CASTELVOLTURNO. Eriola, la sposa albanese, è arrivata in municipio in abito bianco, come vuole la tradizione. Salvatore, il fidanzato reclutato al mercato nero dei matrimoni, in jeans e maglietta. Annoiati, neppure un sorriso di circostanza, ansiosi di concludere al più presto la cerimonia, quella formalità che avrebbe consegnato a lei lo status di cittadina italiana e a lui duemila euro in contanti. Il sindaco, Francesco Nuzzo, eletto la primavera scorsa, sostituto procuratore generale a Brescia, ha preso atto dell’intenzione della coppia, ha letto gli articoli del codice civile, ha fatto da notaio alla firma del registro dello stato civile. La buona fede degli sposi non poteva essere certificata. In apparenza, quei due erano normalissimi fidanzati, una delle tante coppie miste (una cinquantina tra il 2003 e il 2004) che si sposano in quel comune di frontiera che da vent’anni è la seconda patria degli immigrati in Campania. E invece quel matrimonio era fasullo, organizzato da una banda di mafiosi albanesi che controllano il racket della prostituzione. E si è concluso non con il lancio di confetti ma con gli arresti: della sposa, di uno dei testimoni, di chi quello sposalizio aveva organizzato con il solo fine di garantire alla ragazza il permesso di soggiorno e la futura impunità dall’arresto. E con essa, il suo maggior valore sul mercato al momento della cessione a un’altra banda. Sono stati i poliziotti del commissariato di Sessa Aurunca, ieri mattina, a interrompere il matrimonio fittizio. Avevano saputo della cerimonia e sono andati a controllare l’informazione. Così, dalla piazza del Castello, hanno assistito all’arrivo del piccolo corteo: Eriola, 19 anni, e il promesso sposo, 43 anni, napoletano, nella stessa auto guidata da un giovane albanese. Nel municipio, intanto, c’erano ad attenderli la madre di lui e i due testimoni: Eleva Doku, pure albanese, 26 anni, con il ruolo di interprete, e un vecchietto napoletano reclutato per l’occasione. Il tempo di un rapido accertamento, e prima che il gruppetto potesse uscire dal Comune è scattato il blitz. Il registro è stato sequestrato, tutti i partecipanti accompagnati al commissariato di polizia. E lì si è scoperto che Eriola era già stata schedata ed espulsa; che l’interprete era rientrata clandestinamente in Italia; che l’autista, Kujtim Bucpapay, 34 anni, era già stato denunciato per sfruttamento dell’immigrazione clandestina. Per loro, quindi, l’arresto: la sposina per inosservanza al decreto di espulsione e, insieme agli altri due, per associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Kujtim è stato accompagnato al carcere di Santa Maria Capua Vetere; le due donne, dopo la nottata trascorsa in camera di sicurezza, saranno invece processate questa mattina con il rito direttissimo. Denunciati a piede libero, per gli stessi reati, lo sposo, la madre, il testimone napoletano. Sorpreso ma non troppo il sindaco Nuzzo. «Mi aveva insospettito l’assenza di parenti e amici alla cerimonia – spiega – ma non potevo certo rifiutarmi di celebrarlo. Comunque, quel matrimonio è valido ma è impugnabile». Poi aggiunge: «La polizia è stata bravissima, il questore Mario Papa merita un elogio. Di persone così abbiamo bisogno per riportare la legalità a Castelvolturno».
ROSARIA CAPACCHIONE
«Prostitute con la fede al dito, valgono di più»
di FRANCESCO VASTARELLA
«Ricordo casi analoghi, sono soprattutto ragazze albanesi, africane, nigeriane in particolare: costrette prima a prostituirsi, poi a sposarsi per disperazione con l’obiettivo di sfuggire a denunce ed espulsioni». Dall’altro capo del telefono Assunta Maiello, operatrice della postazione Campania-Basilicata gestita dalla Caritas diocesana di Napoli per conto del ministero delle Pari opportunità, numero verde 800.290.290, l’ultima speranza delle clandestine che si vendono per sopravvivere. «Abbiamo salvato parecchie ragazze, per alcune, vittime dei matrimoni fittizi, è stato poi facile ottenere l’annullamento delle nozze», racconta Maiello. «Una ragazza albanese che oggi ha 30 anni e vive lontano dalla Campania – racconta l’operatrice Caritas – non aveva ancora vent’anni quando arrivò insieme con l’uomo che si faceva chiamare fidanzato. Passata da una banda all’altra per effetto delle compravendite, la giovane batteva i marciapiedi. Per sottrarla al rischio di espulsione e per poterla sfruttare ancora a lungo, la banda organizzò il matrimonio fittizio con un 25enne tossicodipendente, anche lui vittima di un ricatto. Lei ottenne il permesso – rievoca Maiello – ma il problema sorse quando si trattò di rinnovarlo perché dagli accertamenti emerse che i due sposi non convivevano e che il permesso di soggiorno non poteva essere rinnovato. Un cliente, innamorato della giovane albanese, la convinse a rivolgersi a noi. Lei denunciò tutti, la banda fu sgominata, il matrimonio annullato. Non vi dico il nome per ragioni ovvie, la giovane si è ricostruita una vita, presto affronterà un vero matrimonio». Non soltanto tossicodipendenti arruolati per matrimoni fasulli in cambio di droga o di un pugno di euro. Alla Caritas raccontano anche un’altra storia che risale a tre anni fa. Lui, 78 anni, casertano, lei 25 non ancora compiuti, nigeriana: si sposano in municipio senza essersi mai visti prima e qualche ora dopo non si vedono più. «La ragazza era stata riportata subito sulla Domiziana – rievoca l’operatrice della Caritas – mentre l’anziano, ottenuta la somma pattuita, era sparito dalla circolazione come gli aveva imposto la banda che l’aveva reclutato. A rivelare i retroscena del suo matrimonio fasullo è stata la giovane, che al nostro numero verde si rivolse dopo essere scappata dal suo aguzzino, un connazionale che la ricattava con la complicità di una donna africana. La giovane ha intrapreso da poco un percorso di recupero che dovrebbe consentirle di trovarsi un lavoro e non ricadere nel mondo della prostituzione. Per fortuna, sono diventati più severi i controlli da parte delle questure sui matrimoni misti sulla base dei quali vengono chiesti i permessi di soggiorno». «Io ricordo un caso all’inverso – rievoca il sindacalista palestinese Jamal Caddora, responsabile della Cgil campana per l’immigrazione -. Un nordafricano che aveva sposato in maniera fittizia una ragazza italiana con l’unico obiettivo di ottenere un permesso di soggiorno. Io lo invitai a denunciare il caso, lui poi non si è fatto più vedere. Il fenomeno non riguarda solo la malavita, ma anche l’emarginazione di chi si scontra con un meccanicmo chiuso verso chi vuole regolarizzarsi per poter lavorare. Insomma, c’è chi si sposa in maniera fittizia, ma anche chi paga per un contratto di lavoro inesistente». «Non a caso il fenomeno dei matrimoni fittizi, così come dei contratti di lavoro fasulli – sostiene Mohammed Saady, marocchino, presidente campano dell’Anolf-Cisl – aumenta quando gli immigrati non hanno vie di uscita per regolarizzarsi. Noi come sindacato puntiamo sempre sulla via dell’educazione e della responsabilizzazione, ma qualche ritocco alla legge per scongiurare e scoraggiare l’illegalità andrebbe fatto».
IL MATTINO 23 AGOSTO 2005


