MUGNANO. È in Iraq dal 18 febbraio. A Mugnano lo attendono moglie e figli, ma è contento di essere andato a dare una mano per la rinascita di un Paese che attualmente somiglia più all’inferno che al deserto, tra sangue, attentati, sparatorie, rapimenti e paura. Tanta paura. E di lavoro ne fa tanto al giorno Michele Papa, tenente colonnello dell’Aeronautica militare italiana, in missione a Nassiriya, città simbolo del tributo di vite umane pagato dagli italiani in Iraq, da dove via telefonino racconta la sua esperienza. Papa, 45 anni, laurea in Scienze politiche e Giurisprudenza, ricopre l’incarico di capo servizio amministrativo presso il C.A.I. (centro amministrativo d’intendenza) del contingente italiano in Iraq. Ogni giorno l’ufficiale, nell’ambito di tali progetti, intrattiene rapporti con ditte locali per i lavori nella provincia del Dhi Qar, un lavoro delicato e importante, alla base della ricostruzione del Paese.
Cosa l’ha spinta ad andare in zona di guerra, a partecipare a questa missione pericolosa?
«Il mio spirito di servizio, il senso del dovere e soprattutto la voglia di aiutare questa popolazione. E giorno dopo giorno, vedendo da vicino come vive questa gente, mi convinco sempre più di aver fatto la cosa giusta e finora sto ricevendo grosse soddisfazioni. Vedo con piacere ed emozione che l’attività del contingente italiano in Iraq, favorisce la ripresa dell’economia locale in maniera considerevole. Qui lavoriamo per il ripristino delle infrastrutture e dei servizi essenziali: l’assistenza sanitaria alla popolazione e presso le scuole, la distribuzione di aiuti umanitari, l’avvio di numerosi progetti infrastrutturali nei settori della sicurezza, della sanità, scolastico, idrico ed elettrico. Voglio però sottolineare ancora l’impegno sanitario con il nostro ospedale da campo, dove si effettuano anche operazioni chirurgiche».
Dopo di voi cosa succederà?
«Lavoriamo per il futuro, nella speranza di aver seminato bene. L’intervento in Iraq tende proprio a questo: porre le basi per il consolidamento di uno Stato democratico che rigetta la violenza e accetta il sistema democratico. A noi forze armate è stato affidato il compito, di notevole importanza, di addestrare ed equipaggiare le forze di sicurezza irachene, quelli che in futuro dovranno garantire la sicurezza e l’ordine pubblico del paese».
Come va il lavoro a Nassiriya?
«Benissimo. Lavoriamo tanto e altrettante sono le soddisfazioni che riceviamo. Stiamo aiutando questo popolo a lasciarsi alle spalle il terrore e la violenza, a ricostruire la loro terra con scuole, strade, servizi pubblici. Una ricostruzione fondamentale per il passaggio alla democrazia dopo anni bui, senza libertà».
La cosa che più le fa piacere di quest’impegno?
«Dare assistenza quotidiana e continua a chi soffre: il nostro ospedale è un via vai incessante di cittadini bisognosi di cure. I casi più gravi, soprattutto per gli interventi al cuore, li mandiamo in Italia con i nostri aerei. Li assistiamo fino a quando, anche dopo il ritorno in Iraq, non si ristabiliscono completamente. Tutto a spese dello Stato italiano. Questa è veramente un’azione che fa onore all’Italia».
Com’è il rapporto tra i militari e i cittadini iracheni?
«Ottimo. Possono nascere incomprensioni, ma nel complesso i rapporti sono buoni e penso che gli attentati non sono assolutamente opera dei cittadini ma di cellule terroristiche internazionali che hanno il compito di destabilizzare, creare confusione e caos».
L’Iraq ce la può fare?
«Penso di sì. La gente non è cattiva e, riuscendo ad isolare i terroristi e chi rema contro la rinascita del paese, si potranno vedere giorni migliori»
Perché ha scelto l’arruolamento nell’Aeronautica?
«Nella mia famiglia c’erano già parecchie divise, a cominciare da mio padre. Così mi sono impegnato nello studio e sono riuscito ad entrare nell’Arma aeronautica, il mio sogno da ragazzo. Questo lavoro mi piace e finora mi sono sempre trovato bene: oltre all’impegno militare vero e proprio, hai anche la possibilità di fare qualcosa per gli altri dal punto di vista della solidarietà, così come sta avvenendo qui in Iraq, dove tutti stiamo dimostrando la grande preparazione militare e il grande cuore degli italiani».
Come si svolge la sua giornata in Iraq?
«Una vita semplice: alle 8 in ufficio e via fino a sera tardi. Lavoriamo tutti con grande passione e coscienza per cercare di dare risposte positive ai problemi di questa gente, duramente provata. Si opera con entusiasmo e questo fa dimenticare i disagi, soprattutto per un clima desertico, completamente diverso dal nostro: qui si arriva tranquillamente a 50 e 55 gradi, anche se è un caldo secco, che ti permette di respirare. Il primo impatto con questa terra è stato curioso: appena scendemmo dall’aereo ci trovammo nel bel mezzo di un temporale con fiumi di pioggia che scendeva dal cielo. La sera ci rilassiamo, si ride e si scherza, anche se dopo la cena non c’è molto da fare e ci si rifugia in alloggio per leggere e riposare. Qui cerchiamo di condurre una vita normale, a cominciare dalla Messa nella nostra cappella».
E come va la mensa: vi fa rimpiangere la cucina in Italia?
«No: qui il pranzo è ottimo e abbondante. Non ci facciamo mancare nulla, a cominciare dagli spaghetti alle vongole. La domenica ci sono anche dolce e gelato. Anche gli iracheni apprezzano la nostra cucina: ogni giorno offriamo un pasto a chi non può permetterselo, agli sbandati, ai senzafamiglia, ai bambini. Per loro, ovviamente, osserviamo un menu particolare, rigorosamente senza carne di maiale e senza alcol: il rispetto della loro religione e delle loro usanze è molto importante per stabilire un rapporto improntato sulla solidarietà e la lealtà».
Ha nostalgia dell’Italia?
«In Italia c’è la mia famiglia, i miei figli e quindi mi manca. Ovviamente ci sentiamo ogni sera e ci parliamo tanto sulla vita di tutti i giorni, sul lavoro, sulla scuola, sui piccoli problemi che possono sorgere, cercando di non farci prendere troppo dalla malinconia. Mio figlio Giampaolo, quasi 9 anni, prima di partire mi ha regalato una macchinina della polizia come portafortuna e io la conservo gelosamente. Tutti i giorni da casa mi chiede cosa ho mangiato ed io nel rispondere penso tra me e me quanto mi piacerebbe gustare una bella mozzarella di bufala del Giuglianese».
È riuscito a conservare qualche hobby in Iraq?
«Il mio hobby preferito è il giardinaggio, ma qui non è proprio il caso: lo riprenderò appena torno a casa, a Mugnano. Al campo riesco solo a leggere, altra mia passione presa da giovane e che mi è rimasta tutta. I libri di storia sono quelli che mi attirano di più, ma anche i grandi romanzi mi piacciono tantissimo. In queste sere sto rileggendo “Ragazzi di vita” di Pasolini, un libro veramente fantastico. Mi piace anche viaggiare e, appena in Italia, farò una lunga vacanza con i miei. Andremo in Sardegna e a Venezia con una puntata a Gardaland per far contenti i ragazzi».
Cosa porterà in Italia al ritorno dall’Iraq?
«Non so. Qui c’è poco. Forse in valigia, il 18 giugno, metterò un poco di sabbia del deserto: una terra difficile, dilaniata da sempre da mille lotte sanguinose, che adesso si spera trovi democrazia, benessere e pace».
FRANCO BUONONATO – IL MATTINO 23 MAGGIO 2005


