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Sogni di donne dell’est: «Va bene anche sposarci»

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NAPOLI. Dal balcone su piazza Garibaldi la prospettiva è vicina: vicina la Stazione, vicine le auto che s’intrecciano, vicini i taxi, vicine le facce delle persone, migranti e indigeni, che scorrono formicolando. Ci sono mattine – come quella del sabato – che piazza Garibaldi è tranquilla. Anche le bancarelle hanno un’aria vacanziera e tutti sembrano turisti di passaggio, tanto che anche a noi cercano di vendere orologi e cellulari, come se io non fossi napoletana e Wioletta, che mi è al fianco, e che in quest’angolo della piazza ormai vive, fosse appena arrivata. Ci incontriamo al bar con Wioletta Sardyko, che ha un bel viso aperto e ispira immediata simpatia, occhiali rettangolari (le piacciono i miei, li deve cambiare, mi sorride) e modi diretti e chiari. Andiamo in sede, mi dice, così siamo più comode. Piazza Garibaldi 101 ospita nell’androne un’agenzia di viaggi e, su due piani ben organizzati, la Filcams, con una bella sala conferenze in legno, colorata in rosso. «Qui – racconta Wioletta – abbiamo organizzato una messa interreligiosa per i bambini di Beslan: rito cattolico, ortodosso e musulmano. È stata una delle cose più commoventi che abbiamo fatto». Wioletta comunica subito la passione per il suo lavoro e mostra a gesti e a parole la possibilità concreta di quel che per molti è ancora utopia: collaborazione fra enti e persone, la rete sociale che rende praticabile la piena e creativa convivenza fra culture. L’ho cercata perché mi parlasse, lei, polacca, delle comunità dell’est a Napoli, ma ricevo in cambio molto di più. Wioletta è arrivata a Napoli come tante donne dalla Polonia, prima, dall’Ucraina e da altre repubbliche dell’ex Unione Sovietica, poi. Arrivata piena di speranze, si è ritrovata a fare la donna di servizio e dopo sei mesi non ne poteva più: «Ero venuta in cerca di libertà e invece…». Così trova lavoro in un albergo e questo impegno le piace di più perché il suo vero talento sono i rapporti con le persone. Ha infatti presto l’occasione di seguire i corsi organizzati da Dedalus per mediatori culturali: in un gruppo assai folto, lei è tra le poche ad essere assunta, anche se ancora non ha il permesso di soggiorno. Lavora con Dedalus per tre anni e collabora a un progetto davvero difficile e rischioso: La Gatta, si chiama. Con un furgoncino vanno a recuperare le donne che si prostituiscono in strada, di notte. Obiettivo del progetto è reintegrarle, ma il primo contatto è la cosa più difficile: avvicinarsi, parlare, fare in modo che le ragazze si aprano e si affidino. Se le si riesce a portare via, bisogna poi affrontare i protettori. Un lavoro pericoloso, ma Wioletta ha coraggio da vendere: «Mi dicono sempre: dove arriva Wioletta, arrivano guai. Ma io sorrido: non porto guai, mi faccio rispettare, con calma e tolleranza». Di recente l’hanno chiamata a mediare in ospedale per Medici senza frontiere e ne va molto orgogliosa. Nella Filcams ricopriva un ruolo di grande responsabilità, ora ha scelto un impegno meno gravoso, ma non per questo è meno presente: anzi. Stando sulla vera frontiera della città, la Stazione centrale è la porta d’ingresso per donne e uomini di ogni provenienza: alla Filcams si organizzano corsi di italiano da dieci anni (adesso anche di informatica) e gli utenti sono senegalesi, ivoriani, etiopi, polacchi, ucraini, rom. Ma qual è la prima difficoltà per chi arriva dall’est? I soldi e la lingua, dice Wioletta. La lingua è una barriera quasi insormontabile: «Ci sono donne cui sembra di impazzire per l’impossibilità di ambientarsi al loro arrivo. Non escono più, neanche per fare la spesa. Una donna piuttosto anziana arrivata qualche tempo fa voleva suicidarsi: le avevano descritto una realtà che non esisteva, le avevano detto che avrebbe portato soldi a casa e invece, scesa dal treno, non era riuscita neanche a chiedere un indirizzo. Ci hanno chiamato dal posto in cui dormiva: voleva buttarsi di sotto. L’abbiamo portata all’ospedale San Gennaro e grazie ad una forte collaborazione fra i vari enti abbiamo potuto pagarle il biglietto e rimandarla a casa». Chi arriva ha paura di tutto, se sta male ha terrore di andare in ospedale perché la legge non tutela e l’arresto è sempre possibile. Negli ultimi due anni in Ucraina le donne che partono per l’Italia hanno iniziato a scambiarsi libretti che preparano all’arrivo e danno informazioni e nozioni di italiano: la barriera della lingua colpisce sia chi arriva dalle campagne (tanto di più) sia chi è laureato. Ambientarsi a Napoli risulta quasi impossibile: un anno, a volte due. Non è un caso che la Filcams abbia organizzato e promosso un progetto di mutuo soccorso in collaborazione con Psichiatria Democratica intitolato Pënc: l’albero delle parole. Dal mutuo soccorso al mutuo aiuto. Eppure, nonostante queste difficoltà, le presenza dall’est sono le più forti: la richiesta di badanti è in aumento costante. «Per prima cosa mi chiedo come facciano le persone a chiedere alle donne ucraine o polacche il tempo pieno: non solo il giorno o la notte, ma l’intera giornata. Non è assurdo? È un vero trapianto di persona. Chi non resiste fugge a casa, in passato nessuno avrebbe chiesto certe prestazioni. Però chi vuole restare è disposto davvero a fare tutto». Ma cosa raccontano quelli che tornano, perché il flusso non si arresta? È evidente che l’Italia, e Napoli in particolare, non offre risposta alle promesse di ricchi guadagni. «Innanzitutto, nessuno dice la verità a casa. Non si dice in che lavoro si è impiegati. Non si racconta che si va a servizio nelle case: si dice piuttosto che il guadagno è alto, che tutto va bene. Chi vive nelle campagne o nelle periferie è ancora più disposto a credere a questi racconti. Nelle grandi città la televisione compie magari un po’ d’opera d’informazione. Ma chiunque parte pensa: a me non andrà come agli altri…». Il fenomeno quindi si moltiplica: se è difficile stabilire un’esatta geografia delle presenze dell’est, visto che sono le più impegnate nei servizi a tempo pieno e abitano nelle case dei datori di lavoro, più facile è identificare i luoghi di riunione: Mergellina, ad esempio, dove la chiesa di fronte alla fermata del metrò ospita una delle comunità più forti e la domenica pomeriggio il posto diventa luogo di riunione. Le donne dell’est sono protagoniste poi anche di altri fenomeni molto osservabili: la domenica al parco delle Rimembranze, a passeggio lungo il lago d’Averno, nei luoghi delle gite, è facile incontrare donne anche non più giovani in compagnia di napoletani piuttosto maturi. È il fenomeno dei secondi matrimoni: i maschi stufi di mogli invadenti o vedovi o soli trovano nell’accogliente pazienza di donne dell’est nuove compagne per l’ultima stagione della vita. Alla Filcams per aiutare chi arriva e chi risiede nei numerosi problemi legali che si affrontano anche a causa di una legislazione restrittiva e miope lo studio di Elena Coccia, da molti anni attiva in questo settore dell’impegno civile, ha aperto uno sportello dove è possibile parlare con Mila Grimaldi e Simona Fiordalisi. Parlo con Mila: «I problemi più grandi che trattiamo riguardano la clandestinità, il permesso di soggiorno e il rapporto con la burocrazia che è drammatico e bestiale: gli immigrati vengono trattati come animali e gli avvocati che li accompagnano sono visti di cattivo occhio. C’è indifferenza: le donne dell’est spesso devono pagarsi i contributi da sole per mantenere il permesso di soggiorno, ma una delle assurdità più grandi riguarda i bambini che nati in Italia raggiungono qui i diciottesimo anno di età e sono quindi a pieno diritto cittadini italiani, anche se i loro genitori sono irregolari. Con dei ragazzi Rom che abbiamo seguito – dice – abbiamo assistito ai rifiuti, illegali, degli uffici, che non concedevano la cittadinanza accampando scuse assurde ridicole o scacciandoli, semplicemente. Siamo di fronte all’assenza di volontà umana a fare ciò che per legge è prescritto. In certi casi il permesso di soggiorno lo si attende per un anno intero. Chi rimane in Italia con il cedolino bloccato perde a volte la cittadinanza originaria e non esiste più né nel paese d’origine né qui: è un sequestro di persona camuffato dai cosiddetti periodi finestra in cui si potrebbe tornare a casa, ma che quasi mai possono essere sfruttati per le partenze che devono, per altro, essere effettuate sempre dallo stesso posto di frontiera. Ci è capitato il caso di una donna Rom giunta in Italia nel ’75 ai cui figli nati qui non è stata concessa la cittadinanza e che non è più cittadina né nella ex Jugoslavia né qui. Siamo riuscite a far annullare il decreto di espulsione e richiederemo l’apolidia, ma di fatto lei è come se non esistesse e i suoi figli nati e cresciuti a Napoli con lei». Prosegue: «Il problema dei minori è pressante: per i Rom ora c’è una stretta, ma incontriamo analoghe difficoltà con i ragazzi africani e le azioni pilota per forzare la legge non possono essere praticate con soggetti così esposti e fragili legalmente». Insomma, forse al nord le quote imposte dalla Bossi-Fini hanno più speranza di funzionamento, nonostante l’incongruità della legge, ma qui, dice Mila Grimaldi, la pratica è molto inficiata dagli italiani che speculano e che si offrono come mediatori a vario titolo. Saluto Wioletta che mi mostra foto felici di feste multietniche tenutesi nella Filcams: mi indica i nomi, le persone, i cibi, gli abiti tradizionali. Il balcone del civico 101 sta per diventare un sito, dopo anni di osservatorio della piazza: quante altre Wiolette servirebbero a Napoli… (2 / continua)



Antonella Cilento – IL MATTINO 11 GIUGNO 2005

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