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domenica, Giugno 16, 2024
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«UN’ESPERIENZA TOCCANTE MA COSTRUTTIVA»

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Il 27 Gennaio scorso “Giornata della memoria” alcuni studenti delle scuole superiori della provincia di Napoli sono stati accompagnati dai loro insegnanti a visitare i campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau in Polonia dove furono deportati milioni di ebrei. InterNapoli ha voluto incontrare uno dei giovani che hanno preso parte a quest’esperienza. Si chiama Carlo Tambaro ed è rappresentante di istituto del Liceo “De Carlo” di Giugliano (NA). Il giovane studente ha esposto a noi le sue impressioni, le sensazioni e le forti emozioni vissute nel visitare quei posti, purtroppo passati alla storia:

«Il viaggio è stato organizzato dalla Provincia nella persona del Presidente di Palma e l’assessore Cortese. Devo dire, un viaggio ben organizzato. Eravamo diversi ragazzi, rappresentanti di altri istituti Napoletani. Siamo partiti da Napoli il 27 gennaio. Arrivati a Varsavia con l’aereo, siamo ripartiti con il pullman alla volta di Cracovia. Non abbiamo visitato subito i campi ma siamo stati coinvolti in diverse conferenze dai temi più disparati. C’erano delle persone che davano le loro testimonianze, esperienze, racconti, e già ascoltare persone che hanno vissuto direttamente o attraverso i racconti di persone a loro care, mi fa pensare in modo diverso alla shoah. Ma quando il giorno dopo abbiamo visitato i campi le mie sensazioni sono divenute molteplici.
All’entrata del campo di Auschwitz c’è una scritta sul cancello: “Il lavoro rende liberi” questa frase mi è rimasta nella mente. Mi è sembrata messa a posta per prendere in giro coloro che venivano reclusi nel campo ed entravano senza sapere quale fosse il loro destino. Mi hanno spiegato che inizialmente i deportati venivano rinchiusi per lavorare per i tedeschi, schedati con fotografie, nome, cognome. Nel guardare queste foto sono rimasto sconcertato: quei volti sembravano tutti uguali dimostrando che entrando nel campo si perdeva l’umanità. Ma quando lo scopo cambiò dallo sfruttamento si passò ad ucciderli o ad utilizzarli come cavie per eseperimenti scientifici, le persone venivano segnate con un codice sul braccio attraverso un tatuaggio. Quegli individui una volta entrati, per i tedeschi non erano più persone ma solo numeri, codici che venivano utilizzati per qualsiasi cosa gli sarebbe venuto in mente. Utilizzavano qualsiasi cosa avessero, venivano persino rasati perché i capelli venivano utilizzati per fare le coperte. Ho visto masse di capelli, di scarpe, di vestiti, ed alla sola vista si rabbrividisce, soprattutto quando si intravedono vestitini di bambini, gambe di legno, tutori e quant’altro.
Siamo entrati nelle baracche di legno, camerate dove gli ebrei dormivano ammassati l’uno sull’altro. Uno stanzone enorme senza riscaldamento, e pensare che noi eravamo li a –18 gradi (e mi hanno detto che si arriva anche a -30) con giubbini sciarpe e non riuscivamo a riscaldarci. Loro avevano addosso solo una tunica, e più di due mesi una persona in quelle condizioni non poteva resistere. I bagni non c’erano. C’ era un unico stanzone, si entrava tutti insieme, uomini, donne e bambini con turni di alcuni minuti. Vi erano tre fosse: quelli erano i bagni. Gli addetti alla pulizia dei bagni erano i più fortunati, dato che non si respirava dall’odore forte e nauseante, le guardie non si avvicinavano per controllarli e maltrattarli. Siamo entrati nelle camere a gas, io mi aspettavo qualcosa di simile alle docce (perchè ho sempre letto che per farli entrare nelle camere a gas gli veniva detto che c’erano le docce) ma nella stanza vi erano 4 buchi sul soffitto e da lì usciva il gas. Ci hanno spiegato che le docce non c’erano perchè venivano lavati con gli idranti.
I forni crematori me li aspettavo diversi, più grandi pensavo che venissero bruciate più persone alla volta, ma invece erano singoli. La cosa che più ricorderò sono gli esperimenti che facevano. Abbiamo visitato i laboratori e sui muri si possono guardare le foto, le più toccanti sono quelle dei bambini: magri ed evirati. Venivano studiati come cavie da laboratorio, c’erano asportazioni di braccia, di gambe scambiate con braccia di altri individui, cambi di sesso tra due persone, persone tenute nel ghiaccio o nel fuoco per calcolare la resistenza fino alla morte, senza cibo o senza acqua: cose allucinanti. E pensare che qualcuno che studia medicina dice che alcune scoperte scientifiche sono state fatte proprio allora, in quel modo.
Tutto era schematizzato, e non riesco ad immaginare che tutto questo sia accaduto per volere di un pazzo, ma lo ritengo il volere di una intera nazione: era tutto organizzato per il riutilizzo, non buttavano via niente. Il perché è alla base di tutto! E’ una domanda a cui posso dare una sola risposta: per motivi economici, perché i tedeschi temevano che gli ebrei potessero conquistare il potere economico.
Una cosa mi è rimasta impressa. Un mio amico è stato rimproverato per aver acceso una sigaretta all’esterno: eravamo in un cimitero, e bisognava portare rispetto.
A livello emotivo fa tutto un altro effetto “toccare con mano” la storia, e a seconda della maturità e dell’esperienza di vita che hai, il senso di tutto questo è ancora più forte; ho intravisto gli occhi pieni di lacrime di una donna che davanti alle foto dei bambini si chiedeva “perchè”, questo mi rimarrà nel cuore. Dai libri puoi leggere tutti i particolari possibili ma il senso di tutto quello che è accaduto lo si capisce solo se sei fortunato a visitare quei posti. Non tanto quando ho visitato Auschwitz che è ormai diventato un museo, ma Birkenau… mi ha toccato di più e ripeto non si capisce quello che si prova fin quando non si va lì. Toccare con mano è tutta un’altra storia»
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Hanno collaborato:
Clorinda Pianese
Iolanda Stella Corradino
Aniello Di Nardo

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