MARANO. «Se me lo proporranno, sono pronto a intitolare una strada anche al premier israeliano Rabin per il lavoro da lui svolto a favore della pace. Tanto per dimostrare a tutti che via Arafat non significa affatto una scelta di parte». Parola di Mauro Bertini, sindaco di Marano, dopo le polemiche scaturite dalla delibera che dedica al leader palestinese una strada cittadina. Una dichiarazione distensiva, la sua. Ma commenta durissimo il senatore Gaetano Pellegrino, eletto in zona: «Una strada intitolata a Rabin? Peggio ancora: vorrebbe dire confermare la necessità di bilanciare una scelta assurda come quella a favore di Arafat». Pellegrino continua: «La sensazione è che Marano faccia di tutto per stare sui giornali. C’è una legge che impone di aspettare dieci anni dalla morte di un personaggio prima di intitolargli una strada: invece, Marano si schiera fuori della legalità. Credetemi, sono indignato». «Una strada intitolata ad Arafat? Ma perché, forse che in Palestina c’è una via intitolata a Marano? Vergogna. Quelli lì – bofonchia il custode del liceo Segrè, che sta proprio lungo la via incriminata – ci hanno ammazzato perfino Gesù Cristo…». Scusi, ma chi sono «quelli lì»? «Chi sono? Sono i palestinesi, amico mio». Ah, sì… «E allora – dice un altro, sarcastico – dedicheremo forse il nostro liceo all’amico Binladèn?». E il vicepreside, Raffaele Romano: «Ma i nostri consiglieri comunali sanno davvero chi è stato Arafat? Segrè era un fisico ebreo fuggito per colpa delle leggi razziali: a lui è intitolato il nostro liceo. E qui a due passi c’è l’istituto Magistrale intitolato a Carlo Levi, anch’egli ebreo… mi spiego?». Sarà inaugurata a giorni. Per imboccare via Arafat, duecento metri di asfalto anonimo che non sembra far male a nessuno, si passa per via del Padreterno. In via del Padreterno c’è un caseificio che – dicono – produce mozzarelle a dir poco celestiali. Più in là, nel centro di una Marano stranita dalla tenzone, c’è una via Unione Sovietica su cui nessuno ha da ridire. E vicino al Municipio, sugellata da una targa tutta bianca, troneggia una via Nuvoletta che mesi fa trasse in inganno un parlamentare peraltro in genere assai sveglio e capace: lui gridò allo scandalo, convinto che quella targa onorasse il vecchio boss della zona, ormai da anni defunto. Fu una gaffe spettacolare, perchè invece la targa si riferisce non al famoso don Lorenzo ma a un suo omonimo, un Salvatore Nuvoletta valoroso carabiniere, onorato con tanto di medaglia d’oro alla memoria dopo che il clan dei Casalesi lo aveva ammazzato senza cerimonie. E la signora Fortuna Nuvoletta, consigliere comunale, non era – come urlò il parlamentare – l’emissario del clan in Municipio bensì solo la rispettabilissima sorella del carabiniere assassinato. Gaffe a parte, qui a Marano, 70mila anime che avrebbero ben altro cui pensare, la «guerra delle targhe» mette in castigo il buon senso. «Via Arafat è uno scandalo, un oltraggio al popolo d’Israele!», ha fatto sapere l’altro giorno l’ambasciatore gelando l’atmosfera. E fior di opinionisti e uomini di cultura sono scesi gagliardi in campo usando toni da scontro frontale. Dice il sindaco, Mauro Bertini: «Le dichiarazioni dell’ambasciatore peccano di settarismo. Faccia e dica quel che gli pare, già è molto che mi limito a rispondergli educatamente. Arafat per noi è un simbolo. E Marano vuole schierarsi al fianco dei popoli oppressi». E così, lo scontro su via Arafat si mescola alle baruffe per «la vile aggressione» denunciata dal parroco di Forcella, il giovane don Merola, al termine di una manifestazione svoltasi a Marano qualche sera fa. «Aggressione? Ma chi lo ha toccato? Ma quando mai…». Il sindaco Bertini spiega: «È successo solo che un ex democristiano, un pacioccone che tutti conosciamo, gli abbia gridato dalla platea perchè non ti limiti a fare il prete… E a lui non è sembrato vero di urlare all’aggressione». Storie di paese? Non tanto, visto che travalicano i confini municipali. Già… e i ventitre cantieri aperti? E i 39 milioni di euro pronti a essere investiti in impianti produttivi? E le case che costano un occhio da quando è iniziato l’esodo dalle aree rosse vesuviane? E gli anziani della zona che coltivano basilico e pomodori negli orti sociali nati dalle terre comunali abbandonate? E il Palasport costruito in due anni? E lo stadio rimesso a nuovo dove pure il Napoli soccer è venuto ad allenarsi? E lo sviluppo di una zona ormai soffocata dal cemento? E la camorra mafiosizzata che non spara e non si vede ma di sicuro non è scomparsa e chissà che cosa di nascosto va ancora combinando? Dettagli. Solo dettagli. Sciocchezze di poco conto. L’importante, benedetto paesone, ora è sbranarsi su via Arafat.
ENZO CIACCIO – IL MATTINO 13 OTTOBRE 2005
MARANO APRE AD ISREALE: UNA STRADA PER RABIN
Il caso Arafat. L’inviato del Mattino Enzo Ciaccio
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