NOLA. Il 17 luglio di 50 anni fa, Pupetta Maresca aveva appena 18 anni. E, dopo appena ottanta giorni di matrimonio, era già vedova. Vittima, come il marito Pasquale Simonetti detto «Pascalone ’e Nola», della spietata legge della camorra. Una camorra diversa dall’attuale: quella «rurale», che viveva di mediazioni e interventi nei mercati ortofrutticoli sulla produzione contadina della provincia tra Nola, Pomigliano, Giugliano, Scafati, Pagani, Marano. Allora gli «uomini di rispetto» si chiamavano Simonetti, Antonio Esposito, Alfredo Maisto, Francesco Antonio Tuccillo. Erano gli anni ’50. E Pasquale Simonetti riusciva a guadagnare 100 lire su ogni quintale di patate venduto al mercato di Nola. Era uno dei «presidenti dei prezzi». Se ogni giorno al mercato si commerciavano circa 40mila quintali di patate, è facile il conto sui suoi guadagni. Simonetti si faceva rispettare e già nel 1952 si era scontrato con i Maisto. I due gruppi si affrontarono a colpi di pistola nelle strade di Melito. Ma i contrasti maggiori «Pascalone ’e Nola» li aveva con Antonio Esposito, detto «Tatonno ’e Pomigliano», produttore di frutta secca e in buoni rapporti con i politici, tanto che al suo funerale si disse che ben dodici deputati inviarono corone di fiori. Tra Esposito e Simonetti la tensione era sempre alta e i dissidi sui guadagni delle mediazioni vennero più volte sedati dall’intervento di Tuccillo. C’erano oltre 500 invitati al matrimonio di Pupetta Maresca con Pasquale Simonetti. Lei era già incinta di tre mesi, da poco diciottenne ed erede della famiglia malavitosa dei «Lampetielli» di Castellammare. Un matrimonio in grande stile. Ottanta giorni dopo, la tragedia. La mattina del 16 luglio 1955, «Pascalone ’e Nola» era in corso Novara, nei pressi del mercato ortofrutticolo, quando incrociò Gaetano Orlando, detto «Tanino ’e bastimento», figlio di un ex sindaco di Marano e considerato amico di Antonio Esposito. Nella «camorra rurale», una precedenza, un saluto in pubblico erano sintomo di rispetto, di considerazione, di supremazia. I due sguardi si incrociarono e Simonetti alzò la voce: Orlando non lo aveva salutato, un affronto duro da digerire per un «presidente dei prezzi». La risposta fu sprezzante: «E tu saresti Pascalone ’e Nola?». Il resto lo fecero le pistole. Orlando sparò, colpendo Simonetti all’addome. Al processo, «Tanino ’e bastimento», morto per cause naturali qualche anno fa, dichiarò di aver sparato per legittima difesa e che anche Simonetti era armato. Verità poi riconosciuta dopo un lunghissimo iter giudiziario. Raccontò Pupetta Maresca: «Corsi subito all’ospedale Incurabili dove l’avevano portato. L’avevano operato, ma era subentrata la peritonite. Mi rincuorava e mi fece il nome di Esposito come mandante della sparatoria. Pascalone era il mio principe azzurro e io volevo che si facesse giustizia, ma la giustizia voleva prove, prove, prove». Pasquale Simonetti morì in ospedale il 17 luglio. Ottanta giorni dopo, il 4 agosto, nel bar «Grandone», zona stazione di Napoli, la moglie affrontò il presunto mandante della morte di «Pascalone». Sparò e uccise Antonio Esposito. Finì in carcere e venne graziata nel 1965. Il figlio, Pasquale junior, nato in carcere, scomparve nel nulla nel gennaio del 1974. A 18 anni. Una maledizione. Oggi la Maresca vive in costiera sorrentina, il suo ex convivente Umberto Ammaturo, da cui ha avuto altri due figli, è collaboratore di giustizia. Ma la vicenda di 50 anni fa, cui Francesco Rosi si ispirò per il film «La sfida», fa ormai parte della storia della camorra.
GIGI DI FIORE – IL MATTINO 17 LUGLIO 2005
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