Dda Giovanni Corona e Luigi Frunzio hanno a lungo interrogato Pietro Esposito. Nelle prossime ore dovranno invece essere convalidati i fermi di altri due presunti affiliati al clan Di Lauro: Paolo e Salvatore Vitagliano, ritenuti dalla polizia i cassieri del clan Di Lauro. I due erano ricercati dallo scorso luglio, quando il giudice per le indagini preliminari Rosanna Saraceno emise un’ordinanza di custodia cautelare contro i clan dell’Alleanza di Secondigliano con le accuse di associazione mafiosa finalizzata al riciclaggio di denaro sporco. Nell’ambito della stessa inchiesta anche i carabinieri del comando provinciale – diretto dal generale Vincenzo Giuliani – arrestarono in Canada il latitante Giovanni Bandolo, ritenuto affiliato all’Alleanza di Secondigliano. Il ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, ha intanto telefonato al comandante generale dei carabinieri, Luciano Gottardo esprimendogli «vivo apprezzamento» per le operazioni condotte nelle ultime ore dal Comando provinciale di Napoli nei confronti dei presunti responsabili di due efferati omidici avvenuti nei giorni scorsi.



IL MATTINO 29 NOVEMBRE 2004

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