FUORIGROTTA. Una fitta rete di canne di bambù, un segnale di divieto e una scritta in calce. Un ordine perentorio: «Accesso severamente vietato». Lì dove il 30 ottobre c’erano le gabbie dei due giaguari, oggi c’è solo uno sbarramento. Porte chiuse e bocche cucite, per celare la più triste delle verità: uno dei due felini è morto, l’altro vive da mesi in condizioni disperate, privo di una zampa.
Il dramma dei giaguari va in scena allo zoo di Napoli, nella nuova struttura inaugurata in pompa magna poco più di sei mesi fa. Molte aree sono ancora in fase di allestimento, ma il vociare di bambini in gita scolastica riempie già i vialoni alberati dell’impianto di via Kennedy.
Le attrazioni sono tante, dalla fattoria ai leoni, dall’elefante agli orsi. E le vecchie polemiche sulle condizioni precarie in cui sono costretti gli animali in cattività sembrano solo un lontano ricordo. Così non è. Purtroppo. Da giorni le voci si susseguono, incontrollate: i due giaguari sono in fin di vita, il puma è malato, un leopardo è stato trasferito in un centro specialistico per essere sottoposto a degli accertamenti. Dallo zoo non arrivano conferme, dirigenti e dipendenti si avvalgono in coro della facoltà di non rispondere. Vige il massimo riserbo, diffondere notizie sullo stato di salute degli “ospiti” è assolutamente vietato. Ma il clima è tesissimo. Impossibile non notare niente. C’è uno strano andirivieni tra le gabbie, alcuni animali vengono prelevati e portati via, altre aree vengono chiuse al pubblico. Accade così che la “casa” del leopardo di fronte alle gabbie delle tigri sia vuota. E che i recinti dei giaguari siano occultati alla vista da una fitta rete di piccole canne di bambù. Con un segnale di divieto d’accesso in bella mostra.
Domandare è inutile. «Oggi i felini dal mantello a macchie non sono visibili – dice uno degli addetti – Ordini dall’alto». La scena si ripete da un paio di settimane, tanti i visitatori che sono tornati a casa delusi dal non aver potuto ammirare i grandi predatori dell’America meridionale. I giaguari non sono esposti al pubblico, ma sono lì. E si lamentano. Uno strano urlo squarcia le giornate di primavera dello zoo di Napoli. È il grido di dolore del giaguaro. L’ultimo grido. «Sì, uno dei due giaguari è morto», ammette a voce bassa un dipendente. Si ferma un attimo, in religioso silenzio. Poi continua: «E l’altro sta male. Nell’estremo tentativo di salvargli la vita i sanitari gli hanno amputato una zampa». I volti degli addetti alla sicurezza sono tirati. La tensione è tanta, bisogna in ogni modo tenere i curiosi alla larga dagli animali malati: «L’equipe medica sta facendo uno sforzo straordinario – rivela il solito dipendente – Anche ieri mattina sono venuti e hanno disinfettato le ferite del felino. Adesso sta meglio, ma è ancora molto debole. E poi, poverino, senza un arto. Capisce, non possiamo esporlo al pubblico…» Giusto così. Anche in previsione delle eventuali polemiche. Perché non ci sono solo i giaguari in cattive condizioni.
Nei giorni scorsi, anche un leopardo è stato prelevato dalla sua gabbia e trasportato nei laboratori della facoltà di Veterinaria. Gli è stata fatta d’urgenza una Tac al capo, la prognosi sarà sciolta nelle prossime ore ma i sanitari non possono dirsi ottimisti. Il felino dell’Asia e dell’Africa è malato, il suo sistema nervoso desta più di una preoccupazione. Così come le zampe del puma ribattezzato “Mirko” dal personale dello zoo. È tenuto costantemente sotto osservazione, il felino dalla carnagione chiara. Si muove a fatica, ha le zampe atrofizzate. Fermo nel suo piccolo recinto chiuso al pubblico, Mirko osserva i due vicini di gabbia, due esemplari che hanno fatto la storia della struttura di via Kennedy: il leone “Bambù” e la tigre “Cristina”.
Sono lì da una vita i due felini, ereditati dai nuovi proprietari con tutto l’impianto. Bambù è nato in cattività, Cristina è stata “adottata” quando aveva ancora pochi mesi. Erano le due più grandi attrazioni della vecchia gestione, oggi giacciono in fin di vita. Bambù soffre di una rara malattia alla pelle, ha perso tutti i peli della criniera, se non fosse per la stazza ancora possente sarebbe difficile riconoscere nelle sue carni malandate un leone. Gira e rigira nella sua cella, quello che nell’immaginario dei bambini è il re della foresta, l’animale più temuto della savana. Mansueto, si lascia accarezzare dai dipendenti attraverso le sbarre. Al suo fianco, in un’altra gabbia, c’è Cristina. Meno esuberante, molto più anziana, vive rintanata in una casina in cemento. «È stata spostata pochi giorni fa – spiega uno degli addetti, da dieci anni in servizio nell’impianto di Fuorigrotta – Non s’è ancora abituata al nuovo habitat, ha paura del leone. Prima era esposta tra i suoi pari, al centro, nella gabbia più grande. Ma ormai è troppo vecchia e ha lasciato il posto ad una nuova tigre del Bengala, molto più bella». Vive in silenzio, oggi, Cristina, al riparo da occhi indiscreti. Sta lottando contro la morte. Come Bambù, come Mirko, come il leopardo e il giaguaro senza una zampa. L’altro giaguaro, invece, non ce l’ha fatta. Il suo cuore ha smesso di battere un paio di giorni fa. Nel silenzio. Coperto da una fitta rete di canne di bambù.
ZOO: VA IN SCENA LA TRISTE FINE DEI GIAGUARI
Uno è morto, all’altro è stata amputata la zampa
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