Da una parte gli amici che sapevano e non hanno detto, dall’altra un poliziotto in pensione che invece di aiutare le indagini le ha addirittura ostacolate. Non è stato facile per gli inquirenti risalire agli autori dell’omicidio di Genny Cesarano, vittima innocente della camorra. I compagni del 17enne, gli stessi che in quella notte maledetta si trovavano con lui al momento dell’aguato eseguito dai sicari di Carlo Lo Russo, sapevano perfettamente che i killer erano «arrivati da Miano» in risposta alla precedente stesa partita dal rione Sanità per ordine di “Pierino” Esposito. Non solo, nei mesi successivi al delitto un ex agente della polizia Stato, padre di uno dei ragazzi, ha esercitato una lunga serie di pressioni affinché i giovani parlassero il meno possibile, sia tra di loro che con gli inquirenti. La svolta è arrivata grazie al pentimento del boss Carlo Lo Russo, passato dalla parte dello Stato nel luglio scorso. «È a dir poco allarmante anche il comportamento di uno dei ragazzi che erano con Genny quella sera, il quale, sebbene in passato fosse stato un poliziotto, non esitava a consigliare ai testimoni di assumere atteggiamenti omertosi e, soprattutto, li invita a essere attenti a cosa dicono perché saranno sottoposti a intercettazione», scrive il gip nell’ordinanza. L’ex agente dice quindi ai ragazzi di «pulire i telefoni”. Tutto inutile. La verità salterà fuori comunque.
«Non parlate al telefono, siete intercettati». Un ex poliziotto ha tentato di depistare le indagini su Genny
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